Dallo Stelvio al mare. Massimo Bontempelli
il terzo monte del formidabile gruppo, cioè l'Adamello, già i nemici avevano tentato vanamente due assalti, uno il 15 e uno il 30 di luglio, valicando i passi di Venerocolo e di Brizio sul costone occidentale del gruppo dell'Adamello, e attaccando le nostre posizioni presso il refugio Garibaldi.
Meno ardua della via dello Stelvio appare, a nord dell'Adamello, la via del Tonale, e intorno al Tonale si combatte fin dal principio della guerra un duello d'artiglierie cui i comunicati ufficiali hanno accennato spessissimo, e la cui sorte pende ancora. A servizio della lotta per il Tonale si prese, fin dal primo giorno della guerra, la forcella di Montozzo (a 2625 metri) a nord del passo del monte, mentre gli austriaci sono fortificati a sud, sul Monticello (a 2550 metri). Così la lotta si trasportò sul ghiaccio (in cui sono scavate le trincee) sul quale sono trasportate, a tremila metri, le batterie. Lotta che da nessuna delle due parti vuol essere per ora di avanzata, ma soltanto di preparazione. La guerra di montagna è guerra per la conquista delle cime: chi è più in alto ha la ragione.
E noi in parecchi punti siamo riusciti a essere i più alti. Nella zona del Tonale, a sud dell'alto Noce, il 7 di agosto “i nostri reparti alpini — cito dal comunicato ufficiale — arditamente avanzando lungo la cresta rocciosa che si erge da mezzodì su valle del Monte, sorpresero e dispersero truppe nemiche trincerate a sud-est di Punta Ercavallo”. Intanto le artiglierie cacciavano altri reparti nemici da una posizione a nord-est della stessa punta. Le nostre artiglierie erano sulle rocce di Ercavallo, a più di tremila metri. L'operazione ci dette una posizione eccellente, in quanto da questa si può batter d'infilata la valle del Noce. Fu un nuovo passaggio apertoci nel Trentino.[1]
I soldati (molti di essi erano volontari di Valtellina e Valcamonica) che raccontavano, in un paese della Valfurva, qualche particolare sull'episodio del Vioz, mi dettero l'impressione che delle più caratteristiche di queste azioni sporadiche si venga nutrendo straordinariamente il fervore che la disciplina dell'attesa lunga non basta a contenere. Nutrono l'attesa e dei soldati e degli stessi montanari e valligiani del luogo.
Ebbi da questi ultimi la narrazione orgogliosa, come d'un'impresa loro, della distruzione compiuta dai nostri di un celebre albergo austriaco da cui emanò sempre un odore piuttosto militare che turistico.
Ma poichè i bollettini non ne hanno mai fatto cenno, forse perchè è apparso che l'episodio, sebbene lusinghiero per noi, non avesse grande portata strategica, non mi ci soffermo di più.
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Volendo e potendo soffermarsi sugli episodi, ce ne sarebbero in quantità; ma creda il lettore — se mai dall'odierno avvicinamento della stampa alla guerra combattuta si aspettasse una fresca mèsse di aneddoti eroici — creda il lettore che l'aneddoto singolo, l'episodietto staccato e ben conchiuso, se contribuirono da principio a darci un'idea chiara del valore e dell'energia personale — straordinarissima — dei nostri soldati, nulla valgono all'intelligenza della guerra nel suo complesso e nel suo svolgimento, nel suo organismo e nella sua dinamica: anzi distraggono, smembrano, frammentano. La guerra, la nostra guerra presente sopra tutte, non è un accumulamento, un sèguito, una somma di episodi, così appunto come un corpo vivo non è una somma di membra; e una guerra è un organismo vivo, e come ogni cosa che vive è un'idea che si attua, un pensiero che s'incarna nell'azione. E l'idea è unica, l'azione è unica: anzi idea e azione non sono scindibili se non per uno sforzo di astrazione che è necessario ma non corrisponde alla verità, costituiscono pur esse un indivisibile unico, anche se si raccontano a giornate, a momenti, secondo limitazioni di tempo e di spazio necessarie alle limitazioni delle facoltà umane. L'anatomia si fa sui cadaveri. Invece lo sforzo dell'uomo dev'essere appunto di superare al possibile la limitazione delle proprie facoltà fisiche, di costringersi a vedere nella storia non il fatto il momento la materia, ma la linea la vita l'anima; e noi nel caso nostro particolare dobbiamo sforzarci a contemplare e penetrare la nostra guerra presente sotto la specie della storia, che non muore. Non vogliamo abbandonarci alla curiosità della contingenza, sia pure eroica: tentiamo di accostarci all'anima immortale della guerra che è tutta la vita nostra dell'oggi e del domani.
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Come certe congiunture suscitano rapidamente gli affetti! Salutiamo i soldati dello Stelvio e di Valfurva, ove abbiamo passato poche ore, con la malinconia con cui si salutano amici assai cari, separandoci per vie diverse che probabilmente non s'incontreranno mai più.
Abbandono l'alta valle che s'immalinconisce delle prime piogge e dei primi freddi montani: i miei amici che restano non si accorgono ancora del freddo, tale è la fonte di calore che arde nei loro petti. Forse se ne avvedranno solo quand'esso li costringerà a una inazione anche maggiore.
Perchè presto, a superare i brevi duelli delle pattuglie che si sorvegliano dai picchi dalle conche e dai pendii, calerà ironica silenziosa e crudele la neve.
Ridiscendendo a valle, il chiarore mal certo del primo crepuscolo ci permette di cogliere tra la pioggia rada i colori e le forme in cui si snoda la strada e in cui s'inquadrano i piccoli villaggi solidi e grigi.
Vorrei percorrerla sempre di notte, questa strada silenziosa, per non vedere sulle case esterne dei paesi, sui muri di cinta e persino sulle rocce più in vista, le maledette scritte in tedesco che indicavano fino a poco tempo fa il migliore albergo o il più famoso luogo di villeggiatura o di cura agli insospettati nemici della nostra e di tutte le genti civili.
Le scritte mi perseguitano con un fastidio crescente. Qualcuna è stata cancellata, le più sono rimaste, e non perchè qui non si odii abbastanza il tedesco, e molto meno perchè si creda ch'egli un giorno possa ritornare, ospite ingombrante mal pagante e corruttore, in questo paese che non ebbe mai bisogno di lui. Tutt'altro. Ma si lasciano per una certa indifferenza alle manifestazioni esteriori, che ho riscontrato in tutti i paesi che si trovano assai vicini alla guerra.
È naturalissimo. Questi paesi combattono anche nella loro vita civile la guerra, assai più sensibilmente delle città lontane. Qui ognuno ha, a ogni giorno, a ogni ora, l'opportunità di prestar mano a un'opera di preparazione militare, di aiutare un soldato, di sacrificare materialmente un poco di sè e delle cose proprie. Che importa se un nome tedesco nereggia sopra una roccia dura e bruta come il nome e come chi lo portava?
L'impassibile montanaro passa oltre. Se glielo fate osservare fa un mesto sorriso e una spallata. Ma se insistendo gli domandate:
— E se i tedeschi torneranno qui?
— I mazzum tucc! (li ammazziamo tutti!) — vi risponde.
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La frase, risentita ieri, m'ha fatto ricordare l'impressione di ostinata e laconica solidità che i valtellinesi m'avevan dato circa tre mesi sono, quand'ero venuto qui a principio della guerra. Si aspettava da un giorno all'altro la mobilitazione. Avevo lasciato a Sondrio l'ultima dimostrazione patriottica. Poi, venendo su per Tirano a Bormio, spingendomi in qualche punta verso l'Aprica e verso Livigno, tendendo l'occhio e l'orecchio al Tonale e allo Stelvio, correndo quanto mi è stato possibile in qua e in là questa Valtellina, bellissima di verde e di rocce, immagine magnifica della forza concentrata, silenziosa e incrollabile, avevo provato sulle prime un senso di maraviglia, quasi di isolamento. Apparivano sui muri dei paesi i manifesti della mobilitazione; e a me, reduce dalle dimostrazioni espansive della pianura, pareva di sentire l'eco degli applausi enormi con cui la penisola li ha salutati; ma una eco appunto, confusa e lontana come il suono indistinto che si sente dal sommo delle montagne, che par giungere di là da una zona di silenzio, pare fatto d'infinità e di lontananza, di un altro mondo, di un'altra vita. Così a me passando allora per questi paesi, e vedendo i contadini quando si fermavano a leggere i manifesti, senza gridi, senza commenti, senza affollamento. Quasi me n'ero sgomentato.
Mi bastò parlare con qualcuno di quei contadini silenziosi — con qualche vecchio, con qualche donna — per capirli.
Io credo che in tutta questa valle non ci sia un solo uomo, una sola madre, una sola fidanzata, un solo vecchio, che abbia paura della guerra, nè per sè, nè per i suoi che vanno a combatterla. (Tranne coloro, s'intende, che per ragioni ovvie furono subito invitati a sgombrare, e non furono pochi). La seguono tutti, la guerra, uno per uno, con un fervore contenuto e saldo, e senza impazienza. Noi cittadini siamo abituati