Dallo Stelvio al mare. Massimo Bontempelli

Dallo Stelvio al mare - Massimo Bontempelli


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pianoro, ineguale sotto la pioggia già diradata, arriviamo a un'altra parte del ciglione, ove una serie di leggieri rialzi verdi ci sembra un buon posto per osservare un altro versante della vallata.

      Ed ecco, accostandoci, ci sorprende scorgere nella parte interna d'uno di quei rialzi un foro, come fosse la buca di una grotta: e da più presso ancora è una grotta davvero, imboccata da un breve spiano in declivio. Vi scendo: c'è dentro un pezzo di artiglieria da montagna, pronto! L'accompagnatore sorride della mia maraviglia e fa togliere il pezzo di là. È l'opera d'un batter di ciglio: il pezzo sale la breve china, fa una mezza volta, è già sulla spianata esteriore del ciglione, con la bocca alla vallata, pronto alla difesa e alla minaccia.

      E alla radice della spianata, al principio, una profonda trincea. Percorrendola veniamo a un'altra grotta come la prima: di là da quella la trincea continua; e un'altra, e un'altra ancora.

      Tutto il bel ciglione verde, ingenuo, rugiadoso, è un magnifico appostamento di artiglieria che in pochi minuti può marginare tutta la posizione di un orlo di vampe e di rombi, può portare laggiù, se il nemico ci si presentasse, il tumulto infernale e lo strazio che non abbiamo ancora incontrati nel nostro placido viaggio.

      Perchè, sebbene abbiamo assistito a un duello di artiglieria e i monti che lampeggiavano fossero il Tonale e il Monticello, noi abbiamo camminato ancora molto in margine alla guerra, molto in qua dal suo cuore di fuoco e di sangue.

       Indice

       Lodrone, 21 Agosto.

      Per la prima volta poniamo il piede sull'antico confine. Ho viaggiato per un giorno in terra redenta.

      □ □ □

      Su dal lago d'Idro si rivolge verso nord val Giudicaria, in cui scorre il Chiese, parallelamente alla valle dell'Adige, o Lagarina: le due grandi vie di comunicazione, cioè di possibile invasione, che il possesso del Trentino offriva all'Austria verso l'Italia. Val Giudicaria continua verso nordovest con val Daone che la ricollega alla regione dell'Adamello, verso est con val di Ledro che conduce al Garda.

      Costeggiando il lago d'Idro, passiamo sotto la vecchia e teatrale fortezza d'Anfo; finito il lago, ove il Chiese vi sbocca, attraversiamo l'antico confine.

      L'antico confine qui è un ponte sopra un torrefaccio. Di qua era regno d'Italia, di là era impero d'Austria. Ora di qua e di là è tutta Italia. È semplice. Parve semplice anche a Cadorna, quando un giorno, che era il secondo della guerra, disse alla nazione: “Le nostre truppe occuparono i seguenti punti: Forcella di Montozzo, Tonale, Ponte Caffaro in Val Giudicaria....” e così via una sfilata di otto o nove nomi, senza una parola di più. A noi cercare sulle carte quei nomi, cercare nella nostra immaginazione il valore attivo di quel fatto semplice: — le nostre truppe occuparono....

      Non per questo luogo abbiamo cercato dei nomi sulle carte. Sono i nomi più famosi e più dolorosi della storia popolare d'Italia, la storia garibaldina. In questi luoghi la nostra impresa d'oggi si riallaccia più sensibilmente all'opera interrotta or è mezzo secolo. Poco prima di raggiungere il ponte, abbiamo salutato con un tremore indicibile un piccolo ossario che da una rientratura del monte s'affaccia come un monito e domina, da sinistra, la strada: l'ossario di Monte Suello.

      E non qui l'immaginazione ha bisogno di sforzi per figurarsi l'azione: o meglio, ogni sforzo è inutile, perchè un'avanzata fatta di discese precipitose giù per queste chine, di ascensioni asprissime su per queste cime, di penetrazione temeraria dentro il fogliame fitto che protegge ogni agguato alle radici dei monti, un'avanzata di questo genere appare tanto più prodigiosa e inimaginabile quando vediamo con gli occhi quale suolo corrisponda alle impassibili designazioni dei comunicati di cui ci siamo nutriti fino ad oggi.

      Mentre gli alpini precipitavano, ascendevano, penetravano, i bersaglieri prendevano d'impeto il ponte e avanti divoravano la strada e riconquistavano i paesi attoniti. Sul primo di quei paesi, Lodrone, c'è una grande, accurata iscrizione grafita sul muro: Regno d'Italia; e intorno intorno un bel fregio ancora pieno della soddisfazione con cui un soldato deve averlo disegnato due mesi sono. Poco più là, dall'altra parte, un'altra iscrizione, più vecchia, è rimasta intatta, memoria dell'antico regime. Suppongo che i conquistatori ve l'abbiano lasciata con un'intenzione ironica, perchè la scritta ammonisce:

       Multa di cinquanta corone ai veicoli che avanzano troppo rapidamente.

      L'esercito italiano è in multa.

      □ □ □

      I comunicati del Comando supremo accennarono ancora, il 27 di maggio, a questi luoghi, annunciando estesa l'occupazione del terreno verso nord e nel tratto tra l'Idro e il Garda; il 30 specificarono l'occupazione di Cima Spessa, che domina la vai d'Ampola, comunicante con valle di Ledro; finalmente, il 2 giugno, annunziaron l'occupazione di Storo e di Condino e il collegamento di queste truppe, su per valle Daone, con i reparti alpini scesi sul Chiese dall'Adamello. Ma non basta avanzare. La conquista, arrivata direttamente ad un punto, si ferma ivi per qualche tempo, ma durante questo si allarga, si consolida tutt'all'intorno. Una prima avanzata per un tratto del fronte è fatta come di punte che si spingono avanti penetrando saldamente nella carne viva del paese di conquista. Poi a poco a poco gli archi che collegavano quelle punte si stendono, si appianano, vengono a stringere più da presso e rafforzare ai fianchi quelle sentinelle; e così rendono possibile a queste un altro lancio in avanti. Intanto occorrono azioni parziali di difesa, difficili come conquiste generali. Il 27 di giugno con un'audace spedizione un piccolissimo reparto di alpini riuscì a spingersi nel Ponale e interrompervi l'impianto idroelettrico che serviva i grandi proiettori elettrici con cui gli austriaci potevano vigilare i nostri movimenti notturni. Tutto il luglio fu impiegato nel respingere i tentativi nemici frequentissimi contro Val Daone, che avrebbe aperto loro la strada al Tonale e alla Valcamonica, e interrotta la stretta unità da noi faticosamente ottenuta tra le truppe operanti dallo Stelvio all'Adamello, e quelle operanti in Val Giudicaria: si snidarono quelle contro Passo di Campo, Cima Boazzola, Malga Leno. Importantissima su tutte, l'occupazione di monte Lavanech e di Cima Pissola ci dava, il 26 di luglio, il completo possesso delle alture del versante destro di Val Daone.[2]

      Anche nella valle oltre l'Idro dunque, e nelle valli laterali verso il Garda, continua un'azione lenta di consolidamento, d'arrotondamento; sono costoni, cime, passaggi, che di giorno in giorno, a pezzi, vengono strappati al nemico: sono opere d'offesa che si spostano, è la prima linea che tende a diventar retrovia. Ed è, anche, dietro questa, il paese di confine che ricompone la propria fisionomia a paese d'interno, la città dominata che impara a respirare da città libera, il villaggio desolato e vuotato dalla guerra che viene ripopolandosi e riprendendo la propria vita di lavoro.

      □ □ □

      Com'è triste un villaggio vuotato dalla guerra! Non al primo aspetto, che anzi è lietissimo. Le case più grandi sono piene di soldati: e qui non è il soldato impaziente che abbiamo visto nelle retrovie di Valtellina, immalinconito dall'attesa del fuoco. Qui i soldati sono quasi nel vivo della guerra; l'azione maggiore può attenderli da un momento all'altro, e intanto le azioni minori sono frequenti e le mani non stanno mai troppi giorni inoperose. Perciò questi soldati sono allegrissimi, e il loro moto per la piazza e nella via maggiore del paese e su e giù per le scale delle case ridotte a caserma, è rumoroso e pieno di canti e di ragazzate gioconde.

      Ma nelle strade minori stringe l'animo un gelo di morte. Quasi tutte le case sono aperte, le imposte e le porte a metà divelte. Su per le scale sudice son rimaste le miserabili tracce della fuga precipitosa. Nelle stanze qualche resto di masserizia, qualche vestito cencioso, qualche suppellettile, si trascinano penosamente lungo i muri brulicanti di ragni stupefatti.

      A monte di Condino è un vecchio convento, nelle stesse condizioni, ma grande, arioso, aperto a panorami accidentati e verdissimi. Anche qui la stessa desolazione,


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