La vecchia casa. Neera
d'ogni rito e popolano la terra di tutto quanto palpita sovr'essa nella luce del pensiero.
Abituato alla solitudine e ad una lunga disciplina di vita interna, il fanciullo aveva la preparazione dovuta per ricevere l'impressione augusta del grande mistero. L'uomo di cui si celebrava in quel giorno il funerale era stato, nella sua scolorita esistenza di orfanello, l'apparizione più luminosa. Avvicinandolo, egli aveva sempre supposto che fosse differente da tutti gli altri uomini ed aveva provato il segreto desiderio di essergli figlio o parente per un inesplicabile bisogno di comunione colle idee e coi sentimenti da lui espressi. Quante volte, per parte de' suoi superiori, anche de' suoi maestri, la sensibilità del fanciullo era stata ferita, quasi offesa, quasi derisa, e da Gentile Lamberti mai!
— Gentile Lamberti, — ripetè, affascinato da quel nome che non vestiva più alcuna apparenza umana, che non corrispondeva più al timbro di una voce, al lampo di uno sguardo, che non aveva più significato al mondo, un nome che nessuno più portava — un nome morto — poche sillabe accozzate insieme, un suono senza senso — nulla dunque! — No, — disse ancora collo sforzo di una volontà latente che voleva reagire a qualunque costo, — un uomo simile non muore. Non sapeva donde gli venisse quella fede che gli dava tanto coraggio in mezzo allo schianto, quella energia nuova uscente per la prima volta dal suo gracile petto, nata quasi dal suo stesso dolore, ma la accolse largamente, la lasciò cadere a guisa di rugiada nella sua anima e se ne imbevve fino alla dolcezza.
Entrò allora nel tempio che era deserto. All'estremità della navata maggiore, davanti al vecchio altare dove un bassorilievo dorato risalta sullo sfondo di una tinta turchiniccia stridula e primitiva, era stato rizzato il catafalco. Lo scaccino girava ancora torno torno accomodando le pieghe del drappo nero; due banchi parati a lutto lo fiancheggiavano da una parte e dall'altra; alti candelabri tenevano gli angoli. Il fanciullo vedeva forse tutto ciò, ma non guardava, non capiva. — Il funerale è per le quattro — disse lo scaccino rispondendo a una donna che era apparsa dietro a un pilastro — e per quanto le parole fossero pronunciate a bassa voce, il loro suono si diffuse sinistro e cupo sotto la vôlta del tempio, sì che il fanciullo le udì e ne ebbe un sussulto. Anche questo egli sapeva, ma sentirlo dire da un altro gli parve brutale.
Sedette su un banco vicino al catafalco che si pose allora a guardare con intensità, accarezzandone coll'occhio ogni minuto particolare di colore e di forma, divagando di sensazione in sensazione, di idea in idea, secondo una particolare attitudine della sua immaginazione avvezza a prestare anima e vita a tutti gli oggetti che lo circondavano.
Così risalendo senza accorgersene dal suo dolore al suo affetto ed alla causa che li aveva generati entrambi, rivide sè stesso quando, pochi anni prima, era venuto a Milano dalla lontana provincia, senza che fosse stata versata una lagrima per la sua partenza, nè che una carezza lo avesse accolto all'arrivo. Orfano, allevato per pietà da parenti poco prossimi e troppo poveri per potergli essere di aiuto, affidato da ultimo alla sorveglianza meschina di un altro parente sconosciuto che lo tiranneggiava, i soli sorrisi, il solo conforto, le sole parole alte e buone gli erano venute da Gentile Lamberti. Come avrebbe potuto dimenticarlo? Rivedeva la casa ospitale dove soleva passare quasi tutte le sue ore di libertà, tanto vicino alle sue aspirazioni quanto sentivasene lontano nella casa dei parenti, ed era con tenerezza somma, con una vera commozione che rammentava l'indulgenza illuminata e paterna di Gentile Lamberti e le infinite volte che l'autorità incontestata di lui gli aveva mitigati i castighi.
— Il funerale non è che per le quattro — susurrò lo scaccino passando lo strofinaccio della polvere sul banco dove sedeva il fanciullo.
Questi si alzò, un po' rosso, come se fosse stato colto in fallo, e prese a fare il giro degli altari lentamente. I dipinti lo attiravano in particolar modo e quando scoperse nella navata a destra dell'altar maggiore un piccolo Gesù che predicava ai dottori si fermò a lungo, immobile, la mente piena di visioni.
Intanto l'orologio della chiesa suonò le ore.
Qualche persona entrava tratto tratto, dava un'occhiata ai preparativi, scambiava poche parole a bassa voce col custode ed usciva. Il fanciullo, per nulla impaziente, compì il giro degli altari e tornato all'aperto nel cortile lo continuò sotto l'atrio, attratto dapprima dai massicci sepolcri di pietra sul coperchio dei quali posava esitando la mano — una piccola mano nervosa che tremava — fermato poi dai frammenti di affresco che balzavano fuori sulle muraglie, bizzarri e misteriosi nelle loro linee spezzate, nei loro colori di ombre. Uno dei sepolcri, collocato a altezza d'uomo, mascherava tutto il corpo di un santo lasciando scoperti i soli piedi, e quei piedi mozzati lo impressionavano come se fossero stati vivi. Era strano che gli sembrassero veramente piedi e non pitture di piedi; ma le sue sensazioni erano sempre così, profonde e violente.
Una delicata testa femminile, sfumata più che dipinta, gli diede all'occhio una grande dolcezza. Nell'attitudine e nel soave abbandono dell'omero ella sembrava stringersi al seno un bambinello. Contemplò a lungo questo dipinto, sentendosi rimestare in fondo all'anima un tumulto di desiderî e di sogni confusi e ancora la memoria di Gentile Lamberti venne a commuoverlo. Ricordava: era una sera non remota ed egli gemeva sull'arida grammatica che l'inflessibilità del suo mentore gli aveva resa completamente odiosa. Il signor Pompeo, rotando gli occhi nel viso segaligno, gli prediceva tutti gli orrori ai quali sarebbe andato incontro colla sua negligenza, soggiungendo che da uno scolaro al quale mancavano nientemeno che intelletto, memoria e volontà non c'era da aspettarsi niente di buono. — Io credo — aveva detto allora Gentile Lamberti — che lei dimentichi la qualità generativa d'ogni cosa bella. Questo fanciullo sente. — Oh! — aveva risposto il signor Pompeo scandolezzato — quale professione gli insegnerò io mai a base di sentire? — e dopo qualche istante di silenzio Gentile Lamberti replicò: — Perchè non sarebbe egli poeta?
Questo brano di conversazione tornava ora nei ricordi del fanciullo che rapito quasi egualmente da una visione di dolore e da una visione di bellezza si chiedeva trepidante: Sarò io poeta?
Non era ambizioso; il miraggio della gloria e della fortuna non lo tentava. Non era nemmeno uno spirito pratico, per cui facendosi la domanda: sarò io poeta? più che cercare una soluzione al problema del suo avvenire, ripeteva per intimo bisogno di dolcezza quelle parole misteriose che aveva udito pronunciare dalla persona a lui tanto cara, sembrandogli, se avesse potuto diventare poeta, di interpretarne il desiderio. Disgraziatamente fra le due assicelle che tenevano serrati i suoi quaderni di scuola si trovava un penso di letteratura ed egli ricordò con una certa mortificazione come non potesse ritenere più di cinquanta versi. Abbassò il capo contrito, non vinto però.
L'onda delle sensazioni continuava ad incalzarsi nella sua mente acerba ma tenace. Sentiva che il mondo e la vita non sono solamente quello che ognuno dice: che nell'ampio mondo fatto per tutti c'erano dei piccoli mondi occulti e chiusi dove non si poteva penetrare in folla. Colpito da quella rara e squisita sensazione che si intende col nome di rispetto egli misurava sempre più il passo, contemplando i preziosi ruderi che lo circondavano con una simpatia calda e rattenuta che sembrava toglierli dai secolari riposi e infondere un palpito ad ogni frammento di granito, ad ogni evanescente profilo. Egli non sapeva nulla della storia di quel tempio e di quel cortile, nè che fossero considerati come opera d'arte, nè che i forestieri accorressero a visitarli. L'eroica figura del vescovo Ambrogio, che egli non aveva ancora studiata nei suoi corsi ginnasiali, non gli suggeriva nulla davanti a quel monumento della di lui grandezza: ignorava che orde di popolo acclamante avessero invaso gli intercolonni quando gli imperatori venivano a farsi cingere dall'arcivescovo la corona ferrea e che la voce popolare riguardasse la porta maggiore del tempio come la stessa da Ambrogio chiusa in faccia a Teodosio. Nulla sapeva di quanto l'arida dottrina insegna; ma egli udiva la voce delle pietre, egli vedeva trasudare dai marmi le lagrime di dolori passati rinnovati sempre, egli sentiva palpitare silenziosamente l'anima delle cose all'unissono coll'anima sua in una vibrante armonia di tristezza e di luce. Egli amava nel mondo visibile l'invisibile mistero ed a quello tendeva con inconscia sicurezza.
Già la nebbia che si era sollevata nelle ore meridiane ricominciava a cadere lentamente. Il fanciullo argomentò che l'ora attesa non dovesse essere lungi: infatti recatosi sul piazzale e guardando in su verso le vie fuggenti a nord riconobbe in una massa bruna che si andava man mano ingrossando le prime file del corteo funebre. Contemporaneamente alcuni