La vecchia casa. Neera

La vecchia casa - Neera


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dovesse lasciare un vuoto angoscioso nella figlia che di lui solo era vissuta fino allora, ammiratrice entusiasta fino alla venerazione.

      Desolata in mezzo alla gente, sola anche cogli amici che erano tanto diversi da lei, sentendo ad ogni istante per la forza fatale dei confronti l'immensità della sua disgrazia, Anna si ritemprava in quella camera satura delle idee, dei sentimenti, degli appassionati entusiasmi, delle delicate fantasie, delle ricerche amorose e profonde che da vent'anni formavano il nucleo di quella che era stata una esistenza in due.

      Nella stessa camera si aggirava ancora la piccola figura elegante della nonna spiritualizzata nel ricordo; e della di lei dimora erano rimasti alcuni pastelli deliziosi appoggiati alla tappezzeria di un rosso cupo, il piccolo divano fra le due finestre, uno stipo tutto a cassettini, verniciato di chiaro, che sorrideva da un angolo come se avesse conservato nelle sue rotondità lucenti e fiorite la serena filosofia della vecchia signora.

      Tanto era ininterrotta in quella famiglia la catena d'amore che gli antenati rivivevano coi giovani nipoti, avendo trasmesso a loro i gusti, le abitudini, certi atteggiamenti, certi motti. Tre generazioni erano nate sotto quei soffitti a volta fasciati di una tenera zona cilestrina, tra quelle pareti che gli usci interrompevano con una larga volata di imposte dipinte a nastri azzurri, a ghirlande di fiori sospese fra stipiti dorati, cui sovrastavano pitture a tempera di soggetto ridente. Ogni posto, ogni cantuccio raccontava una storia. Vecchi e bambini avevano pianto e avevano riso, avevano amato, gioito, sofferto, pensato, sognato, nella casa tranquilla, nelle signorili stanze ampie, illuminate, dove il riflesso dei giardini sottostanti faceva salire una gradazione delicata di verde che smorzava l'eccesso della luce. La felicità — una felicità alta e severa fatta di pensiero — palpitava in ogni linea, in ogni profilo; era così profondamente radicata nella casa benedetta che osava sprigionarsi anche dalla gravezza del lutto. Anna non vedeva nè la giornata grigia, nè la camera deserta, nè il posto vuoto. Nella sua anima ardente la vita era eterna.

      Giaceva sulla scrivania di suo padre un libro aperto, lasciato aperto da lui nelle ultime ore. Il libro era collocato un po' di traverso (si ricordava benissimo), egli stesso lo aveva allontanato colla mano in un momento di stanchezza, ma senza chiuderlo, come se sperasse di poterne continuare in breve la lettura. Un segno rosso sul margine attrasse particolarmente l'attenzione di Anna: suo padre doveva averlo tracciato nella estrema attività del pensiero, poche ore prima di morire. Questa certezza le fece chinare il capo ansiosamente sul volume. Lesse: “Io non amo inzaccherarmi le vesti col fango delle vie. Io voglio in puri abiti di festa attendere il giorno dell'avvenire„.

      Due lagrime cocenti le bruciarono gli occhi, caddero, si posarono sulla pagina segnata. Quelle erano le ultime parole meditate da suo padre!

      Presa da una indicibile commozione, non udì la voce della piccola sorella che la chiamava dal corridoio. Solamente al leggero rumore dell'uscio che si apriva volse il capo.

      — Flavio ha voluto venire....

      I due fanciulli entrarono: Elvira davanti, poi Flavio, timido, cogli occhi che chiedevano scusa.

      — Ha voluto venire! — ripetè Elvira, dando un'occhiata sdegnosa alle traccie che le scarpe di Flavio lasciavano sul tappeto.

      — Hai fatto bene — disse Anna tentando di sorridere al fanciullo: ma davanti a quella faccina mesta sentì che non era necessario fingere e riprese, senza nascondere nulla del proprio affanno: — Dovevate chiamarmi, vi avrei raggiunti di là.

      — Se ti dico che è lui che ha voluto venire!...

      Flavio girava il suo cappello fra le dita, incapace di parlare, vedendo confusamente ogni cosa, con un gran nodo nella strozza, un po' ferito dall'insistere che faceva Elvira sulla domanda ch'egli aveva appena posata con grande timidezza.

      — Che sciocco! — mormorò Elvira scappando nel corridoio.

      Anna non udì precisamente le parole della sorella; guardò il fanciullo e fu colpita dall'espressione disfatta del suo volto.

      — Tu volevi vedere la sua camera, nevvero?

      Un lampo di riconoscenza per essere stato compreso brillò nello sguardo del fanciullo. Ancora non disse nulla, ma fece qualche passo verso la sua protettrice. Ella gli prese le mani, attirandolo, mormorando con passione:

      — Lo amavi dunque molto?

      — Oh! — rispose il fanciullo.

      Null'altro. Per un istante le loro mani rimasero avvinte. Si guardarono profondamente, disperatamente, in fondo alle pupille. Avrebbero creduto di udir battere i loro cuori!

      — Flavio — disse Anna ad un tratto — tu sei ancora giovane, non puoi comprendere chi fosse veramente colui che abbiamo perduto.

      — Io lo so — rispose Flavio con molta semplicità.

      Anna prese allora a considerare il pallido volto del suo amico, si ricordò che era meno fanciullo di quanto potesse far credere il suo aspetto; vide ad ogni modo nella piega dolorosa delle labbra le traccie di una sensibilità superiore agli anni e la bontà colla quale lo aveva sempre trattato assunse, in quel medesimo istante, un grado di simpatia più elevata che glielo fece riguardare come fratello. Di tutte le persone che avevano pianta la morte di Gentile Lamberti nessuna le era parsa, come quel fanciullo, vicina a lei, al suo modo di amare e di sentire.

      Con uno slancio improvviso dove la passione dolorosa si vestì di una ineffabile dolcezza ella disse:

      — Guarda!

      L'occhio suo guidò Flavio verso il libro aperto, mentre coll'indice additava le parole segnate.

      Il fanciullo lesse in silenzio. Anna che lo osservava vide le sue labbra tremare e le sue guancie, che erano già pallide, farsi trasparenti. Tutta presa d'ardore, Anna rilesse a voce quasi alta: “Io non amo inzaccherarmi le vesti col fango delle vie. Io voglio in puri abiti di festa attendere il giorno dell'avvenire„.

      Senza rendersene esatto conto Flavio sentiva vagamente di ricevere una particolare distinzione, quasi una prova di fiducia e di tenerezza che da parte di quella donna superiore andava a risvegliare le corde più riposte del suo orgoglio d'uomo. Il fanciullo timido, avvilito, incompreso, il fanciullo di cui nessuno prendeva cura se non per abusare della di lui debolezza, saliva allora il primo gradino della dignità virile, e chi lo guidava, sorreggendolo, era un dolce viso femmineo, era una voce a lui ben nota per altri soavi ricordi. Solamente la sera prima Anna, in un momento di abbandono pietoso, se lo era stretto contro il seno. Tornavagli in quel punto vivissima la sensazione di tepore e di morbidezza risentita nella carezza fuggevole. Standosene egli un po' curvo sul libro vedeva Anna, ritta, più alta di lui, sorgere al suo fianco e disegnarsi contro la luce della finestra in una linea elegante di stelo che l'abito di un rosso vivo sembrava bagnare di sangue. Penetrato di un intimo calore, con una baldanza insolita e nuova, disse:

      — Anch'io voglio fare così.

      — Perchè è così che si ama — completò Anna.

      Rimasero entrambi ad ascoltare il suono delle loro voci, cadente grave nella camera come se un voto solenne fosse stato pronunciato.

      Fu Elvira che li trasse dal sogno. Ella, rientrando, arrestò gli occhi sull'abito rosso di Anna a cui la luce immediata della finestra dava un particolare risalto.

      — Bisognerà bene ordinare gli abiti di lutto.

      Pronunciò queste parole colla sua calma di bimba saggia, con quel criterio pratico e positivo che le attirava sempre l'ammirazione del signor Pompeo.

      Anna frenò un moto istintivo di ripugnanza, lasciando cadere gli sguardi sulle sue maniche.

      — Gli piaceva tanto quest'abito!

      Si volse a Flavio persuasa che egli la comprenderebbe.

      — Mi pare, spogliandolo, di spogliare un ricordo suo, di allontanarlo maggiormente dalla mia vita; mentre vorrei continuare in tutto e per tutto, sempre, come se egli mi guardasse ancora. Perchè cambiare la veste che egli amava, la veste consacrata dalle sue carezze?

      Elvira soggiunse con un leggiero allarme:


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