La vecchia casa. Neera

La vecchia casa - Neera


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posto sotto l'atrio e lungo i colonnati.

      Il fanciullo rimase sulla piazza portandosi verso l'angolo della via che fronteggia il tempio e tenendovisi nascosto in modo che la sola testa sporgesse in fuori a guardare il corteo che si avanzava, dapprima incerto per la molta lontananza e per il velo di nebbia che si stava svolgendo sulla città, poi distinto nel lugubre drappello dei necrofori, nei rocchetti bianchi del clero sopra cui ondeggiava la croce dai pallidi riflessi d'argento, finalmente il carro in un nimbo di fiori. Ecco! Il fanciullo si aggrappò al muro, strisciandovi sopra la faccia con uno spasimo improvviso. Gentile Lamberti gli passava davanti morto. Morto! Sbarrò gli occhi, meravigliato di non vederci più; sentì il muro bagnato sotto la sua guancia e si accorse di piangere....

      Quando tornò a vedere, il carro aveva svoltato verso la chiesa seguito dai parenti, dagli amici, dalle rappresentanze cittadine. Molte persone che avevano conosciuto anche per poco l'uomo insigne che non era più, molti di coloro che senza averlo conosciuto personalmente onoravano in lui la rara concordanza fra l'ingegno e il carattere venivano in seguito e ad ogni svolto di via altri se ne aggiungevano; altri, trovandosi sul passaggio della salma venerata, interrompevano la loro corsa di affari o per curiosità o per simpatia o per poterne parlare in casa e ripeterlo agli amici. L'interminabile sfilata si perdeva colle carrozze del seguito in tutte le vie adiacenti.

      Allora il fanciullo abbandonò il suo posto di osservazione e guizzando inavvertito in mezzo alla folla ripassò il cortile, rientrò nella chiesa stipata di gente dove gli fu impossibile avanzare, per cui rifugiatosi in una cappella si addossò a un pilastro ed ivi stette aspettando che fosse compiuta la cerimonia religiosa. Alzandosi però sulla punta dei piedi e colla vista che aveva acutissima intento a scrutare quella massa di teste denudate e raccolte vide la testa medusina del signor Pompeo, in prima fila, rigidamente piantato davanti alla luce di un finestrone perchè ognuno potesse sapere che egli era là. Da quel punto la maggior preoccupazione dello scolaro fu quella di schivare il temuto pedagogo che lo credeva a scuola, e appena terminate le preghiere, quando la folla colle sue onde di mare agitato si mosse riversandosi verso le porte del tempio, egli, facendosi piccino, scivolando silenzioso, si confuse cogli ultimi, cogli umili, indifferente alla inferiorità del posto che occupava, pago di accompagnare l'uomo amato con tutto l'ardore, con tutto l'entusiasmo del suo cuore giovane.

      La nebbia intanto, la strana, fantastica nebbia del novembre milanese, continuava a cadere molle e muta. Sulla piazza di Sant'Ambrogio, nel lungo viale sotto gli alberi, ogni forma perdendo la precisione del contorno si ingigantiva in una ciclopica visione di masse indecise salienti a toccare il cielo: e talora sembravano palazzi inaccessibili, soggiorno di genî e di fate; tal altra prendevano l'aspetto di monti iperborei sorti improvvisamente a restringere i confini della terra. In mezzo ad essi la linea del corteo funebre, svolgendosi con ondulamenti di serpe, procedeva a guisa d'ombra nera tremolante nella vasta ombra grigia immobile. Parve al fanciullo che Gentile Lamberti movesse così verso il doloroso mistero accompagnato da fantasmi velati, quasi sospinto da forze invisibili in quelle tenebre che si facevano di istante in istante più fitte, verso la gran tenebra ignota. Le ombre incalzavano le ombre, nel silenzio tragico delle vie che si inabissavano paurosamente davanti allo sguardo, davanti al passo, come se una voragine le inghiottisse.

      Avvinto da un fascino che un vago inesprimibile terrore rendeva più intenso, il fanciullo si stringeva al gruppo delle persone che lo precedevano: solo un tratto che egli fosse rimasto indietro si sarebbe smarrito irremissibilmente. Camminando con quel suo passo leggero e timido fissava con ostinazione quasi magnetica le torcie accese che rompevano l'oscurità con piccoli punti gialli intorno ai quali il riflesso roseo della fiamma, venendo a contatto colla nebbia, tracciava una zona delicatissima di color violetto morente in una gradazione quasi inafferrabile di verde pallido, poi di grigio, poi di grigio più intenso, che mescendosi alle irradiazioni delle torcie vicine spargeva nella nebbia un chiarore madreperlaceo di un effetto misterioso. Tutti i preparativi del funerale, la chiesa addobbata a lutto, il catafalco, i fiori, la folla, ognuna delle cose stabilite e fisse, ognuna delle materiate manifestazioni umane scomparve dalla sua memoria. Un mondo ignoto sorgeva per lui da quelle tenebre stranamente iridate: mondo di larve rompenti l'ostacolo con petti virili, singhiozzanti con femminei seni: mondo di lagrime portate a vagare lungi dagli occhi che le avevano spremute, lungi dalle mani che le avevano terse, erranti in cerca di altri occhi a cui appendersi, di altre mani da irrorare: ed egli le beveva, quelle lagrime, avidamente, nell'aria umida e densa che gli palpitava sul viso un soffio gelido di morte.

      A un tratto non vide più nulla; non la massa incerta delle persone che lo precedevano, non i punti luminosi delle torcie, nemmeno la più lontana rifrazione delle fiamme, nulla! La muraglia nera della notte gli stava davanti terribilmente muta.

      Ciò che aveva paventato accadeva. Il corteo funebre che si era andato di continuo assottigliando si tolse ai suoi occhi, improvvisamente divorato da un più fitto strato di nebbia. Egli si trovò solo, perduto nelle tenebre.

      Mosse alcuni passi nella stessa direzione, con una forza di volontà disperata che gli faceva sbarrare gli occhi e tendere le palme in attitudine di respingere un nemico; ma il nemico opponeva la sua molle resistenza di fantasma imponderabile, lo serrava e lo soffocava nelle sue braccia di velo, impassibile, penetrante, silenzioso. Non uno spiraglio di luce si offriva a' suoi sguardi, non un suono colpiva il suo orecchio ansioso. Nel breve cerchio della sua persona un crepuscolo violaceo rinnovato di passo in passo, pari a una lanterna portata da una mano invisibile, gli tracciava misteriosamente il cammino. Si fermò cercando di indovinare in qual punto della città si trovasse. Invano. Da una parte e dall'altra l'invincibile muraglia lo respingeva.

      Così, abbattuto, avvilito, sbagliando ogni tratto, retrocesse sulle sue proprie orme e quasi riprendendo il possesso della realtà man mano che si avvicinava ai luoghi noti pensò al precettore che doveva attenderlo, al castigo che lo aspettava, e una tristezza infantile sprigionandosi dal suo gracile petto gli serrò la gola con un singulto.

      Quando potè ritrovarsi nella sua contrada, davanti alla porta della sua abitazione, esitò un istante; poi riunendo tutto il coraggio entrò di corsa; salì l'ampio scalone signorile che arrestavasi al primo piano e stava per slanciarsi sulla piccola e buia scala del suo precettore, allorchè la voce fessa del signor Pompeo risuonò altamente in uno scoppio di collera ed egli stesso apparve sulla soglia dell'appartamento del primo piano che un domestico gli aveva spalancata. Il fanciullo ebbe appena il tempo di gettarsi in un canto, rannicchiandosi contro la parete; il signor Pompeo si fermò volgendosi verso una persona che gli stava alle spalle:

      — Quel ragazzo — disse con accento duro — ha bisogno di una lezione.

      Una voce soavissima, una voce di donna angelicata benchè tremante fra le lagrime, pregò con indicibile commozione:

      — Non oggi! non oggi!

      E temendo forse che la parola non bastasse, l'incognita aggiunse il gesto supplice delle mani congiunte verso l'uomo che già aveva varcata la soglia, seguendolo per ottenerne una promessa di clemenza. Fu allora che ella scorse il fanciullo rattrappito e tremante nell'angolo della scala.

      — Flavio! Poverino, che fai qui?

      Se lo attirò fra le braccia dolcemente materne e trovandolo intirizzito ne strinse il volto contro il proprio petto con un movimento rapido e lieve, ripetendo: — Poverino!

      Flavio si sentì salvato.

      Non molto ampia, modesta, coll'intonaco di un bigio caldo che le dava un aspetto vivente quasi di persona, la casa che i Lamberti abitavano da oltre mezzo secolo riuniva tutti i caratteri delle vecchie case, signorili senza sfarzo, costruite con quel sentimento dell'interno che faceva disprezzare ogni pompa, che teneva la porta non più alta del necessario ma discretamente larga perchè la carrozza padronale vi potesse entrare comodamente e che si accontentava di due piani ampiamente soleggiati. Il primo proprietario — un cadetto di nobile famiglia — vi aveva conferito, ad onta dei mezzi limitati, il suggello di distinzione della sua razza e tale suggello si era conservato inalterato attraverso le peripezie delle successioni.

      La piccola casa nella via deserta, nel quartiere eccentrico, non aveva destato le cupidigie dei nuovi arricchiti; nessuno aveva mai pensato che si potesse trasformarla in un piramidale palazzo moderno e


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