Alle porte d'Italia. Edmondo De Amicis

Alle porte d'Italia - Edmondo De Amicis


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Il presidio, formato da principio di quattrocento cinquanta soldati, scelti tra i migliori nei dodici battaglioni di Pinerolo, con venti sergenti e venti ufficiali eletti, comandati dal colonnello Sestribe e dal governatore De Beaulieu, doveva essere rinfrescato senza posa. I bastioni costrutti di recente, e guasti dalle grandi piogge, oltre che danneggiati dalle stesse artiglierie della cittadella che li proteggevano, richiedevano un lavoro continuo e precipitoso di riparazione. E con tutto questo, il forte tenne duro contro quattro eserciti per quasi un mese.

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      Ma via via che si saliva, e che il terreno s'andava facendo più ripido e più rotto, il maggiore pareva sempre più disposto ad ammirare gli assedianti. — Caspita! diceva, soffermandosi per guardare intorno, — era una dura impresa (une rude affaire). Bombardati dal forte, bersagliati dalla cittadella, tempestati dai ridotti, fulminati dalle batterie mobili del Tessé.... ci volevan dei petti di bronzo e dei fegati d'acciaio per tener le trincee. Eppure, chi sa! avrebbero piantato ogni cosa, forse, se non era la presenza dei due principi savoiardi. Quelli eran due campioni, sacro dio!

      Feci un sorriso modesto in nome dei due principi. Con uno straniero, vien qualche volta naturale anche all'ultimo dei cittadini, di imitare quel vecchio sergente francese il quale diceva: — L'empereur et moi, ça ne fait qu'un. — E poichè m'aveva detto una cosa gradita, io gli dissi alla mia volta, per rendergli la gentilezza, che ammiravo cordialmente, come un bell'esempio del come si possa accordare l'orgoglio del soldato col rispetto dovuto a un nemico glorioso, la nobile risposta che il governator De Beaulieu aveva dato al principe Eugenio quando questi era venuto in persona a intimargli la resa, affermandogli che le comunicazioni tra il forte e la cittadella eran rotte. Invece di scimmiottare il Roi soleil con una risposta spavalda da eroe di teatro, egli s'era contentato di accennare al Principe la strada sotterranea ancor libera, il fosso sgombro e la breccia richiusa, rispondendo rispettosamente: — Vostra Altezza vede. Un soldato d'onore non può ancora render la spada.

      — Non poteva ispirare che una risposta nobile la parola del Principe Eugenio, — rispose il maggiore. Ah! l'Abatino! Egli l'ammirava con entusiasmo quella simpatica e strana figura, quell'eroe gobbetto, che non aveva mai lasciato vedere il suo scrigno ai nemici, piccolo, gracile, terribile, con quegli occhi da Napoleone del Meissonnier, chiari come due diamanti, con quel nasino voltato in su, con quella bocca sempre aperta come per esser più pronta a gettare il grido dell'assalto. Ci doveva mettere il diavolo in corpo ai suoi reggimenti quando passava di galoppo con la bella coccarda azzurra sulla corazza, e apostrofava i soldati in quattro lingue, dissimulando con un sorriso il tormento della sua vecchia ferita di Belgrado. Era una mirabile natura, audace, tenace, impetuosa, gioviale. Nulla lo definiva meglio della scommessa di cento doppie che aveva fatta la sera del primo sabato d'agosto con Vittorio Amedeo: di fargli sentir la messa nel forte di Santa Brigida all'alba del giorno dopo.

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      Arrivati sulla cima del monte, il maggiore De Beaulieu riconobbe il terreno con un'occhiata. — Qua eran piantate le batterie dei tedeschi, comandati dal maggior generale Scheveim; là ci doveva esser la trincea dei mille e settecento inglesi, comandati dallo Schomberg; laggiù gli spagnuoli col generale de Las Torres. Dov'è il Pilone della Morta? mi domandò. — Gli indicai il piccolo gruppo di case dove rimangon gli avanzi d'un pilone sul quale era anticamente raffigurata una donna, morta là una notte per terrore degli spiriti. — Fino a quelle case, disse il maggiore, si spinsero il 27 luglio, incalzando i francesi cacciati da Frossasco, cinquemila soldati del duca di Savoia. Il forte era formato da quattro bastioni e sfolgorava tutto quello spazio d'attorno palmo per palmo. Ma doveva essere terribilmente tragica la condizione del forte negli ultimi giorni, quando già erano stati costretti a levar via la più parte dei cannoni, e i fossi erano colmi di ruderi, i bastioni squarciati, la via sotterranea in pericolo, la palizzata minata per far saltare la controscarpa del fosso; e gli assediati si vedevan dintorno, a pochi passi, le gole nere di tutti quei mostri di bronzo venuti su come strisciando col favor delle tenebre, e tutti quei visi arsi di soldati d'ogni paese, inferociti da cento assalti e smaniosi dell'ultima strage, che li divoravan con gli occhi iniettati di sangue, mostrando le baionette. A quel punto, ogni resistenza era inutile. All'alba del quattordici, in fatti, gli alleati, cannoneggiando furiosamente i bastioni già cadenti, si avanzano per tentare l'ultimo assalto. Uno scoppio tremendo li arresta per un momento: le porte e il ponte del forte erano andati per aria. Credono d'aver appiccato il fuoco al magazzino delle polveri, ricominciano a fulminare con la frenesia della vittoria. Ma che è? Dai bastioni non si risponde. Si avvicinano titubanti, irrompono dentro come un torrente.... Non c'è più anima viva. Il forte è un mucchio di rovine. Non ci trovano che pochi cenci sanguinosi e un cannone con l'arma di Savoia, inchiodato. Fin dallo spuntare dell'alba, il governatore De Beaulieu, per ordine del comandante di Pinerolo, dopo aver fatto minare le cortine della porta principale e delle porte di soccorso, era sparito col presidio per la via sotterranea, non lasciando che pochi soldati coll'incarico di dar fuoco alle mine all'ultimo momento. Che formidabile moccolo deve aver attaccato Vittorio Amedeo!

      Avvicinandosi alla villa solitaria del signor Todros, che copre lo spazio già occupato dal forte, il maggiore si fermò ad osservare due piccole piramidi di bombe che s'alzano sui due pilastri della porta del giardino: bombe che furon trovate nella terra, con qualche pezzo d'armatura e poche monete ossidate, scavando là presso. Chi sa che non fosse proprio una di quelle, la bomba che aveva fracassato le gambe al povero Montour, maggiore del presidio. — Due bei piatti di patate di Savoia, — soggiunse il De Beaulieu, fissandole con gli occhi sorridenti d'un buongustaio.

      Lassù v'è uno spianato ampio, come non s'immagina guardando la cima del monte da San Maurizio: bei vigneti; tratti di terreno coperti d'erba altissima, ombreggiati da gruppi di quercioli, di eriche, di pini selvatici, e tutti tempestati di rosolacci, d'ombrellifere bianche, di ranuncoli, di giunchiglie, di fiori di smirnio, di pervinche, folti come i fiori di una aiuola, e frammisti a una quantità di pianticelle odorose che, toccate passando, spandono aromi acuti lungo i sentieri. Sedemmo per pochi minuti in mezzo agli alberi, e riposando là in quell'ombra quieta, in mezzo a quei profumi, refrigerati da un bicchiere d'acqua ghiaccia bevuta al pozzo d'una fattoria vicina, accarezzati da un'aria fresca e morbida che ci entrava tra i panni e ci girava intorno alla vita e alle braccia, pensammo tutti e due a quei poveri soldati che in quei medesimi giorni di agosto, a quella stessa ora, cento ottantasei anni addietro, attraversavano correndo quello stesso spazio di terreno, allora nudo come un deserto, arroventati dal sole, trafelati, sfiniti, stravolti, inciampando nei cadaveri sbudellati dei loro compagni, sotto una grandine di palle francesi, mezzi morti di fame e di sete; là, a centinaia e centinaia di miglia dai proprii paesi e dalle proprie famiglie, di cui non avevan notizia da molti mesi, e che non avrebbero saputo nulla della loro morte; poveri strumenti ciechi di grandi ambizioni che non capivano, povera carne da mortai, sospinta a marce forzate da un capo all'altro d'Europa, frustata, macellata e dimenticata! Povere creature umane! — Ma perchè non avete messo un ricordo quassù? — mi domandò il bravo maggiore: — una pietra con quattro parole almeno?

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      Grazie alla cortesia del signor Todros, potemmo entrare nel giardino, e salire sulla torre della villa. Lassù il De Beaulieu mise fuori una di quelle voci lente e prolungate di stupore con le quali si suole accompagnare il volo circolare dello sguardo lungo gli orizzonti d'un panorama meraviglioso. Subito lo colpì quella bella conca ridente di Cumiana, che vien fuori inaspettata dalla parte sinistra, col suo semicerchio di monti boscosi, coi suoi poggi coronati di chiesuole, colle sue borgate che fan capolino fra le macchie. — Dove sono i boschi della Volvera? — mi domandò. — Ah, so quel che cerchi! — pensai. Ma non ebbi il tempo di fargli l'indicazione. Egli conosceva meglio di me tutto quel vastissimo teatro del grande attore Catinat. — Voilà Piossasco, je crois, — esclamò, accennando giusto. Là era la chiave della battaglia di Marsaglia, il monte San Giorgio, a cui aveva appoggiata l'ala destra il generale francese, facendo fronte al principe di Commercy, che fu poi il primo sbaragliato. Eugenio era nel centro, Vittorio Amedeo nei boschi di Volvera; tutti furono sfondati e travolti. Una miseranda giornata, mondo ladro. Il maggiore non disse parola; ma vidi che, richiamato senza dubbio dall'analogia dei ricordi, cercava dall'altra parte la


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