Gli albori della vita Italiana. Autori vari

Gli albori della vita Italiana - Autori vari


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a tutte le cose umane il loro aspetto e la benevolenza loro, come voi, egregie Signore, sfiderebbero il pericolo di qualche momento non perfettamente allegro, mosse dall'idea di far un'opera bella, utile e veramente degna della fine cortesia femminile. Che se v'ha certezza di buona riuscita per questa colta società che promove le letture, essa sta tutta nella felice conciliazione dell'opera intrapresa, colle simpatie e colla lieta presenza dell'eterno femminino.

      Se in Italia poi è città alcuna più degna di dar vita a simili imprese e dove più fausti sorridano gli auspici, senza dubbio è questa — la cara e gentilissima Firenze — dove le conferenze sembrano esser nate, e dove certo per lunghi secoli vissero prosperamente. Quando la caligine del medio evo cominciò a diradare, e gli uomini, che tornavano a sentirsi giovani, credettero alla bellezza ed all'amore, su per questi giocondi colli fiorentini, fuggendo la morìa e lo spavento, tre giovani e sette fanciulle cominciarono il più lieto corso di conferenze che sia mai stato. Infatti, che altro è il Decamerone se non una serie di conferenze amorose, ora geniali, ora brutali, scintillanti ancora dell'arguzia fiorentina, spiranti ancora l'alito dell'antica vita italiana? Ma passata la gaiezza della fiorente gioventù, quando la dolce fiamma dell'amore fu spenta, un'altra illusione sorrise agli ingegni fiorentini, l'illusione della filosofia. Ed in questa disperata ricerca dell'ideale, in questa speranza sempre vana di sapere il perchè delle cose, ecco rinascere la conferenza, e il Ficino negli Orti famosi, parlare ai fratelli in Platone e cercare affannosamente le prove del Cristianesimo nella filosofia nata già sotto i platani e gli olivi di Acadèmo. E rifiorirono le beltà dell'arte, frondeggiò l'albero della scienza in questa Atene italica che dell'antica ebbe tutto, il genio, la gloria e talvolta anche i vizi.

      Caduta la giovinezza con l'amore, sfiorita colla speranza la virilità, venne il doloroso periodo della scienza che è fatta di disillusioni e di scetticismo. Già il Machiavelli leggeva i discorsi sulle Deche negli Orti neoplatonici e cercava, non più le recondite ragioni dei fenomeni universali, ma il segreto dei fatti e delle coscienze contemporanee. Il vero, il freddo vero, rimane immobile e terribile sulle ruine degli ideali e dei sogni caduti. Agli entusiasmi dell'amore, della fede, della speranza, succedono, come i vecchi ai giovani, i severi studii della realtà e della esperienza, e in questo radioso e divino sole di Toscana, Galileo trova e numera le macchie. L'Accademia del Cimento notomizza la natura, l'Accademia della Crusca notomizza la lingua. Non ci sono più entusiasmi e tutta una generazione di vecchi frigidi, lavora matematicamente precisa a scrutare, a compilare, a raccogliere; ma sul suolo spossato la pianta della conferenza vegeta ancora, diventata scientifica, erudita o anche pedante, pur tuttavia verde e vitale. Persino gli ultimi e più cinerei tempi della decadenza la videro trasformata in misere cicalate, ridotta ai puri lenocinii della lingua, ultimo belletto alla decrepitezza del pensiero; ma la videro tuttora, quasi a testimoniare della sua tenace vitalità in queste propizie aure toscane. Le annose radici gettarono polloni ancor verdi fino a che i tempi furono maturi e compiuti.

      Ed ora, rinnovata ogni cosa nella vita sociale, politica e letteraria, ecco di nuovo la conferenza antica che, sotto forma di lettura, ringiovanita e rinnovata, si ripresenta ai colti fiorentini, non immemori delle gloriose loro tradizioni. E così, uscita dal pelago alla riva, si volge all'acqua perigliosa e guata il passato e si propone di dipingervi per ora il lontano periodo delle origini, il principiare dei Comuni, della Monarchia, del Papato, della lingua e dell'arte. Eccola, sotto il patrocinio di illustri uomini, col decoro di celebri nomi, ricordarvi che, nata già in Firenze, a voi, concittadini suoi, spetta il farle accoglienze oneste e liete ed assicurarle vita duratura. Eccola, per indegno ambasciatore, rivolgersi fiduciosa a voi, graziose signore, chiedendo la benevolenza e l'amor vostro che vivifica, riscalda ed illumina. Eccola, infine, ad implorare la vostra cortese pietà per la vittima della prefazione.

      NOTA.

      Alle letture fiorentine doveva preludere l'onor. Ferdinando Martini. Ma l'illustre uomo, trattenuto a Roma da gravi doveri, non potè, ed io fui chiamato a sostituirlo.

      Grato agli egregi amici che pensarono a me ed a tutti coloro che benevolmente mi accolsero e festeggiarono, mi è forza però far noto ai lettori come fu fatta questa conferenza; cioè quasi all'improvviso. Ed essendo prefazione ad un libro ancora da farsi, non poteva darne che cenni vaghi con parole inconcludenti. Si trattava di menare il can per l'aia un paio di quarti d'ora, tanto per cominciare. Il che mi sia di scusa presso coloro che cercheranno qualche cosa qui, e non la troveranno. O. G.

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      DI

       PASQUALE VILLARI

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       Signori e Signore.

      Chiunque sente annunziare una conferenza sulle origini di Firenze, immagina subito una serie svariata di avvenimenti fantastici e pittoreschi: castelli feudali; associazioni di operai, che combattono intorno al Carroccio; poeti; pittori; l'origine delle arti, della lingua, della cultura italiana. Chi invece ha l'onore di fare la conferenza, e si pone a studiare coscienziosamente il soggetto, si trova dinanzi alcuni brani di vecchi annalisti, i quali contengono una serie scarsa di aride notizie, poco più che dei nomi e delle date: le date spesso sbagliate, i nomi non sempre intelligibili. È facile immaginarsi come gli antichi sciupassero qualche volta i nomi, se noi pensiamo che, per esempio, un cronista quale era Giovanni Villani, nel parlarci di Federico II di Svevia, di Corradino e degli altri della famiglia Hohenstaufen, di Casa Sveva, traduce questo nome in Stuffo di Soave. E così avvenne che gli scrittori moderni, in tanta scarsità di notizie, ricorsero fra di noi al partito di rinunziare addirittura a discorrere delle origini di Firenze. Basti dire che l'illustre marchese Gino Capponi, nella sua grande opera, dopo una brevissima introduzione, fa un salto fino alla morte della Contessa Matilde, e poi in dodici pagine tratta più di un secolo di storia, arrivando fino al 1215.

      Gli antichi si trovarono dinanzi a questa medesima difficoltà. Ma essi seguirono un metodo molto semplice. Il Villani ed altri cronisti, non trovando notizie sulle origini di Firenze, ci dettero una leggenda, che non ha nessun fondamento storico, e non ha neppure la poesia che si trova nelle leggende che circondano le origini di Roma e delle città della Grecia. È una leggenda, invece, che qualche volta manca addirittura di senso comune. Basti dire che in essa (quale almeno la leggiamo nel Malespini) ci si descrive la moglie di Catilina, che, il giorno della Pentecoste, va a sentire la messa nella Canonica di Fiesole.

      Bisogna quindi ricorrere ai documenti; ma i documenti fiorentini che noi abbiamo, cominciano quando già il comune esisteva da un pezzo. È naturale che il Comune non potesse fare dei trattati, delle leggi prima di cominciare ad esistere. Abbiamo quindi bisogno d'aiutarci colla storia generale del tempo, coi documenti posteriori, o di altri luoghi vicini; di interpretare delle frasi; fare delle indagini, per potere, retrocedendo con la induzione, cercare la spiegazione degli avvenimenti anteriori. E così è che a voler fare davvero una buona conferenza sulle origini di Firenze, bisognerebbe farla estremamente noiosa.

      Ma si dirà: perchè scegliere allora un tale argomento? Ve ne sono tanti nella storia d'Italia meno oscuri e più dilettevoli. Perchè scegliere questo appunto delle origini? Il vero è che esso ha pure la sua grande importanza, la quale risulta da più e diverse cagioni. E prima di tutto ve n'è una assai generale. Il Comune italiano è una istituzione che creò la società moderna. Il Medio Evo non conosceva lo Stato; l'Europa era divisa in castelli feudali, in associazioni, quasi in piccoli gruppi e frammenti. Al di sopra di questi frammenti, in cui la società si era sgretolata, v'erano due grandi, due universali istituzioni: l'Impero e la Chiesa; l'Impero, che rappresentava il principio giuridico e politico del mondo; la Chiesa, che rappresentava l'unità del principio religioso. Ma queste due istituzioni, appunto perchè universali, non potevano favorire la costituzione dello Stato moderno, nazionale. Il Comune si pose a tale opera, e gettò le basi dello Stato moderno. Il Medio Evo non conosceva la civile uguaglianza; l'aristocrazia era una casta separata dal resto della popolazione; essa


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