Una notte fatale ovvero il racconto dell'esiliato. R. A. Porati

Una notte fatale ovvero il racconto dell'esiliato - R. A. Porati


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in un canto trinca la sua caraffa.

      «Piuttosto che rimanermi solo mi reco da lui. Bisognava che in quel giorno ne avesse bevuto qualche bicchiere più del consueto poichè non l'ho mai trovato così aperto e voglioso di far confidenze.

      «—Oggi esser festa per me, mi dice tutto contento.

      «—Lo credo, rispondo io, oggi è domenica per tutti.

      «—Mia patrona, riprende lui, afermi tonata pel recalo e lasciala in libertà tutta giornata; oggi essere il suo… nomo… nomo… come dite foi… ah, suo nomastico.

      «Povero diavolo si spiega come può.

      «—Ma come avviene che tu abbi un padrone, gli domando io.

      «Egli allora mi racconta essere lo staffiere d'un officiale polacco ed abitare il palazzo dirimpetto all'osteria.

      «—Oh bella, non sapevo, dico io; e così come ti trovi col tuo padrone, non ti mancheranno certo bastonate, eh?

      «—Mia patrona non esser catifo, mi risponde il croato, esser stata sempre pona con me, ma atesso che star innamorata difenire un po' pricante.

      «—Ah, il tuo padrone è innamorato? diavolo, bisogna che la sua bella non sia troppo del suo parere se l'amore gli fa passare dei brutti quarti d'ora.

      «Il croato parve d'un tratto pentirsi d'aver condotta la conversazione su questo punto e tentò deviarla; io allora insisto. Finalmente dopo d'averne ingollati ancora un paio di bicchieri egli mi spiffera tutto quanto sa sul conto del suo padrone.

      «Ed è questo.

      «Una mattina l'ufficiale vide la biondina recarsi al magazzeno; bisogna che quella fanciulla sia ben leggiadra di volto e di forme, poichè il polacco, come lei signor conte, se ne invaghì.

      «Da quel giorno la bionda non mosse passo fuor di casa senza trovarsi al fianco la figura attillata del giovine ufficiale che la seguiva dovunque, tentando ogni mezzo per vincere quella ritrosia più o meno comune a tutte le donne.

      «Non ci fu verso; la bionda che ora incomincio a credere un portento di virtù non fece mai mostra d'accorgersi di nulla, finchè lui vedendo che non era carne per i suoi denti abbandonò l'idea di sedurla, non certo io credo, la brama di possederla.

      «S'immagini adunque come dovrà restare il nostro polacco allorquando saprà che quel fiore ch'egli non seppe cogliere ornò il petto d'un altro più felice mortale, lasciandovi tutti i tesori de' suoi olezzanti profumi.»

      —Sta bene, esclamò il conte con soddisfazione; gli proveremo che le nostre donne le sappiamo tener per noi.

      —E che volere è potere.

      —Adunque la cosa è combinata, proseguì Sampieri col tuono di chi non ammette repliche. Sabato alle due di notte la fanciulla nel mio castello di Magenta, qualunque sieno i mezzi, anche i meno prudenti. Guai s'io dovessi attenderla invano….

      E gli occhi del conte ebbero un lampo terribile.

      —Per tutti i diavoli dell'inferno, signor padrone, ella sarà ubbidito, o ch'io non son più Marco.

       Indice

      Se Giuda pel suo tradimento fu tormentato

       settanta volte, tu lo sarai

       settanta volte sette.

       GUERRAZZI.

      Aspettato con ansia indicibile dal conte Alberto Sampieri, arrivò finalmente quel sabato fatale che doveva portare la disperazione nel cuore d'una povera creatura.

      Sono appena suonate lo undici e mezza di notte; le stelle brillano sul firmamento; solo un grosso nuvolone contende il luminoso cammino della luna, nascondendone di tanto in tanto i pallidi raggi.

      Le vie di Milano incominciano già a farsi deserte, le botteghe si chiudono con alternato battere d'imposte, i pubblici convegni scioglionsi a poco a poco, ed il buio della notte avvolgendo l'intera città nel suo manto tenebroso, sembra tutti invitare ad un dolce e tranquillo riposo.

      Una carrozza signorile, trascinata da due vigorosi destrieri, cui esperto cocchiere mal frena gl'impetuosi slanci, muove da Porta Tosa, e percorrendo la via del Durino e attraversando il corso di Porta Renza*, entra nella via di S. Paolo.

      * Porta Venezia.

      Si avanza circospetta sin oltre la piazza Belgioioso, e approfittando da una curva disegnata dalla via, si ferma in tal punto dove la luce delle due opposte lampade non potendo efficacemente pervenirvi, lascia in completa oscurità.

      In allora dalla carrozza fa capolino un uomo, che guardando attentamente d'ambo i lati della via, apre la portiera e lascia scendere due robusti giovinotti.

      —Animo, lesti—disse poi rinchiudendosi di nuovo nella vettura e parlando dallo sportello;—tu, Piero, passeggia là in fondo vicino al magazzino; appena la scorgi, ricordati del segnale convenuto; sopratutto non dar sospetti.

      E Piero, fatto un segno col capo, s'avvia al luogo indicato.

      —Tu, Tonio, fermati per intanto davanti ai cavalli, indi ti nasconderai nel vano di quella porta; prudenza e sollecitudine.

      Marco diede codesti ordini sottovoce.

      Passa una mezz'ora senza che nulla di nuovo succeda.

      È tanto frequente il caso in Milano di vedere una carrozza fermata lungo la via, che niuno dei passanti concepisce il più piccolo sospetto; mille supposizioni d'altronde possono ampiamente giustificare quella sosta in un punto il più abitato della città.

      Marco, sbadigliando come uomo annoiato, osserva l'orologio.

      Mezzanotte sta per battere.

      —Ancora un momento, dice in cuor suo, eppoi ci poniamo in viaggio. Povera biondina, chissà come è lontana dall'immaginarsi la bella sorpresa che le abbiamo preparata. Un viaggetto in carrozza!… Eppure, Dio sa quante smanie; sarò costretto tenermela sempre nelle braccia, che non vorrei mi giuocasse qualche brutto tiro. Sarà un peso dolce, diavolo…. incomincio a credere che il padrone abbia voluto fidarsi un po' troppo di me; fortuna che Marco non abusa mai della confidenza in lui riposta, e che in mezzo ai suoi difetti non si sente capace di fare il minimo torto a colui cui mangia del suo pane.

      «Mezzanotte è suonata, ed il segnale non si sente ancora. Non vorrei che il diavolo ci mettesse la coda e mi mandasse tutto a monte. Non ci mancherebbe altro. Eppure la cosa è facilissima; le potrebbe per esempio saltar il grillo di cambiar strada; potrebbe essere accompagnata, oppure fermarsi al magazzeno tutta notte.

      E come si fa aver un rimedio pronto a tutto quello che può succedere? Ma bisogna dirle al conte queste belle cose, a lui che ciò che vuole, vuole. Guai se gli manco, mi strozzerebbe colle sue mani, ne son certo.

      «E non si sente nulla ancora, corpo di tutti i demonii.—E guardava un'altra volta l'orologio.—Dodici e un quarto.»

      Sbuffando di collera si affaccia allo sportello.

      In questo punto si ode un lontano mormorio di voci e nello stesso tempo un fischio acuto partire dalla medesima direzione.

      Marco trasale di gioia.

      Tonio senza far motto si toglie dai cavalli e si nasconde nell'angolo d'una porta internamente chiusa ed alquanto discosta dalle spalle di pietra.

      Il cocchiere quasi per avvertire che ancor lui ha udito il segnale dondola un istante sui cuscini ed affranca nelle mani le guide dei cavalli.

      Marco vide tutto questo, soddisfatto apre lo sportello e si tiene pronto, l'orecchio teso.

      A poco a poco le voci lontane cessano e tutto ritornando nel primitivo silenzio si può intendere il rumore di due passi che ratti s'avanzano battendo il lastrico.


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