Il Cavaliere dello Spirito Santo: Storia d'una giornata. Guido da Verona

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       Guido da Verona

      Il Cavaliere dello Spirito Santo: Storia d'una giornata

      Pubblicato da Good Press, 2020

       [email protected]

      EAN 4064066087913

       Entra il Prologo.

       Gli Uomini; le Donne; il Cavaliere dello Spirito Santo; il Fato Moderno; l'Orchestra in sordina; la Città.

       I centotrentotto Personaggi della Commedia sono

      MILANO

       Casa Editrice BALDINI & CASTOLDI

       Galleria Vittorio Emanuele, 17 e 80 — 1915

       Indice

      Una dolce sera mediterranea cadeva su la focense capitale dei Massalioti, or divenuta Marsiglia di Notre-Dame-de-la-Garde, sotto lo scettro imperatorio di Raimondo I. La città incurvata sul duplice suo porto, come sul gemino seno la madre che allatta il suo pargolo, riboccava per le babeliche strade, per le piazze alessandrine di tutte le ciurme, di tutte le pestilenze, di tutte le prostituzioni del mare di levante.

      Era in un mese d'estate, verso quell'ora che le stelle irrompono come sprazzi di fuochi artificiali tra le nuvole d'un cielo ancor rosso di tramonto. Grandi mantelli d'azzurrità quasi buia s'avvolgevano intorno ai dirupi medievali dell'isola di Château-d'If; l'antico forte St-Jean dei Cavalieri di Malta, con i suoi terribili occhi semispenti, ancor frugava per l'ombre del mar latino in cerca di galere barbaresche. Un odore drogato e contagioso di cuoio, di spezie, d'olii, di cereali e di bestiame vampava dagli stracarichi magazzini de la Joliette fra i profumi della sera d'estate.

      Non più ricordo con esattezza quale fosse il titolo della «revue d'été» che si rappresentava al Variétés-Casino; so che lo sfarzo dei lampioni quasi violetti e gli occhi neri d'una marsigliese giovine, così forte m'attrassero che dietro i suoi passi v'entrai. Aveva la pelle morbida come un guanto di antilope bianca, la sua capigliatura fosca luccicava come argento brunito. Ma era in compagnia d'un vecchio avvenente, le stava presso un giovincello scrupoloso: per me non v'era posto e me ne racconsolai.

      Come si chiamava, diamine! quella rivista d'estate? Forse: — «Tout nu... mam'zelle?» — «Soyons Cannebière!...» — «C'est ça qu'est chic!» — «Je m'en f... du progrès, zut!...»

      Mi pare che il titolo fosse quest'ultimo, o qualcosa di molto rassomigliante; in ogni modo il Compare, tipo alla Mayol, minacciava di pinguedine; la Comare, ossigenata e custodita in un busto che pareva scenderle sino ai ginocchi, aveva uno sguardo fortemente lesbico; ma c'era una indiavolata e struggente ballerinetta, che faceva la «Gibson girl» con un piedino da stare in tasca, la quale mi piaceva più che tutta Marsiglia; e si dicevano cose un po' forti, un po' estive, un po' sudate, cose piene di Montmartre marsigliese.

      Nella poltrona presso la mia v'era un uomo di mezza età, personaggio che m'incuriosiva quanto mai con il suo tipo d'inglese coloniale o di pastore anglicano dalla faccia d'esteta: un Lord Byron da strapazzo che si vesta in sartorie d'abiti fatti e frequenti la ellenica scuola di danza del fratello d'Isadora Duncan. Quella familiarità che dal riso presto nasce fra nomadi, quando come anime dannate si va in cerca di svago per le notturne città forestiere, fece sì che in poco avessimo legato discorso. Durante l'intermezzo gli diedi il mio biglietto da visita, ch'egli lesse con attenzione, poi mi presentò il suo che recava questa dicitura:

       le chevalier Aristophane

      auteur de revues classiques

      ATHÈNES.

      Incontrare Aristofane in persona al Variétés-Casino di Marsiglia, non è cosa che cápiti ogni giorno, e fui lietissimo della buona occorrenza. Egli parlava il francese con un lieve accento levantino, ma le sue frasi eran sparse d'un sale attico di piacevolissimo sapore, anzi mi avvenne di riflettere quanta rassomiglianza vi fosse tra la spigliata galloria di linguaggio dei «boulevards» parigini e il greco antico degli anfiteatri d'Atene, che m'aveva, ohimè, fatto sudare i miei buoni anni di liceo. Scendemmo al bar sotterraneo dove mi permisi di offrirgli un ottimo cock-tail Martini; egli fece qualche complimento, ma io lo persuasi a non cambiare le sue dracme, visto che avevo nel taschino molta moneta spicciola.

      Durante la rivista, — «Soyons Cannebière!...» «Je m'en f... du progrès, zut!» — si parlò del più e del meno; dopo, nell'uscire, si venne alle confidenze. Volle conoscere la mia patria, il mio mestiere, l'età, l'albergo, l'itinerario, mi domandò cosa facessi a Marsiglia, e così via. Gli narrai con qualche rammarico di essere un pressochè ignoto poeta e romanziere della terza Italia, non già che i miei scritti la cedessero a quelli della celebre Carolina Invernizio, ma insomma perchè il mondo è così fatto e l'Accademia non li vuole. «Servono, caro amico Aristofane, a dilettare gli ozî di qualche impiegato del telegrafo, o ad eccitare l'insonnia delle belle signore afflitte da un marito sonnacchioso e da un amante troppo metodico... Vi sono molti classici nel mio paese, che scrivono divertentissimi romanzi, e la gente seria legge questi. Ma io, caro amico Aristofane, «je m'en f... du progrès, zut!»

      «Le chevalier Aristophane» mi prese allora sottobraccio ed ebbe la cortesia di dirmi che mi trovava simpatico.

      — In Italia, — mi spiegò, — vengo assai di rado, perchè vi ho molti rappresentanti che tutelano i miei affari e la Società degli Autori mi manda ogni tanto un vaglia, che naturalmente è sempre ben accolto. Non certo per offendervi, ma questa Italia è rimasta un gran paese di zucconi, come al tempo dei Romani, vecchi tangheri. Scusate la franchezza, mio delizioso amico, ma io son nato in Grecia e non so dire che la verità...

      — Che mai! avete mille ragioni: laggiù si cammina a passi di lumaca, e solo quando una cosa ha ormai fatto il giro della terra, eccola da noi che tira fuori le corna. Siamo un popolo che impiega cent'anni per acquistare una convinzione, un'ammirazione, un'idea, ma quando la è penetrata nel sangue, nè l'evidenza nè la dinamite non la possono distruggere più.

      «Le chevalier Aristophane» mi strinse il braccio, ed ebbe la cortesia di dirmi per la seconda volta che mi trovava simpatico.

      — Avete moglie? domandò.

      — Neanche per sogno! Faccio l'amore all'ellenica, fuori dalla legge, con molta varietà.

      Non so davvero quale significato egli desse a questa parola «varietà», ma mi strinse il braccio con più forza e tre volte mi ripetè: ... simpatico!

      La Cannebière infuriava di tanti lumi, di tanta baraonda e strepito e vivacità, che pareva l'immenso viale d'una fiera di zingari scendente verso il mare.

      — Torniamo in su, — gli dissi, — torniamo verso la porticciola per dov'escono le attrici del Varietés-Casino; avrei voglia d'invitare a cena la «Gibson girl» col piedino da mettere in tasca.

      Il buon greco ebbe un sorriso affabile ma ironico per questa mia concezione tutta latina dell'amore, e mi parve che in quel sorriso ci fosse anche una leggera ombra di gelosia. Nondimeno accondiscese.

      Le piccole attrici uscivano con le loro arruffate madri, coi loro protettori dal pugno solido, coi loro moscardini dai cappellucci su le ventitrè; alcuna se n'andava sola, in fretta, onesta; molte occhieggiavano; le più eleganti eran attese da giovini o vecchi nottambuli; altre, in compagnia di comici, s'avviavano loquacemente a mangiare in qualche taverna del porto la drogata «bouillabaisse» o la buona fumosa «choucroute». Ed io non


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