Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi. Francesco Domenico Guerrazzi

Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - Francesco Domenico Guerrazzi


Скачать книгу
soccorso a vincere, e troppo per provocare lo sdegno del nemico; pericolosa forse la vittoria piemontese, esiziale certamente la perdita. Due essere naturali vicende della impresa contro Austria, vincere o perdere. Vincendo Piemonte, venivamo ad acquistare per confinante uno Stato di 10 milioni di uomini all'incirca, orgoglioso per vittoria, e intento sempre a dilatarsi; noi piccoli, deboli e senza frontiere difendibili dalla parte del Piemonte. Ora non era da supporsi, che Piemonte, in mezzo alla petulanza compagna ordinaria della buona fortuna, si mostrasse più temperato verso di noi di quello che fosse prima di vincere. Invero, avemmo a provare dalla parte di cotesto Regno una lotta difficile, per cagione dei confini; voleva tôrci l'Avenza, la quale perduta, era forza le tenesse dietro Carrara; e se ottenemmo che i Lavenzini tutti votassero per Toscana, ciò devesi agli sforzi supremi da me stesso operati: nè qui si rimase; chè continuava a bisticciarci per Panicale, Mulazzo, Calice e Parana, come altrove sarà con più lungo ragionamento dimostrato. Il Governo Sardo, mentre da un lato esigeva ogni maniera di sagrifizii da noi per impresa dove raccoglieva principalissimo vantaggio vincendo, perchè riuniva sotto di sè Lombardia, Venezia, Modena e Parma, e correva minore pericolo perdendo, perchè la Francia non avrebbe sofferto mai la invasione austriaca in provincia confinante; dall'altro si mostrava per modo tenace, che io, scrivendo lettere confidenziali al Ministro Gioberti, ebbi ad usare le seguenti espressioni: «Con quale coraggio potremo noi consigliare la Corona a persistere nel proponimento di correre le vostre fortune, se voi vi mostrate sì fervidi a contenderci frammenti di terra più che ad altro somiglievoli a pezzi di pan secco co' quali si fa la zuppa ai cani?» Si scusavano con lo incolpare di coteste improntitudini lo zelo importuno dei Sarzanesi. Certo di che cosa sia capace lo zelo importuno, conosco ancora io, ed ho provato, e provo; ma però non cessarono punto i lamentati maneggi. Vinta pertanto dal Piemonte la guerra, ponendo ancora che lo acquisto della Toscana non lo tentasse, noi dovevamo aspettarci ad essere ridotti in istato di assoluta subiezione. Infatti la Toscana, se lasciata durare, diventava provincia piemontese: ogni posta ci avrebbe portato ordini da eseguire: la Corona Toscana avrebbe dovuto scadere alla ignobile parte di vassalla tremante della Corona Sarda, e stenderle supplichevole la mano quotidianamente, — anzi di ora in ora, — anzi di minuto in minuto, per limosinare il misero vanto di parer padrona, — ludibrio a un punto, e agonia di Sovranità! A questo evento, che cosa avrebbe opposto uno Stato di un milione e mezzo, contro Stato di dieci milioni? Armi non avevamo o poche, e in guerra nazionale non si sarebbe voluto nè potuto adoperarle. La protezione delle Potenze estere forse? Ma di che cosa sappiano queste estere protezioni conosce il mondo; il cavallo, che cercò l'uomo per combattere il cervo, è favola antica di applicazione sempre moderna; nè la durata della Toscana avrebbe formato mai quistione di equilibrio europeo. Arrogi a questo, che le trasformazioni minacciate dai tempi portentosi non avrebbero permesso alle Potenze di badare tanto pel sottile, se in condizioni tranquille noi le avevamo vedute accomodarsi con la paziente dottrina dei fatti compiti. Bisognava pertanto cercare un freno da imporgli, e questo freno a me pareva vedere nella Costituente italiana; la quale, a senso mio, avrebbe dovuto consistere in un Congresso di Stati Italiani, dove si determinassero i diritti, gli obblighi e le guarentigie del patto federativo, non meno che le riforme, per quanto era possibile uguali, da estendersi alla universa Italia. Annullate le condizioni e le sicurezze dei Trattati del 1815, era pur forza crearne nuove. La necessità di riordinare uno equilibrio italiano tanto più stringeva, in quanto diventava maggiore il disequilibrio dello Stato convicino. In qual parte trovare un freno immediato ed efficace di opinione a un punto e di forza, se la Costituente italiana non lo somministrava?

      «Nè il Piemonte dissentiva punto da aderirvi: a condurre le trattative veniva mandato da Torino, negoziatore straordinario, il Deputato Ferdinando Rosellini, uomo di mente sveglia e di arguti consigli. Sola obiezione mossa da lui era il mandato che egli pretendeva limitato non solo ai Commissarii piemontesi, ma bene anche ai toscani; questa limitazione poi consisteva in due cose: 1º nel tenere per accetto il Regno della Italia Superiore composto di Piemonte, Lombardia, Venezia, Modena e Parma, e casa di Savoia sovrana; 2º nel conservare Pontefice, Granduca, Re di Napoli in Italia. Per questo modo il limite del mandato, in quanto concerneva Carlo Alberto, riguardava due scopi, il reame e il regnante; rispetto agli altri Principi accennava alle persone soltanto; per gli Stati poi non dissentiva che potessero eventualmente stringersi od allargarsi. Breve, non voleva mettere in compromesso quanto si augurava conquistare, anzi prima della conquista esigeva la ratifica degli altri Stati Italiani. Il sig. Montanelli, fermo nel suo sistema, procedeva onninamente contrario; mandato illimitato pretendeva, e per tutti i Deputati e per tutto, così per le cose come per le persone. Conciliando io, nella impossibilità di far cedere il sig. Montanelli sul punto del mandato illimitato, lo richiamava a considerare quanto esorbitante fosse la pretensione d'imporre per parte sua le norme del mandato agli altri Principi italiani; come questi non avrebbero mai consentito la Costituente, se vi avessero ravvisato minaccia o pericolo; e per siffatto modo chiudere egli la porta alla possibilità di vedere attuata quella Costituente, che pure era stata bandita da lui; correrci anzi tutto il dovere di essere coerenti al programma, il quale aveva promesso che la Costituente non sarebbe stata causa di lite, ma sì all'opposto di concordia fra gli Stati Italiani: gli bastasse il mandato illimitato pei nostri Commissarii; questo egli avere promesso; questo solo avere potuto promettere, però che gli altri non dipendessero da lui: il suo onore essere salvo, e doversene stare pienamente tranquillo. Dall'altra parte richiamavo il Negoziatore sardo ad avvertire che, com'egli trovava strano che Montanelli presumesse dettare le condizioni del mandato ai Commissarii piemontesi, così al Montanelli dovesse sembrare nuovo ch'egli ai nostri le assegnasse; il sig. Montanelli persistere a credere il suo onore impegnato in questa promessione, nè rinvenire modo di recederne, se non dimettendosi dal suo Ministero, avvenimento che il Negoziatore stesso non pareva desiderare; ora le cose del mondo, quando e' non si possono fare come si vorrebbe, si hanno a fare come le si possono; ed io mi sarei ingegnato a piegare il Montanelli a questo, che mantenendo il mandato libero ai Commissarii toscani si contentasse che agli altri fosse conferito limitato. Inoltre, io mi legava per fede a dare istruzione ai Commissarii nostri, che al partito della maggiorità senza obietto alcuno immediatamente aderissero. Così, aggiungeva io, si concilia ogni differenza; il sig. Montanelli mantiene la promessa, e i Commissarii riuniti esibendo prima di tutto i mandati, circoscrivono i limiti e pongono le basi sopra le quali hanno ad aggirarsi le trattative. Un'altra considerazione mi muoveva a consigliare così, ed era, che quantunque andassi persuaso, che il mandato illimitato non fosse mai per nuocere all'A. S., ma piuttosto giovarle, pure questa mia persuasione studiava assicurare con quelle guarentigie che mi era dato conseguire maggiori.

      «Lo Inviato sardo parve penetrarsi di queste mie considerazioni, e dichiarò scriverne al suo Governo. Io ho motivo di credere che ci saremmo trovati d'accordo, sebbene rimanesse a spianare la difficoltà relativa al Regno della Italia Superiore, la quale avevo lasciato sospesa onde sembrasse che in qualche punto cedessimo, ma disposto a consentirlo per due ragioni, una migliore dell'altra; la prima, perchè al contatto di due Potenze principali era necessario per la indipendenza d'Italia porre uno Stato forte; la seconda, perchè quando Carlo Alberto se lo fosse acquistato, chi sarebbe stato quegli che glielo avrebbe potuto contrastare? Certamente non noi.

      «Considerando la seconda ipotesi della vittoria austriaca, la quale si è verificata, nemmeno mi pareva inutile nel futuro interesse del Trono Costituzionale toscano il merito di avere proclamato primo la Costituente italiana. Se la vita umana è breve, brevissima è la ministeriale; quindi non parrà cosa strana nè forte che i Ministri, secondo le facoltà dello ingegno loro, si addentrino nei tempi che verranno, e su gli eventi probabili discorrano.

      «Vincendo Austria, era a credersi che i Trattati del 1815 sarebbono stati mantenuti in Italia, se pure se ne contentava. Ma pensando così diceva: le durerà eterna la buona fortuna? Dopo la vittoria rimarranno spente le cagioni della guerra in Italia? Non credo; anzi sorgeranno maggiori: mutabilissime sempre le vicende umane; le battaglie sono un giuoco di zara dove invece di dadi gittiamo anime umane, e il chiodo alla ruota della Fortuna nè uomo nè Popolo hanno posto fin qui. A noi, che vedemmo il tremendo tramutare delle sorti da Napoleone in poi, e non siamo vecchi, nessuno venga a sostenere immortale la opera degli uomini. Propone l'uomo, Dio dispone. — Pongasi Austria trionfante delle angustie nelle quali adesso si trova, e delle guerre italica ed ungherese; poserà forse tranquilla? È da dubitarsi. I Magiari parteggiarono in prima per lo Impero a danno dei Popoli slavi; se ne divisero quando alla superbia


Скачать книгу