Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi. Francesco Domenico Guerrazzi
magiara, e per amore di libertà: gli uni e gli altri a vicenda presero la bandiera dello Impero per ingagliardirsi agli scambievoli danni. Gli Slavi vittoriosi, estimandosi salvatori, non diventeranno più importuni e più difficili a contentarsi dei vinti? L'aiuto russo non riuscirà più tardi molesto, però che la memoria del male presto passi e il fastidio della subiezione duri? Concesso ancora che per la parte dei Russi non si operi cosa che valga a fomentare negli Slavi sentimenti di origine, di religione e di lingua comune,[120] per cui desiderino un giorno collegarsi in una sola famiglia, non è da credersi che questi sentimenti si svilupperanno spontanei? Gli stessi Stati ereditarii non sono travagliati da umori socialisti troppo più pericolosi dei repubblicani? Questo contagio non si estende nella intera Germania? Non dura e si prolunga, tela penelopea della alemanna politica, l'assettamento della Germania? Cesserà l'antagonismo fra Austria e Prussia? Il bisogno di tenere in piedi eserciti enormi per guardare Ungheria, Italia, Boemia, Germania, non sopravviverà alla vittoria, seme nuovo di guerra? Le sue finanze non sono disastrate, i Popoli non si esauriscono anch'essi? E posto ancora che la buona fortuna e il senno dei Ministri austriaci vincano prodigiosamente queste ed altre difficoltà, forse tutte le cose nostre non hanno la morte? Non si spengono i reami come gl'individui? È questa una verità, che nè anche la superbia potrebbe smentire:
Cadono le città, cadono i regni....
Per le quali considerazioni mi parve consiglio buono mettere il nostro Stato in vantaggiosa condizione per qualsivoglia eventualità. — Se mai vorrà il destino che Austria debba un giorno abbandonare la Italia, allora avrebbe potuto valere alla Toscana riprodurre la Costituente italica, per nuovi eventi celata sotto il moggio, onde tornare più tardi a splendere sul candelabro.
«Per quello poi che riguardava il tempo attuale, la Costituente ci salvava dallo impeto repubblicano, come ho scritto di sopra discorrendo dei motivi probabili che persuasero il Presidente Capponi a consentirne il bando al signor Montanelli.» —
Il Principe, ascoltate le mie riflessioni attentissimamente, si degnò favellare queste parole: «In quanto dice vi è del vero, ma Lord Hamilton sente in modo contrario.» — «Lord Hamilton, risposi, è uomo peritissimo nelle faccende politiche; mi permette l'A. V. che io lo consulti su questo proposito?» — «Ella può farlo, il Principe soggiunse; anzi lo può fare immediatamente, perchè è qui in Palazzo.» — «Altezza, dove?» — «In salotto giallo.» — «Mi concede l'A. V. che io vada?» — «Sì, volentieri.» Nel luogo indicato, rinvenni Sir Carlo Hamilton, fratello dell'onorevole signore Ministro che adesso deploriamo defunto, col quale tenni lungo e grave colloquio, di cui conclusione fu cadere insieme intorno alla convenienza di presentare il progetto di Legge della Costituente alle Camere nel modo indicato da me. Tornai nelle stanze di S. A., e le detti ragguaglio dell'esito della conferenza; parve maravigliarsene, e desiderò udirlo confermare dal prelodato Sir Carlo; la quale cosa fece, lasciando me solo nella sua stanza: dopo lunga ora tornò, e firmando il progetto, a me lo consegnava piuttosto premuroso, che repugnante, affinchè il Ministero lo sostenesse alle Camere.
Io mi sarei vergognato adoperare parole capaci a diminuire nel Principe il libero esercizio della regia prerogativa; nè la dignità di S. A. lo avrebbe sofferto; e lascio poi considerare se di questa maniera argomenti avrebbero sortito effetto con un Ministro di tale Potenza quale Inghilterra si è. Chi vorrà, con alquanto meno disprezzo di quello che l'Accusa sapientissima si faccia, avvertire il modo col quale io sostenni la discussione della Costituente, penserà che le ragioni, trovate plausibili dalla Corona e da Sir Carlo Hamilton, non dovessero presentare poi tutte quelle stupidezze che l'Accusa si compiace immaginare. Se questo fosse caso di dannazione, bisognerebbe dire che mi sarei dannato in ottima compagnia!
E se non ho perduto il bene dello intelletto, il Documento donde l'Accusa ricava indizio di violenza usata alla Corona, la esclude del tutto. Questo Documento è il Dispaccio telegrafico del 22 gennaio 1849 al Governatore di Livorno: «Dopo molte ore di combattimento, avemmo il Decreto Regio per la Costituente italiana.» Qui, innanzi tratto, è chiaro come la parola combattimento fosse scambiata con l'altra più acconcia di dibattimento; ma via, lasciamo combattimento, chè la contesa di raziocinii si risolverà in dibattimento pur sempre. Ora io dico, che chi la violenza sostituisce alla ragione non ha mestieri di formule prolisse; il ragionare che giova? Porgete il collo alla dura necessità. La impressione del meto è cosa breve per colui che l'adopera e per quello che la subisce: non si discute mica la paura; e il dibattimento di molte ore non può referirsi alle conseguenze di un subito moto dell'animo, sibbene alle avvisate e lente operazioni del pensiero. — La quale intelligenza anche più si manifesta leggendo il rimanente Dispaccio: «bisognerebbe mostrarci grati al Principe con una grandissima dimostrazione.» Se avessi usata forza alla volontà di S. A., queste parole sarebbero a un punto vituperevole scherno per lui, immane atrocità per me..... Se non che all'Accusa costa tanto poco pensare atrocità, che scarso frutto questi argomenti ponno fare con lei!
L'Accusa, che andò a rifrustare mostruosi motivi d'insinuazioni pessime, perchè non considerò il voto unanime della Camera dei Deputati? Perchè non pose mente alle parole pronunziate dal Deputato signor Socci, nell'adunanza del Consiglio Generale del 25 gennaio 1849? «Questa immensa fiducia gliel'ha dimostrata anche la Camera, quando alla unanimità approvava la Legge sulla Costituente italiana, e credo che tutti la votassero di gran cuore.»[121]
Ma all'Accusa non basta la testimonianza del Socci, che nell'ardua sua virtù ella forse come cagnotto del Potere disprezza; onde, la mano sempre sul petto,
Da quella parte ove il cuore ha la gente,
e gli occhi al cielo, l'Accusa attesta andare nei precordii della sua coscienza convinta, che soffocata quasi la discussione della Camera, in virtù del tumulto delle tribune, riuscisse al Montanelli di ottenere il mandato illimitato[122] — Deh! abbassa, o coscienziosa Accusa, cotesta mano, e quegli occhi, e prendi il Monitore, e leggi ciò che arringando dichiarava Ridolfo Castinelli, uomo per fermezza di carattere, ai tempi che corrono, piuttosto singolare che raro; e bada, Accusa, ch'egli è quel desso che i libertini più accesi pretendevano escluso dalla deputazione pisana: e avverso al Ministero reputavasi, e certo egli professava dottrine conservatrici, e sopra i banchi dell'Opposizione sedeva; — e avverti ancora (dacchè tutte le Accuse sogliano talvolta disgradare nella memoria Magliabechi, e tal altra, quando lor torna, superare in ismemoraggine Messala), che il sig. Castinelli queste parole profferiva il 25 gennaio 1849, discutendo la Legge su i Buoni del Tesoro, e però spontaneo così e liberissimo, che neanche l'argomento del discorso, o lo impeto della improvvisa orazione gli facesse violenza.
«.... E ciò prova che è veramente insussistente l'accusa, pure pronunciata in questa Assemblea, che il Ministero abbia a combattere una Opposizione sistematica. — Il voto unanime che il Consiglio Generale dei Deputati diede alla Legge di convocazione della Costituente Italiana, non prova luminosamente ciò che ho affermato? — Se alcuni onorevoli nostri Colleghi amarono sentire dalla bocca stessa dei Ministri, quanto era spontaneo il desiderio del Principe che lo portava a sottoscrivere l'atto d'inaugurazione per il Popolo Toscano alla vita rappresentativa italiana, non resultava dalla discussione e dallo sviluppamento degl'intimi moventi dei Ministri, se fosse bello e rifulgente il serto col quale tutti concordi incoronammo questo grande Atto?»
Forse, chi sa, potrebbe darsi che alcun poco dolesse all'Accusa di trovarsi perpetuamente in tutto quanto ella afferma smentita; ma considerando dall'altro canto, che il renunziare a questa parte della truce novella sconcerebbe l'architettura della fabbrica, delibererà nella sua coscienza dovere persistere a ritenere e dare ad intendere violentata la Camera dei Deputati nel voto della Legge intorno alla Costituente. — Rispetto a ciò, confesso non sapere che cosa rispondere; ed auguro all'Accusa su le piume della coscienza un sonno d'oro. Che se non le talenta la Camera dei Deputati, almeno tenga in pregio il Senato, corpo creato dal Principe e conservatore per eccellenza. Tenga in pregio lo scrutinio segreto, dove ognuno poteva deporre nell'urna, senza sospetto, il voto riprovatore. Tenga in pregio le parole dello illustre senatore Bufalini: «Non avrei altre considerazioni a soggiungere in questo proposito, sopra il quale non mi pare sia occorsa divergenza di opinione. Dirò solo che, come il Senato fu sempre penetrato della grande importanza di riacquistare la nazionale Indipendenza, e fu sempre sollecito altresì, per quanto era in