Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi. Francesco Domenico Guerrazzi
potersene parlare finchè non concorresse il voto di tutto il Popolo italiano, gran parte del quale non potrà eleggere i suoi rappresentanti finchè geme nel dolore della straniera servitù.» — (Circolare dell'8 novembre 1848, Art. 12.)
Così ho inteso dimostrare: 1º quali fossero i motivi pei quali a me importava rimanessero incerti il tempo e il luogo della Costituente; 2º come la petizione del Circolo non s'accordasse col progetto ministeriale pel tempo, nè per il luogo, nè per lo scopo che la Costituente si proponeva; e questo serva a confutare il nesso che l'Accusa (con intento trucidatore del vero) pensa discernere tra la petizione del Circolo e la presentazione della Legge: anzi, dicasi senza ambage, il concertato di me Ministro col Circolo.... — Faccia pure l'estreme prove l'Accusa, ella non giungerà mai a conseguire il sospirato disegno di trovarmi cospiratore contro la fede di Ministro del Principe.
Adesso favellerò del mandato e dei motivi che me lo fecero lasciare indefinito. Quali discussioni sostenessi col signor Montanelli su questo proposito, in parte esposi. Ai ragionamenti riferiti aggiungeva: — «supposto che Carlo Alberto esca vittorioso dalla guerra italiana, egli è verosimile che voglia deporre la sua Corona davanti ai Commissarii della Costituente, rassegnandosi a portarla quando essi glielo avranno concesso? E quando, per vano simulacro, adoperasse così, chi avrebbe osato disdire a lui trionfante e gagliardo su le armi? Il Re di Napoli gli pareva egli uomo da cacciarsi a chiusi occhi in questi ginepraj? Voglionsi le cose o le immagini delle cose?» — Montanelli andava pensoso, ma diceva assai avere sofferto sbocconcellato il suo progetto; nè potere senza scapito di reputazione consentirlo più oltre; e poichè gli riusciva difficile sostenere il suo programma politico, probità di uomo e dovere di Ministro consigliarlo a dimettersi. Il signor Montanelli propose alla Corona espressamente, esplicitamente, la sua dimissione, e per dimostrare la parzialità sua pel Ministero, accettava la rappresentanza toscana presso la Corte di Torino.
Alla Corona piacque farmi l'onore di consultarmi su questo negozio, ed io le osservai: «Vuolsi o no conservare il signor Montanelli al Ministero? Se no, accettisi la dimissione; in quanto a me, riduco volentieri la Costituente in termini più limitati. Se sì, egli non può moralmente nè politicamente tirarsi indietro.» Ho motivo di credere che il Ministro d'Inghilterra consigliasse accettarsi la dimissione del Montanelli. Alla Corona non parve prudente accettare, almeno per ora, il congedo del Presidente del Consiglio, nè inviarlo a Torino; in quanto a me, è agevole sentire per quali motivi di convenienza dovessi rimanermi da insistere. Invitato dal Principe a ricondurgli il Montanelli, lo feci, e fu accolto con modi più che cortesi, affettuosissimi.
Adesso pertanto bisognava mettere d'accordo il progetto del sig. Montanelli con l'esitanze della Corona, ed anche co' dettami di buona politica.
Proposi si lasciasse nella Legge indefinito il mandato, e le ragioni, per così fare, furono queste. La Costituente deve validare la concordia degli Stati Italiani; ora la maggiorità di questi, se avessero inviato (come era da aspettarci) Commissarii con mandato diverso da quello dei nostri, dovevamo noi porre questi al duro passo di partire dal Congresso, con danno e scandalo del Paese? La Costituente non rigettava verun progredimento razionale e possibile; questo aveva proclamato il Ministero nel programma, la Corona nel discorso di apertura; dovevamo noi ostinarci adesso a volere Cesare o nulla? Il Popolo non pure poteva, ma doveva dare mandato generico, imperciocchè sia chiaro che egli in anticipazione non avrebbe saputo nè come, nè quando, nè su che cosa sarebbesi adoperato, specialmente nel possibile progresso verso lo scopo della Costituente. La cognizione di tutto ciò apparteneva al Potere Esecutivo; e a questo solo spettava per necessità (essendo egli ottimamente informato delle condizioni mutabilissime dei tempi) ampliare o restringere il mandato adattandolo alle contingenze. — Intanto fino d'ora, come istruzione fondamentale, si doveva annunziare che i Commissarii nella preliminare verificazione dei poteri si uniformassero alle condizioni del mandato della maggiorità.
Per questo modo il suffragio universale eleggeva i Commissarii con mandato generico; ma il Potere Esecutivo ne formulava le condizioni a norma del suo discernimento per darne conto a suo tempo alla Rappresentanza del Paese.
Questo non fu avvertito dall'Accusa, anzi dissimulato affatto: non importa; basta che bene lo avvertano coloro cui piace lo studio della verità.
Ora io sostengo, che questa facoltà posta in mano del Potere Esecutivo, oltre all'essere razionale per le ragioni discorse, riusciva favorevole alla sicurezza della Corona, e al conseguimento dei suoi giusti desiderii, più di qualunque mandato, comunque strettamente formulato.
Infatti, applicabile così a tutti i casi contingibili, avrebbe il Potere Esecutivo avvertito, che il mandato non riuscisse mai inane; — commesso al suo discreto giudizio, il Potere Esecutivo n'era assoluto moderatore ed arbitro, onde nè ai danni proprii nè agli altrui si traducesse.[126]
Intanto, e giova ripeterlo, per le dichiarazioni esposte, il Potere Esecutivo doveva ordinare preliminarmente il mandato generico a questi tre fini: 1º Le trattative di ordinamento interno fino a guerra vinta si sospendano; 2º i Commissarii si occupino ad assicurare la Indipendenza italiana; 3º trascorso questo periodo, i Commissarii toscani per riordinare la Italia, aderiscano a trattare dentro i limiti prescritti dalla maggiorità dei mandati dei Commissarii italiani. La Costituente Montanelli veniva per questo modo ridotta dentro confini possibili, e giusti: la quistione dello interno ordinamento prorogata a tale termine, dove ricorrere alla Costituente sarebbe stato rifugio desiderabile e accettissimo: — quantunque dubito se efficace, pure l'estremo, che avrebbero concesso le contingenze future di fronte alle cupide voglie di un Regno forte su le armi, baldanzoso per fresca vittoria.
La diversità dei pareri e i faticosi dibattimenti col Presidente dei Ministri di tanto non poterono celarsi, che traspirati nel pubblico non si qualificassero come dissentimenti profondi fra i Membri del Consiglio,[127] per cui il Monitore del 25 gennaio 1849 ebbe ad avvertire: «Siamo autorizzati a dichiarare per la seconda volta, che le voci di men che perfetta concordia fra i membri componenti il Ministero, sono senza fondamento.»
I Giornali avversi al Ministero, intesi a screditarlo per ogni via, e gli altri di parte esaltata, me denunziavano al Pubblico come ligio alla Corte[128] e nemico alla Costituente. Di qui ebbe origine la diffidenza dei Repubblicani, e il sospettoso sorvegliarmi più tardi.
Prove dello assunto fino ad ora discorso si ricavano evidenti negli atti pubblici. Si ponderino le espressioni della Circolare del 12 decembre dettata in questo spirito: «La limitazione proposta dal Ministero romano, non è in alcun modo necessaria quanto al primo stadio della Costituente. Trattandosi in questo d'indirizzare tutte le forze armate italiane alla cacciata dello straniero, la Costituente assume il vero e proprio carattere di Federazione militare, con un centro unico di direzione; e nessuno degli Stati Confederati può temere, che la propria esistenza sia posta neppure in problema. Quanto poi al secondo stadio, la limitazione riesce affatto superflua per altra ragione. L'opinione nazionale italiana, resultante dalla contemperanza di tutti i pareri e di tutti gl'interessi, sarà quella che farà legge, qualunque sia il limite col quale oggi si presuma signoreggiarla. Ora dal nuovo rimescolamento di tutte le forze italiane agitate nella guerra della Indipendenza, o questa opinione uscirà favorevole alla unità federale, o alla unità assoluta. Se alla unità federale, sarà superfluo avere imposta questa forma alla Costituente, come la sola possibile, essendochè proromperà dal libero voto della stessa Nazione solennemente interrogata. Se alla unità assoluta, le restrizioni attuali non potranno impedire di acquistarla alla Nazione che la vorrà.»
Da queste parole si ricava come eventuale riuscirebbe e lontanassimo trattare degli ordinamenti interni, e come ogni pensiero dovesse volgersi adesso alla guerra; da queste altre si dedurrà, che, venuto ancora il tempo di provvedere alle forme governative, il Ministero toscano annunziava rimettersi al volere dei più. «Gelosi della Costituente autonoma, noi ci guarderemo dal fare di essa una bandiera di scisma. E poichè qualunque passo sì faccia verso la Unità lo riguardiamo come un progresso, se il voto di altri poderosi Governi si manifesti per la limitazione che noi respingiamo, ci uniremo a loro, contenti del non imporla ai rappresentanti inviati da noi.» — (Circolare suddetta.)
Così lo stesso signor Montanelli esprimeva il concetto della maggiorità