Politica estera: memorie e documenti. Francesco Crispi
ad una facile invasione tutte le volte che ciò convenisse al vicino impero.
Voi dovreste aiutarci in questa occasione. Noi siamo fedeli ai trattati e nulla vogliamo dagli altri. Voi dovreste domani dissuadere il conte Andrássy da ogni desiderio di conquiste nel territorio ottomano.
— L'Austria segue una buona politica, ed io devo credere che vi persisterà. Un solo caso vi potrebbe essere che valga a rompere ogni accordo tra l'Austria e la Germania ed è una differenza nella politica dei due governi in Polonia.
In Polonia esistono due nazioni: la nobiltà ed il contadiname (la noblesse et le paysan), di natura ed abitudini diverse. La prima è irrequieta, faziosa; il secondo è tranquillo, laborioso, sobrio. L'Austria accarezza la nobiltà.
Se scoppiasse un movimento polacco, se l'Austria lo aiutasse, noi dovremmo opporci. Noi non possiamo permettere la ricostituzione di un regno cattolico alle nostre frontiere. Sarebbe la Francia del Nord. Oggi, ne abbiamo una; allora avremmo due Francie, le quali naturalmente sarebbero alleate e noi saremmo in mezzo a due nemici.
La risurrezione della Polonia ci nuocerebbe anche per altri motivi; essa non potrebbe avvenire senza la perdita di una parte del nostro territorio. Ora noi non possiamo rinunziare a Posen e a Danzica, perchè l'impero tedesco resterebbe scoperto dalla parte dei confini russi e perderebbe i suoi sbocchi nel Baltico.
L'Austria sa che non può ritornare indietro e sa che noi siamo amici leali. Essa è in una buona via e non ha interesse di abbandonarla. Se mutasse, se si facesse protettrice del cattolicismo, muteremmo anche noi, ed allora, per conseguenza, saremmo con l'Italia. Per ora nulla ci dà a credere che questo avvenga.
Non cerchiamo coi sospetti di dar pretesto a che l'Austria cangi politica. Vi sarà sempre tempo a provvedere.
Il Danubio non ci riguarda. Esso è navigabile da Belgrado in poi; a Ratisbona non vi sono che alcune zattere (quelques radeaux).
L'Austria al 1856, nel Congresso di Parigi, per suo proprio interesse trascurò la Confederazione germanica nella Commissione pel Danubio ed in verità non ce ne era bisogno. L'Austria fa i suoi commerci per la via di Trieste e di Amburgo.
La Bosnia, come tutta la questione orientale, non tocca gli interessi tedeschi. Se potesse esser causa di dissidi tra l'Austria e l'Italia ce ne dorrebbe, perchè vedremmo combattersi due amici, che vogliamo siano in pace.
Del resto, se l'Austria prenderà la Bosnia, l'Italia si prenda l'Albania o qualche altra terra turca sull'Adriatico.
Io spero che le relazioni del vostro governo con quello di Vienna diverranno amichevoli e col tempo anche cordiali. Nulladimeno, se v'impegnaste contro l'Austria me ne dorrebbe, ma non faremmo la guerra per questo.
A questo punto si apre la porta ed entra il conte Erberto di Bismarck con un fascio di telegrammi. Egli li dà al padre, il quale, dopo averli letti, ordina le relative risposte e l'altro se ne parte.
Quasi immediatamente dopo si presenta la principessa di Bismarck, la quale porta al marito una limonata minerale.
Mi alzo ed egli:
— Mia moglie.
Presento alla signora i miei complimenti. Il Principe beve e la Principessa esce. Rimasti di nuovo soli riprendo la parola.
— Comprendo il vostro contegno verso la Corte di Vienna e lo rispetto.
Permettetemi, però, di farvi osservare che l'unità germanica non è ancora compita. Dal 1866 al 1870 avete fatto miracoli, ma avete molte popolazioni tedesche fuori del territorio dell'impero e certamente presto o tardi saprete attirarle a voi.
A voi non dispiace il territorio austriaco. Voi venite qui ogni anno, e Gastein, che segna con le Alpi la vera frontiera della Germania, ha per me un significato; può essere anche una predizione....
— Ah! no, voi v'ingannate. Io son venuto qui anche prima del 1866. E poi ascoltate:
Noi abbiamo un grande impero da governare, un impero di 40 milioni di abitanti, con vaste frontiere. Esso ci dà molto da fare, e non vogliamo, per ambizione di nuove conquiste, rischiare quello che abbiamo. L'opera alla quale ci siamo dedicati assorbe la nostra mente ed il nostro tempo.
Noi abbiamo molte difficoltà da superare. Il Re, alla sua età, non può ricevere grandi scosse. Ha fatto moltissimo per la Germania e bisogna che riposi.
Abbiamo, nel nostro territorio, parecchi principi cattolici, una regina cattolica ed anche francese, un clero irrequieto che a tener tranquillo bisogna sottoporre a leggi speciali. Noi siamo interessati al mantenimento della pace. Se ci offrissero qualche provincia cattolica dell'Austria, la rifiuteremmo.
Ci venne imputato che vogliamo l'Olanda e la Danimarca.
Che mai ne faremmo? Abbiamo abbastanza popolazioni non tedesche, per non doverne volere delle altre. Con l'Olanda siamo in buoni termini e con la Danimarca le nostre relazioni non sono cattive. Finchè sarò ministro sarò con l'Italia, ma pur essendo vostro amico non intendo romper con l'Austria.
Al 1860, io mi trovava a Pietroburgo, ma ero con voi di cuore. Seguendo i vostri successi, n'ero contentissimo, perchè i vostri successi convenivano alle mie idee.
Dopo tutto ciò dovrò ripetervi che noi desideriamo voi siate amici dell'Austria. Nella soluzione della questione d'Oriente, si può trovare un accordo, prendendo voi in compenso una provincia turca dell'Adriatico, qualora l'Austria prendesse la Bosnia.
— Una provincia turca sull'Adriatico a noi non basta, non sapremmo che farne.
Noi verso l'Oriente non abbiamo frontiere; l'Austria è al di qua delle Alpi e può entrare nel regno quando a lei piaccia. Noi nulla vogliamo dagli altri; saremo fedeli ai trattati, ma vogliamo essere sicuri in casa nostra.
Parlatene al conte Andrássy.
— No, non voglio toccare la questione della Bosnia e molto meno quella delle vostre frontiere orientali. Lasciamole per ora. Io non voglio trattare argomenti che possono dispiacere al conte Andrássy, perchè voglio tenermelo amico.
— Va bene; fate come meglio credete.
Ora ditemi un poco.
Voi tenete alla pace e sperate che questa possa durare.
Abbiamo trattato l'ipotesi che in Francia possa vincere il partito reazionario e che possa ritornarvi la monarchia. Contro questo avvenimento, abbiamo convenuto che bisogna provvedere.
Ma facciamo un'altra ipotesi:
Se dalle elezioni generali in Francia riuscissero vincitori i repubblicani, non potreste trovare il modo d'intendervi?
Questa domanda non ve la fo a caso.
Io vidi a Parigi il deputato Gambetta, il quale ha molta influenza nel suo paese. Abbiamo discorso a lungo sulle condizioni politiche della Francia e sulla necessità della pace europea, anche pel consolidamento della repubblica. Io non gli nascosi che sarei venuto da voi ed egli mi manifestò il desiderio di un accordo con voi e volle che io ve ne parlassi.
Io comprendo che un'alleanza tra la Francia e la Germania non è ancora possibile, perchè gli animi in quel paese sono troppo inaspriti (aigris) dopo le sconfitte patite. Ma havvi un punto sul quale potreste intendervi, e l'Italia vi seguirebbe; è quello del disarmo.
— Un'alleanza con la Francia repubblicana sarebbe senza scopo per noi.[4] Il disarmo dei due paesi non sarebbe possibile. Questo argomento prima del 1870 fu trattato con l'imperatore Napoleone, e dopo tanto discutere fu provato che il concetto di un disarmo non può riuscire nella pratica. Non furono trovati ancora nel dizionario i vocaboli che fissino i limiti del disarmo e dell'armamento. Le istituzioni militari sono diverse nei varii Stati, e quando avrete posto gli eserciti sul piede di pace, non potrete dire che le nazioni, le quali hanno aderito al disarmo, siano in eguali condizioni di offesa e di difesa. Lasciamo questo argomento alle Società degli amici della pace.
— E allora limitiamoci al trattato di alleanza pel caso che la Francia ci attacchi.
— Prenderò gli