Il Designato. Luciano Zùccoli

Il Designato - Luciano Zùccoli


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il signor Folengo sapeva lo scopo della mia visita; non solo, ma aspettandosela da un giorno all'altro, aveva preso ragguaglio d'ogni cosa che mi riguardava, del mio stato finanziario, de' miei amori morti, delle mie abitudini, de' miei difetti; notavo quasi con vergogna ch'io era vilissimo in quell'istante e che se il signor Folengo m'avesse imposta l'abjura d'ogni credenza più antica, la rinuncia ad ogni orgoglio più accarezzato, io avrei abjurato, io avrei rinunciato, pur d'effettuare la mia speranza.

      —È ottimo in questo senso,—riprese il Folengo;—che ella è di gran lunga migliore di quanto vorrebbe sembrare; che ella ha dato troppo peso a sciagure intime e ha troppo generalizzati i suoi casi, scambiando l'uomo e il mondo per gli uomini e il mondo che le furono d'attorno lunghi anni. Ora, questo non è; ella è assai giovane; ha maniera di ricredersi, e nonostante certe sentenze scettiche delle quali s'è imbevuto, ella a ricredersi volge ogni speranza, ogni forza d'animo.

      Io restava in silenzio, perchè intuivo che l'orazione del signor Folengo non sarebbe così presto finita; mi pareva il discorso prendere un atteggiamento troppo diplomatico, e aumentarmi le difficoltà non piccole della mia domanda; ma riservavo un'interruzione che avrei fatta non appena se ne fosse offerta l'opportunità.

      —Si vorrebbe da lei,—continuò il mio giudice,—una maggior coerenza fra le azioni e le parole, una schietta ribellione a tutti i dogmi che l'infracidita società nostra va infiltrando nei giovani. Ma già, questo vien dall'esperienza, dalla critica, è frutto dell'età più vecchia.—

      Pausa. Il signor Folengo,—la cui testa cominciava a entrar nella penombra della camera, mentr'io rimaneva ancora in luce, colla finestra di contro—si portò all'indietro col corpo, quasi prendesse la rincorsa, e giunse inaspettatamente alla conclusione, per esaurimento delle frasi magnifiche.

      —Insomma, caro signor Sergio, io non ho che a finire come ho cominciato. Ella è per me gentiluomo irreprovevole, al quale è onore proferir dell'amicizia e dal quale è ambizione ottenerla…. Del resto, io non so rendermi ragione di quest'inchiesta non aspettata; sono sorpreso….

      Notai che il signor Folengo s'era sorpreso un po' tardi, quando cioè aveva comodamente espressi i pochi pensieri che la mia persona e la mia vita gli suggerivano.

      —Era necessario,—interruppi,—per ambedue; io la ringrazio assai del concetto ch'ella nutre di me, e spero di poterne sempre esser degno….

      Guardai di nuovo fuor della finestra; i colombi selvatici erano spariti dagli alberi. Udii la pendola sul caminetto suonar lentamente le cinque ore e la mezza.

      —Ora, al fatto,—disse il signor Folengo con uno sguardo scrutatore.

      Ne' suoi occhi grigi lessi la sicurezza che la mia risposta doveva essere la buona, e avvertii un impercettibile moto in lui, come di preparazione.

      —Il fatto è semplice e grave,—risposi.

      Mi alzai, mi posi di fronte all'uomo, e dissi con voce quasi tremante:

      —Ho l'onore, signor Folengo, di chiederle la mano della signorina

       Lidia sua figlia….—

      Vi fu un silenzio che giudicai spaventevole. Il signor Folengo si levò adagio, sempre tenendo gli occhi fissi ne' miei, uscì dalla penombra, e rispose:

      —Una simile domanda fatta all'improvviso…. Io sono lusingato….—

      Mi morsi le labbra; l'istinto vittorioso aveva costretto l'uomo a trincerarsi e a guardarsi da una promessa immediata; le parole uscivan dalla bocca del signor Folengo meccaniche; egli si dimenticava la sua professione di fede in me; gli proponevo un affare, secondo lui, ed egli mi trattava da uomo d'affari. Però, scorgendomi forse impallidire, aggiunse tosto:

      —Debbo dichiararle ch'io non ho nulla, nulla in contrario al suo voto; anzi ho molta propensione a vederlo esaudito, e sono commosso…—

      Non era commosso per niente. Si allontanò alcun poco da me e premette il campanello elettrico.

      —Avvertite donna Teresa che ho bisogno di parlarle,—disse alla cameriera sopraggiunta.—E portate la lampada.—

      Mentre Geltrude usciva, il signor Folengo mi tornò vicino.

      —Perchè meglio si persuada ch'io accolgo la sua domanda con viva simpatia, voglio sùbito comunicarla alla mia signora,—fece con tono affettuoso.

      Io m'inchinai, ed essendo sopravvenuto un silenzio molesto, il Folengo occupò quell'intervallo nell'accomodare e nello spostare alcuni oggetti sulla tavola, che non ne avevano bisogno; alla prima ansia era succeduta in me la riflessione e con essa la calma speranzosa; non trovavo a' miei desideri alcun ostacolo degno di essere discusso.

      Donna Teresa comparve, seguita dalla cameriera che posò la lampada sul caminetto e si ritirò. Donna Teresa, allevata alla scuola del marito, ebbe uno sguardo istintivo e ricostruì, evidentemente, a grandi tratti, la conversazione avvenuta fra me e il signor Folengo.

      Il salotto si riempiva di solennità. Donna Teresa mi venne incontro e mi strinse la mano; la piccola e grassoccia signora non aveva rinunciato a una certa eleganza; i suoi capelli eran tuttavia neri, e la sua carnagione, eburneamente lumeggiata dalla lampada, appariva senza rughe nè grinze; il color delle labbra era rinforzato da una leggiera tinta di carmino abbastanza gradevole. Solo, nel suo corpo difettava l'eleganza naturale, che l'assiduità allo specchio non insegna mai; le forme tozze prorompevano, in odio alla fascetta strettissima; attorno al collo l'adipe formava un monile, e sui fianchi si espandeva con insolenza.

      Noi ci eravamo seduti di nuovo. I coniugi Folengo occupavano il divano ed io, di fronte a loro, in una poltrona bassa, aspettavo con ritornata angoscia la ripresa della orazione.

      —Ti ho fatto chiamare,—disse il signor Folengo,—perchè il signor Sergio ci presenta l'opportunità di stringere assai notevolmente i legami della nostra amicizia.—

      Donna Teresa dimostrò con un cenno della testa che tale opportunità le gradiva.

      —Per esprimermi chiaramente, il signor Sergio mi ha domandata la mano di Lidia.

      Donna Teresa balzò dal divano con un'agilità imprevedibile e mi si precipitò incontro, colla faccia trasformata dalla gioja. Senz'aspettare un gesto di suo marito, e parlando per istinto, come l'altro aveva per istinto tergiversato, esclamò:

      —Grazie, signor Lacava! Mille volte grazie di simile onore! Lei effettua la mia più cara speranza!—

      Presi la mano di donna Teresa, toccato dall'effusione ingenua della buona signora.

      —Ella mi rinfranca,—dissi, alzandomi dalla poltrona.—Io mi sento appoggiato dalla fiducia che le ispiro….

      —Ma certo, ma certo!—rinforzò donna Teresa.—Forse mio marito non le aveva espresso?… Forse ella temeva?…

      —Vedi, cara amica,—mormorò il signor Folengo tranquillamente, senza muoversi dal suo posto.—Vedi: io mi sono dichiarato assai favorevole; ma io non sono il solo arbitro, e prima di me, e prima di te, c'è Lidia, la cui volontà deve essere libera….

      —Lidia!—esclamò donna Teresa con un'occhiata di trionfo.—Lidia! Non ci son che le mamme per saper certe cose…. Io annuncerò immediatamente la felice novella a Lidia….—

      Stava per avvicinarsi al campanello elettrico, quando il signor

       Folengo, levatosi dal divano, la fermò con un cenno.

      —Tu vuoi?—disse.—Così, sùbito, senza prender tempo?…

      —Ma certo, ma certo!—ripetè donna Teresa—non vedi com'è pallido questo povero giovane? Io so quel che faccio…. È una tortura inutile che noi infliggiamo loro.—

      L'indice di donna Teresa si posò due volte sul bottone del campanello. Il signor Folengo, vistasi levata la direzione diplomatica delle trattative, riprese il suo posto, con un sospiro di sollievo.

      —Sì, sì, forse è meglio!—disse come tra di sè.—Io


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