Il Designato. Luciano Zùccoli

Il Designato - Luciano Zùccoli


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ripresemi le mani:

      —Caro, caro figlio mio!—disse.—Non dubiti di nulla. Io so quel che faccio!—

      La signora Folengo assumeva un aspetto di franchezza che non le avevo conosciuto prima; una leggiera onda sanguigna le aveva imporporato il viso, e la commozione sollevava a ritmo il suo largo seno.

      L'uscio fu toccato lievemente, poi girò sui cardini senza romore, schiudendo il passaggio a Lidia. Io non dimenticherò mai com'ella apparve in quell'istante, coi capelli biondi pettinati all'indietro, in modo da scoprir la fronte pura. Lidia vestiva un abito grigio e portava un grembiale nero; l'abito indicava forme così giovanili e così recenti di maturanza da ispirar piuttosto sollecitudine tenera che ammirazione; il suo viso era un po' pallido, ma freschissimo, e ne aumentavan l'impressione di giovanezza rigogliosa gli occhi turchini, la bocca dalle labbra rosse e ben delineate; aveva piccolo naso, con narici rosee, e piccolissime orecchie; il collo, per quanto appariva dall'abito, era d'una bianchezza alabastrina; il petto non troppo esile nè povero; le mani magre, con dita affusolate.

      L'espressione interrogativa ch'era sul viso della fanciulla all'entrar nel salotto, sparve non appena Lidia mi scorse, e fu cancellata da un tenue rossore.

      —Buona sera, signor Lacava!—ella mi disse.

      Per la prima volta dacchè ci conoscevamo, io le tesi la mano, ch'ella strinse, gettando un'occhiata dubitosa a suo padre.

      —Vieni!—le disse donna Teresa, avvicinandola a sè.—Vieni dalla tua mamma.—

      Lidia s'accostò alla poltrona, dove la madre s'era seduta; non so quel che passasse allora nell'animo della giovane, ma certo l'insolita accoglienza doveva assai turbarla. I suoi occhi andavan senza posa da me a suo padre, e da suo padre alla signora Folengo. Questa la serrò fra le braccia, e la fece sedere vicinissima a sè. Io solo rimaneva in piedi, appoggiato al piano-forte.

      —Che cosa avviene dunque?—domandò Lidia, non potendo trattenersi.

      —Cara!—esclamò donna Teresa, prendendole la testa e baciandola sui capelli.

      —Noi ci siamo radunati qui,—cominciò il signor Folengo con voce solenne,—per parlar del tuo avvenire.

      —Stai bene oggi? Hai la mente lucida?—cominciò a sua volta la signora.—Ti senti di poter rispondere e decidere con chiarezza?

      —Ma sì, senza dubbio….—rispose Lidia, guardandomi come per invocare il mio ajuto.

      —Ebbene….—disse la signora Folengo con precipitazione,—ebbene il signor Sergio Lacava ti ha chiesto in isposa, noi abbiamo acconsentito, e aspettiamo la tua risposta.—

      Alle prime parole, Lidia sobbalzò, mentre un rossore intenso le saliva fino alla radice dei capelli; poi nascose la testa con rapidità sul petto di sua madre.

      —Oh mamma!—disse.

      E scoppiò a piangere con una violenza nervosa irrefrenabile.

      —Io credo—osservai—che la signorina: si trovi a disagio davanti a me; sarebbe stato forse meglio….—

      Donna Teresa mi troncò la parola con un moto del capo.

      —Via,—fece poi a Lidia,—non essere bambina. Tu ci metti in pena…. Lo so; non eri preparata; è un assalto di nervi; andiamo, alza la testa….

      Lidia obbedì e prese dalle mani di sua madre il fazzoletto per asciugarsi gli occhi; ella guardava con tanta fissità il viso di donna Teresa, da svelar la paura d'incontrare i miei sguardi. L'attitudine era cosi fanciullesca e così bella a un tempo, che i signori Folengo e io sorridemmo insieme.

      —Forse—disse il signor Folengo—noi esercitiamo su Lidia una pressione involontaria. Vuoi prender tempo? Vuoi pensare prima?

      —Oh no!—proruppe inavvertitamente la fanciulla, tenendosi immobile.

      —Allora?

      —Allora, è presto detto,—fece donna Teresa, volgendosi a me.—Lidia è contraria a questo matrimonio….—

      La fanciulla allungò le mani verso donna Teresa e tentò l'atto di chiuderle la bocca.

      —Ah!—esclamò ridendo la signora.—Dunque, vieni qui. Dunque, sì?

      —Sì!—rispose Lidia, che aveva nascosto nuovamente il capo fra le braccia della madre.

      Io avventai alla fanciulla uno sguardo quasi violento di desiderio e d'amore. Da quell'istante, ella era tutta mia.

       Indice

      Il cielo prendeva un aspetto retorico, da melodramma. Sopra uno sfondo potentemente azzurro, vagavan certe grosse nuvole bianche, fra cui la luna ora si nascondeva, ora faceva capolino.

      Dalla finestra della mia camera era, lo spettacolo, più curioso perchè il giardino, al disotto, andava illuminandosi ed oscurandosi a seconda della luna bizzarra. S'alternavan gradazioni di verde lucido e gradazioni di nero opaco, ombre sul terreno scheletriche e scarmigliate, indecisioni di contorno. Queste diverse imagini s'imprimevano forte nel mio cervello non come percezioni chiare, ma come sensazioni, che ricordo; perchè il momento era dei più difficili.

      Noi ci eravamo ritirati da circa un'ora; gli amici, i parenti, avevano abbandonata la casa con un'ultima stretta di mano, alcuni con un sorriso. Lidia—mia moglie—s'era appartata nella sua camera, accompagnatavi da donna Teresa, che l'aveva lasciata poi, baciandola sulla fronte; pallide e commosse tutt'e due.

      Io, in abito nero, sembravo una decorazione della mia stanza da letto, nervosamente allegra, perchè al giuoco della notte indecisa vi faceva robusto divario la luce artificiale; erano accesi i due bracci a candela dell'armadio, le due lampade sul caminetto e la lampada pensile nel mezzo. Poi, aleggiava un profumo acuto di fiori, raccolti in coppe, morenti con furiose dispersioni d'ebrietà.

      Appoggiato al davanzale della finestra, vedendo ma non osservando il rimpiattino della luna, io meditava.

      Era necessario lasciare scorrere un certo lasso di tempo affinchè Lidia non credesse la mia un'intempestiva sorpresa, un'invasione da barbaro. Il suo cuore doveva battere a martello; era necessario lasciarlo calmare.

      Io stesso aveva bisogno di guardare in faccia il fenomeno di questa vergine lanciatami fra le braccia dalla legge, datami esultando da sua madre, perchè la trasformassi in donna, con un mezzo che due giorni avanti si sarebbe chiamato il disonore.

      Con maravigliosa mutazione, pel semplice fatto che l'amore, così insofferente di forme e di nomi, aveva preso nome e forma di matrimonio, tutto quanto era proibito, condannato, scandaloso prima, diventava lecito, onesto, doveroso adesso; un bacio, un abbraccio, una notte, più notti, un giorno, più giorni d'intimità, erano cosa buona; e se io avessi dato il bacio, tentato l'abbraccio, passata una notte con Lidia, avanti ch'io avessi potuto chiamarmi suo marito, Lidia sarebbe stata perduta, e suo padre avrebbe avuto il diritto d'uccidermi e di farsi applaudire come un istrione alla ribalta.

      Ciò non era logico, ma necessario, il che è ben diverso; tanto diverso che la considerazione de' miei diritti improvvisi su Lidia mi dava un umor chiaro, allegro, piacevole.

      Sapevo il significato di quanto era per avvenire; significato di sì grande rilievo che da esso dipendon quasi sempre le sorti di due esistenze.

      Mi richiamavo alla memoria delle letture fatte sull'argomento in altra età, per una speranza di possibile eclettismo che mi servisse di guida; ma mi sembravano ingenue o inadatte al paragone. L'unica mia guida dovevo essere io medesimo e trovare nel mio passato quelle cortesie, e quelle delicatezze e quelle audacie che l'esperienza m'aveva insegnate ottime, se non in casi identici, almeno in casi di qualche somiglianza col presente, se non in una prima notte di matrimonio, almeno in una prima notte.

      Accostarmi a Lidia


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