Il Designato. Luciano Zùccoli

Il Designato - Luciano Zùccoli


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ai boschi, ai villaggi, ai monti; una, poco aperta allo sguardo, dietro la casa del signor Pfaff, costeggia il Reno, avvallata fra gli alberi fitti, e conserva l'indole selvaggia delle strade raramente percorse.

      Più in alto, al disopra dell'albergo, il villaggio di Sufers, con quelle case metà di legno e metà di pietra, che danno sùbito l'imagine della Svizzera, come le pagode caratterizzano l'India e gli edifici a più tetti e a sesto acuto indicano la Cina. Spesso, in quel villaggio di Sufers, preziosamente conservati sul davanzale delle finestre, alcuni vasi di geranî e di garofani, risvegliano una nota d'allegria gentile.

      Noi eravamo diretti al ricovero di pace, non dolenti, ma lieti anzi d'inesprimibile contentezza.

      Avevo pregata io Lidia di seguirmi lassù, perchè mi pareva ed era triste cosa di non aver raccolte in un sol luogo ed in un successivo spazio di tempo le più pure nostre memorie.

      Un po' di vanità femminile aveva forse giovato a convincer Lidia del mio disegno; l'idea di varcare il confine e di veder costumi nuovi, le era parsa men comune e preferibile a un pellegrinaggio per città italiane, notissime a tutti; ne' suoi viaggi colla famiglia, non s'era mai spinta oltre il lago di Como o il lago Maggiore.

      Salimmo nella carrozza da posta verso mezzogiorno. L'antico veicolo dipinto in giallo e rosso e tirato da quattro cavalli, ci poteva illudere un istante di non vivere in un'età insopportabilmente civile e meccanica. Noi avevamo agio a gustare la bellezza dei luoghi e ad aspirare una purissima aria montanina, comecchè il giorno fosse ricco d'azzurro e di sole.

      Nella scossa che il veicolo ci comunicò mettendosi in moto, Lidia mi si appoggiò tutta, ridendo, ed io le strinsi le mani. D'improvviso, mi ricordavo una molestia patita il mattino stesso durante il viaggio in battello da Como a Colico. V'era salito un giovane elegante, il quale non aveva smesso di guardar Lidia con occhiate da scapolo esperto, date a tempo e in modo che la persona osservata non se ne avvedesse.

      Per l'insistenza stupida dell'ammiratore, avevo sofferto con ridicola intensità, e pretestando l'aria troppo fresca, avevo finito per invitar Lidia a discender meco sotto-coperta.

      Era un principio di gelosia vaga? Senza dubbio, quantunque incoerente col mio intero passato; non ero mai stato geloso d'alcuna donna, o perchè non ne valeva la pena, o perchè sapevo allora dominarmi. Ma indubitabilmente d'ora innanzi, gli sguardi, i sorrisi, le parole dirette a Lidia, m'avrebbero fatto male; potevo affermarlo con sicurezza quasi matematica.

      Ciò era necessario e illogico siccome ogni paradosso di sentimento. Lidia era bella, e non d'una bellezza così capricciosa da risvegliar l'attenzione di pochi intelligenti; ma d'una bellezza fresca, ingenua, assai pura, che avrebbe stimolato il desiderio perverso, quel desiderio del male, del corrompere, dell'insozzare un'anima il quale è peggiore di gran lunga d'ogni desiderio sensuale, e pur s'annida in fondo al cuore di molti uomini.

      Si sarebbe annidato fors'anco in fondo al mio cuore, se io fossi stato estraneo a Lidia; anzi, peggio, vi s'era annidato già, in altri tempi, ed io aveva commesso il delitto di pervertire qualcuna, pel solo piacere di pervertirla, d'eccitarla malamente e di mutare una superba in una donna come tutte le altre.

      La cattiva esperienza m'insegnava che le anime chiarissime, incitano e richiamano la malvagità; la fede provoca la negazione, quasi processo di fenomeno elettrico. Forse non è lo stesso dei corpi femminili, tanto più procaci quanto più velati allo sguardo in vesti ondeggianti, con linea severa?

      Lidia, dopo le prime esclamazioni di gioja al cospetto della vallata che si offriva alla nostra manca,—parlava con inflessioni carezzanti della voce colorita, e parlava d'ogni cosa, ora sorridendo alla figura burbera del cocchiere appollajato e mutolo sul suo sedile, ora intenerendosi alla vista dei monelli cenciosi che ne seguivano in cerca d'un soldo. Come la carrozza, per la salita, andava al passo, i monelli si facevano audaci, gettavano mazzolini d'edelweiss sulle ginocchia di Lidia, senza cessare dalla loro nenia mendicante. Lidia, che credeva liberarsene coll'offrir loro qualche moneta, se li vedeva comparir più numerosi.

      V'era una bambina coi capelli arruffati, sudicia, scalza, insistentissima; non appena un soldo veniva gettato, ella si slanciava e lo disputava ai maschi, rotolandosi con loro per terra; la scena crudelmente selvaggia stupiva Lidia, la quale non riusciva a persuadersi che la monella appartenesse al medesimo sesso di lei.

      Al riprender del trotto, i monelli rimasero, addietro, sparvero ad un gomito della strada e in un nugolo di polvere. La carrozza procedeva robustamente, e il vetturale, curvo, indifferente al paesaggio di cui doveva conoscere ormai ogni anfrattuosità, spingeva i cavalli a esortazioni e a tocchi di frusta.

      Sui fianchi delle montagne si vedevamo sparsi poledri e giovenche, intenti al pascolo, volgendo appena la testa al passaggio del veicolo romoroso. Alcune fra le giovenche, piantate in mezzo alla strada con bruta apatia, costringevano il vetturale a frustarle perchè facessero largo, e oltrepassata la carrozza, riprendevano, la loro immobilità, coll'occhio atono e fisso, come animali di bronzo.

      Dopo il cambio dei cavalli a Campodolcino,—collocato graziosamente in un'estesa verde di praterie,—l'aria si fece più viva, il paesaggio intorno più tetro per maestosità di montagne, la salita più decisa. M'ero lasciato prender volentieri dalla vivacità di Lidia; era impossibile non esultare alla soddisfazione complessa che illuminava la donna e le brillava negli occhi.

      Discesi dalla vettura, noi le camminavamo a fianco, studiando di precorrerla quando il terreno ce lo permettesse. La strada, scavata a giri nel fianco della montagna, ci offriva d'accorciar di molto il cammino che il veicolo doveva seguir tutto e ci arrampicavamo sui rialzi per balzar dall'altro lato della strada. Lidia, coll'abito corto da viaggio, i piccoli piedi calzati in forti stivaletti di cuojo giallo, svelta, agile, s'appoggiava alla mia mano e spiccava il salto con arditezza. Ma si stancò presto e dovemmo attender la carrozza, che avevamo vantaggiosamente distanziata, per risalirvi. Il vetturale ci guardava con occhio tenero, quasi paterno e non riprendeva il viaggio se non certo ch'io avessi ben collocata Lidia.

      Una pigra ma sicura mutazione mi faceva sentire, man mano procedendo, che le memorie dei luoghi noti m'entravan nell'animo spalancato, ne cacciavano ogni imagine faticosa della città, mi davano una superbia di possesso quasi io solo fossi passato di là e solo conoscessi le voci sonore e profonde dell'altitudini; poi, guardando Lidia,—ora avvolta in uno sciallo da viaggio per ripararsi dall'aria pungente,—provavo un fremito leggiero, nulla giudicando più dolce di simile amore in simili plaghe.

      A un tratto, Lidia volse il capo verso di me, i nostri sguardi s'incontrarono, e la donna intuì il mio pensiero dilettosamente soggettivo.

      —Sei venuto spesso qui?—ella chiese.

      —Cinque anni di séguito, in questa medesima stagione.

      —Solo?—ribattè ella, con qualche esitanza.

      —Sempre solo…. Puoi supporre?…

      Ma no. Lidia non mi supponeva capace di condurla dove altre memorie di donne vivessero, e mi pentii del sospetto, e per cancellarlo le narrai in quali condizioni avessi scelto quel ricovero tranquillo, le dissi dell'epigrafe sulla casa, e ormai mutabile in quest'altra: «Venite, gaudentes» se gaudente non avesse una significazione materiale e volgare.

      Le brevi domande, però, mi ricordarono ch'io doveva la storia del mio passato a Lidia.

      Non sapeva io tutto di lei? La sua vita fino al mio incontro era stata così semplice, così eguale, che ponendo piede in casa Folengo, avevo capito come ogni giorno vi fosse monotono e puro, perchè Lidia non aveva amiche. Soffersi quindi, nuovamente, una curiosa molestia dacchè il mio passato era ben diverso, inutilmente ricco d'intenzioni variate e inesorabilmente vuoto di bene e di male grande; ero stato un uomo allegro e triste, malvagio o beffardo, a seconda dei casi, e per questo, nel mentre nulla avevo fatto che mi distinguesse da qualunque altro scapolo,—nulla, nel medesimo tempo, era più increscioso a narrarsi di quegli anni desolati, infingardi; chiusi nella ricerca di commozioni, comunque fossero, anche bassamente colpose.

      Stabilii, dietro la rapida sintesi, di non parlare e d'attendere che Lidia desiderasse o in qualsivoglia modo mi ricercasse quella storia,


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