Cantoni il volontario. Garibaldi Giuseppe
sino al 4 giugno, assaltarono traditoriamente gli avamposti Italiani nella notte dal 2 al 3 e per sorpresa s'impadronirono di Villa Corsini, chiave della difesa di Roma, e che non fu più possibile di riprendere, assaltandola tutto il giorno 3.
All'incontro si accettarono le proposizioni del Governo Pontificio che furono le seguenti: «Dirigersi a Ravenna e di là a Porto Corsini, ed imbarcarvisi per Venezia a spese di detto Governo.»
Ma la calunnia di quei maestri d'ogni inganno e d'ogni impostura, che si chiamano preti, avea già deturpata la riputazione dei Volontari Italiani, dipingendoli come un'accozzaglia di banditi, rotti ad ogni vizio e spensieratezza. Dimodochè si seppe subito che il Governo di Manin, a Venezia, avea fatto sapere a Ravenna che i Volontari non sarebbero stati ricevuti. Saputasi dal popolo di Ravenna cotesta decisione, quei bravi popolani, sdegnarono di vedere una mano di giovani, consacrati alla libertà italiana e venuti sì da lontano, obbligati di rifugiarsi in Turchia, perchè tutti i sedicenti governi liberali d'Italia li cacciavano. E tale sarebbe stata la loro sorte se una circostanza imprevista non la cangiava, come vedremo più avanti.
In una stanza del palazzo Guiccioli di Ravenna, ove abitava il Legato Pontificio, cardinale Sardella, trovavansi a colloquio collo stesso il generale Latour e don Gaudenzio, il prete liberale che già conosciamo.
«Questo popolo mi mette in fastidio, diceva l'astuto prelato.—Esso fa poche parole, poche millanterie, ma se si mette in capo d'eseguire qualche cosa, la fa a dispetto di qualunque pericolo.—Così non sono molte delle popolazioni Italiane:—molto chiasso, molte ciarle e fatti pochi.»
«Ecco adesso incaponirsi a non voler lasciar imbarcare i Volontari; ma vi sembra, generale! Cosa diavolo voglion far qui di quella banda di scapestrati?»
«E così li abbiam dipinti io ed i miei agenti, eminenza! sclamava il rubicondo don Gaudenzio,—l'esaltato gesuita republicano—siccome ladri, gente rotta ad ogni vizio e sopratutto, nemici acerrimi della religione.—(E qui stava sul suo cavallo di battaglia il negromante.) «Ma questi romagnoli sono teste dure che solo col piombo ponno ammollirsi e se non si pigliano delle misure energiche, io temo che questo nostro triregno versi in grande pericolo.»
«Alla sordina, ed un poco ogni notte, noi abbiam riunito in questa città i due reggimenti che occupavano le Filigari e Bologna» diceva il generale Latour. «E si può contare astutamente su questi stranieri; essi sono i più fidi alla Santa Sede; e quando si sa che alcuno si ammala del morbo di libertà—oggi venuto in moda,—esso s'invia al corpo di spedizione per Venezia. Quando Vostra Eminenza dunque, voglia giungere a qualche fatto energico ponga pure ogni fiducia nelle mie truppe.»
«Oh, generale! voi non sapete che razza sono questi Romagnoli. Poi ai
Volontari si son riuniti quel fazioso di Masina co' suoi lancieri,
quel furioso di Bonnet da Comacchio ed un capitano Mambrini con molti
Mantovani.—Non è vero don Gaudenzio?»
«Non solamente è vero» rispondeva la spia in sottana, «ma vi so dire che in Ravenna giorno e notte si stanno fabbricando cartuccie¹, e che vi esistono fucili sufficienti per armare Volontari e popolazione.»
¹ Storico.
A queste spaventevoli notizie gli occhi del grasso prelato ruotavano nell'orbite foschi ed infuocati: quasi per istinto appoggiò le due mani sui lati del seggiolone in atto di alzarsi e fuggire, ma sopraffatto dal peso corporeo, si lasciò ricadere, e le polpute sue mani sostaronsi a sostegno della pancia (santuario della negromanzia) alquanto scomposta dall'unico movimento, e vi rimasero come per proteggere quel fetente ricettacolo, ove finalmente vanno ad avvolgersi e seppellirsi, sotto gli auspicii della menzogna, pudore, coscienza e dignità umana! Vedendo Sua Eminenza spaventata l'astuto Gesuita volle profittarne: «E non vi sarebbe modo» diceva il birbante «di sbarazzarsi di tutta questa canaglia, colla volontà e permesso di Dio» (sacrilegio perenne di questi assassini che fanno Dio complice dei loro misfatti?) «Non vi sarebbe, dico, qualche mistura nel cibo da provvedersi? La causa della nostra religione è tanto santa, tanto gradita al Padre Eterno che l'olocausto di alcuni rompicolli sarebbe a lui piacevole.» E qui citò in latino un buon numero di passi delle loro favole—ove Dio per fare piacere ad un popolo di vagabondi usurai sacrificava altri popoli innocenti.
Il prelato, spalancando tanto d'occhi al ritrovato infame del suo perverso collega, raggrinzò le labbra fingendo disapprovazione, ma dagli occhi suoi traspariva certo godimento dell'anima sua da cocodrillo. Al mercenario pure non dispiaceva la gesuitica scoperta, ma per mantenere quella presuntuosa superiorità che la dappocaggine dei discendenti degli Scipioni ha concesso ai mercenari stranieri in questo sventurato paese: «Viva Dio, esclamava, alzandosi dal seggiolone in tutta l'altezza della sua statura al disopra dell'ordinario,—«Viva Dio! le carabine de' miei soldati potranno presto mettere all'ordine questi briganti! (e se non avesse parlato in presenza di due indigeni egli avrebbe magnificato il suo discorso con brigands d'Italiens, frase favorita con cui ci onorano generalmente i nostri vicini d'oltr'Alpi.)
«Sì, ma questi briganti, signor Generale (ripigliava il Loyolesco), sono gente risoluta che conoscono ed hanno odorato la polvere un tantin più che l'ha fatto Vostra Signoria Illustrissima al pacifico servizio e viver beato di Sua Santità. E poi sono sostenuti da una popolazione che non burla e di cui sino i bambini sanno maneggiare il fucile.»
Il soldato in livrea colla solita aria di Rodomonte lisciava i baffi, sollevava il capo e sembrava minacciar le nubi.—Il porporato continuava a fissare spaventato il Gaudenzio, ma un sintomo evidente di terrore invadeva il concistoro.
In quel momento una moltitudine di popolo si accalcava sotto le finestre del palazzo e cominciava a vociferare. E se aumentasse il disturbo dei tre nemici dell'Umanità, lo lascio pensare al lettore.
CAPITOLO VIII.
UNA DIMOSTRAZIONE.
Fatti e non ciarle, ci vogliono,
per rimediare le miserie umane.
(Autore conosciuto.)
Ai tempi in cui scriviamo (1848) si eseguiva una dimostrazione colla stessa disinvoltura d'una passeggiata o d'una festa da ballo. Si diceva: «andiamo a fare una dimostrazione» e mezza dozzina di giovinastri, accompagnati spesso da un don Gaudenzio (poichè il 48 fu la vera Età dell'oro dei preti) innalzavano una bandiera Italiana, per lo più senza macchia, poichè la Monarchia è stata una necessità a cui l'Italia si è sottomessa, ma essa mai non entrò nelle simpatie delle popolazioni, innalzavano, dico, una bandiera e tutti gli oziosi della città facevan coda ai dimostranti, dimodochè in poco tempo, facendo la bolla-neve, e giungendo al punto determinato, ordinariamente il palazzo di governo, la dimostrazione avea ragranellato un numero considerevole di persone per lo più giovinetti e bimbi. Non mancavano però tra i dimostranti buon numero di coloro che vogliono acquistare la riputazione di liberali a poche spese e fatiche, sempre pronti, cioè, a schiamazzare, strombazzare e commettere disordini, ma assenti sempre nell'ora del pericolo sotto l'uno o l'altro pretesto. E disgraziatamente sono moltissimi questi ultimi.
Una dimostrazione di Ravennati però aveva qualche cosa di più serio, che la generalità di quella sorta di assembramenti.
Come già abbiamo detto i Ravennati non sono gente con cui si burli a buon mercato. Si distinguevano poi, all'occhio esperimentato, nella folla buon numero di Volontari, non facili a conoscersi da stranieri perchè senza verun distintivo, e con essi quelle bagatelle di Masina, Risso, Ramorino, Franchi, ecc., non mancava neppure il nostro Cantoni, tutta gente più disposta a menar le mani che a far parole. Alle grida di: Viva l'Italia! Viva Pio IX! (era questo il grido dell'epoca, giacchè gl'Italiani avean creduto un prete capace di liberarli!) si aggiungeva: «Non partiranno i Volontari! Vogliamo i Volontari!» Al primo ruggito della tempesta popolare erasi chiuso il portone del palazzo e la guardia straniera stava nell'atrio schierata colle armi cariche pronte a far fuoco.
«Come