Lo assedio di Roma. Francesco Domenico Guerrazzi

Lo assedio di Roma - Francesco Domenico Guerrazzi


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emuli pari se non superiori a loro; questi poi veruno. Nel periodo lungo delle guerre napoleoniche i più famosi capitani come Bertoletti, Pino, Teuliè, e Vacani uscirono di Milano, i tre Lechi o Mazzucchelli da Brescia, Lahoz e Peyri furono mantovani, Bianchini, l'eroe di Tarragona, bolognese, il maresciallo Bianchi da Corno, Viani veronese, Zucchi reggiano, Severoli faentino, Palombini di Roma, Fontanelli da Modena, Colletta di Napoli; solo due noti nelle storie dava tutto il Piemonte, più illustre il primo, che fu Rusca, meno il secondo nominato Serras; nella guerra del 1848 venne fuori il Bava capitano di abilità mediocre, e di cattiva fortuna; nel 1849 ebbero ricorso a capitano straniero con perdita di riputazione, e sciagura della impresa. Adesso fanno caso grande del Lamarmora, ma non tutti in lui ripongono fede; ad ogni modo gli preferiscono il Cialdini od anco il Fanti, i quali insieme al Cucchiari vengono da Modena. Quanto a Garibaldi ormai è convenuto che generale matricolato non si possa estimare; di fatti della milizia ei sa una parte sola, una sola, tutte le altre ignora, e questa una è quella di vincere le battaglie.

      Questo intorno ai capitani; circa le milizie quando per tutta Italia andavano famose le Bande nere, ed anco la ordinanza della Milizia fiorentina le soldatesche del Piemonte si reputavano le più scadenti di tutte.—E perchè non paia avventato e maligno il mio dire, siami lecito riportare quanto trovo sparsamente scritto intorno ai capitani, e alle milizie piemontesi durante il secolo decimosesto nelle relazioni degli ambasciatori veneziani arguti nell'osservare quanto schietti nello esporre. Ora di queste relazioni io ne conosco cinque, stampate a Firenze; la prima è di Andrea Boldiù la quale è tratta dalla biblioteca Capponi insieme coll'altra del Lippomano, che al nostro scopo non approda; due ne somministra l'archivio reale di Torino e sono di Sigismondo Cavalli, e di Giovanfrancesco Morosini, l'ultima pubblicava il signor Cibrario. Quanto a' capitani; e ai soldati afferma il Boldiù: «ha parlato assai sua eccellenza; sebbene non ha terminato cosa alcuna di dare forma alle genti del suo paese nel modo che sono le cerne di vostra serenità, che si chiamano ordinanze; per le quali già ha fatto colonnelli e nominati molti capitani, pochissimi dei quali sono, come intendo, che abbiano comandato in guerra alcuna. E cercando io poi di sapere quanto si sperava, che potesse essere il numero di queste ordinanze mi viene affermato, che per servire nel paese ascenderiano a 24000 uomini, ma volendo condurli fuori non passeriano 8000, ma questi buoni veramente[1].» Il Cavalli più alla recisa: «di uomini da guerra, che abbiano servizio con sua eccellenza, nè dei suoi sudditi, nè di altri vi ho conosciuto persona di gran nome o valore, salvo che il Signore della Trinità, il quale vostra serenità avrà inteso nominare per le operazioni onorate che fece alle imprese di Cuneo e Fossano…. il signor Duca non si serve gran fatto di lui, prima perchè non vuole mostrare, che quello che fa sia per consiglio del medesimo; poi (nota, o riponi in mente lettore) perchè dove tutti gli altri suoi servitori gli parlano con molta timidità, lui per dire il vero O quando si trova in Corte parla più liberamente… per tal causa vive il più del tempo ritirato in casa sua. Vi è ancora il signor Masino, che a tempo di guerra era vice-duca, questi è galantuomo e cavaliere liberale, ma nel fatto di guerra non ha mostrato virtù sopra gli altri. Il conte d'Arignano ancora lui è prudente gentiluomo, ma non ha fatto operazioni, che, meritino essere rammentate più, che tanto. Restano alcuni privati capitani, che si possono riputare buoni soldati, ma non sono persone di grande portata[2].»

      [1] Relazioni venete, Serie II, vol. 1. p. 136.

      [2] Relazione dell'Oratore Cavalli. Relaz. degli Amb. veneti. S. II. Vol. II, p. 33.

      Più spezialmente circa la qualità dei soldati, e l'indole dei piemontesi l'oratore Giovanfrancesco Morosini informa il Senato: «il letto loro è pieno di foglie di alberi per la molta povertà, del paese non tanto causata poi in effetto dalle lunghe guerre, e continue, che ha avute, quanto da una naturale viltà e dappocaggine di quei popoli; la quale ancora è causa, che con tutto che pei tanti anni continui sieno stati nudriti ed allevati nelle guerre, non sono però al giudizio di molti, da essere tenuti per molto atti allo esercizio delle anni per non dire, che sieno inettissimi a quello

      Questa relazione del Morosini va copiosa mirabilmente di notizie intorno alla milizia del Piemonte; chi ne abbia talento (e lo dovrebbe avere, ma ne dubito, perchè la gioventù in mal punto oggi si mostra aliena dagli studi, massime storici) può esaminarla intera; al mio assunto giova cavarne questo altro tratto: «ha il signor duca, oltre alli presidi, una milizia di 16000 fanti bene armata sotto quaranta insegne, le quali prima erano 66, ma sono state questo anno ridotte al numero di quaranta, a fine di scansare le spese dei capitani, e degli officiali di 26 compagnie; e li fanti sono stati distribuiti in modo, che in ogni bandiera saranno 400 fanti, e sua eccellenza viene ad avere avanzato 5200 scudi all'anno. Queste genti sono al governo di 42 gentiluomini, tutti suoi vassalli, salvo che uno, ch'è il signor Guido Piovene suddito della serenità vostra e gentiluomo vicentino…… Questi tutti hanno nome di colonnelli e sono stipendiati diversamente l'uno dall'altro, avendo chi più, chi meno secondo la inclinazione di sua eccellenza. Questa gente, come ho detto di sopra, non è molto atta allo esercizio delle armi, salvo, che certa poca quantità verso Fossano, e il Mondovì, li quali per essere tra loro stessi in perpetua gara riescono più esperti, e pronti a menare le mani, che gli altri; ma quanto più sono buoni allo esercizio delle armi tanto più sono fastidiosi, ed insolenti ad essere governati, e disciplinati. Fa usare sua eccellenza molta diligenza per tenere bene disciplinata questa milizia facendo mostre spessissimo, alle quali molte volte si trova di persona sperando pure con questo frequente esercizio doverle levare da quella naturale pigrizia, che hanno; ma difficilmente credo, che vi riuscirà essendo più forte la natura, che l'arte[1].»

      [1] Relaz. ven. S. II vol. 2. p. 130.

      Da principio Emanuele Filiberto pare, che facesse capitale sopra i popoli di Savoia, sicchè Sigismondo Cavalli racconta egli avere, per lo scopo di assicurare i stati, «principiato a fare le cernide, ovvero ordinanze dei suoi popoli, ed obbligare ogni comune a dare tanti corsaletti, picche, archibugi, e morioni; e già quelli della valle di Aosta debbon essere in buono stato, perchè quando sua eccellenza passò di là, tornando di Savoia, volle vederne la mostra, la quale riuscì assai bene[1]» Senonchè Francesco Molino dopo dieci anni nel 1574 referendo al Senato così favella di cotesta medesima milizia: «i popoli che abitano la Savoia sono per lo più timidi, e vili: non si danno ad alcuno esercizio, e nè tampoco a quello delle armi, e fecero vedere questa poca inclinazione alloraquando il duca ordinò una milizia, per la quale avendo speso più di seimila scudi in arme, in poco tempo fu ritrovato, che dei morioni, e corsaletti se n'erano serviti a fare delle pignatte e degli spiedi[2].» e comecchè poco più innanzi afferma i popoli del Piemonte più atti ad adoperarsi, più capaci di disciplina, o più industriosi dei Savoini, non si sa bene con coteste premesse s'egli intenda più avvilirli ovvero commendarli.

      [1] Relaz. ven. S. II. vol. 2. p. 37.

      [2] Relaz. ven. S. II. vol. 2. pag. 246. Innanzi però di pigliare congedo dalle Relazioni degli Oratori Veneti giovi cavare da loro, a fine d'instituire i debiti confronti quale, la gratitudine del duca Emanuele Filiberto fondatore vero della casa di Savoia verso coloro che nella fortuna avversa lo sovvennero col sangue e con gli averi. «Quelli poi che sono stati fedelissimi a sua eccellenza e l'hanno in ogni tempo servita, si trovano di malavoglia, perciocchè quando aspettavano, tornati in Patria, ed a casa di avere alcuna mercede per essersi tanto tempo trovati spogliati di quanti beni avevano, vedono che solamente si danno a loro parole, ed all'incontro a quelli che sono stati totalmente contrari a sua eccellenza si danno maggiori onori, che vi sieno e sono adoperati prima degli altri, il che mette alle volte in disperazione tale, che prometto a vostra Serenità, che si conosce chiaramente che muterieno voglia se tornasse il tempo com'era prima della guerra. Relazione dell'Oratore A. Boldiù. S. 2. vol. 1. p. 441. Rispetto all'osservanza nella quale tenevasi il Consiglio di Stato, e le deliberazioni di lui..» In questo consiglio rare volte si trattano materie di stato, o solo allorquando vuole servirsi sua eccellenza delle deliberazioni di quello per causa sua, come fece ultimamente con accomodarsi con quelli suoi di Agrogna, perciocchè disse, che ciò fatto aveva perchè aveva così deliberato tutto il consiglio di Stato……Poi domanda sua eccellenza li pareri loro, e dice:—io intendo che si faccia così:—o pure si leva dicendo:—si delibererà poi—e molte volte occorre, che sua eccellenza non va al consiglio, e se vi si trova non si obbliga


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