I Mille. Garibaldi Giuseppe
Essi furono distrutti dai generali Bosco e Van Michel: questa notte istessa avrai intesa le salve d’artiglieria, e le grida di vittoria, che echeggiarono dovunque in Palermo».
«Bugiardi! Bugiardi!» urlava la giovine profetessa, «i Mille passeggeranno vittoriosi sui cadaveri dei vostri mercenarii, sino alla distruzione della fucina infernale che mantenete in Roma, nel cuore d’Italia, per la sventura di questo infelice paese, e del mondo».
L’ultima parte della profezia potea avverarsi, ove i nostri concittadini fossero stati più solerti ad accorrere in sostegno dei Mille.
Nuovo silenzio seguì le ultime parole di Marzia, e raffreddato il parossismo di sdegno, di collera, e di dolore che sinora l’aveva invasa, essa ricadde spossata sul miserabile pagliericcio dominata dalle più sinistre riflessioni.—Suo padre! suo padre nei sotterranei del Sant’Officio! Questo pensiero l’uccideva!—Coi Mille che essa avrebbe accompagnati a Roma, la liberazione del genitore era possibile. Ma ora, rinchiusa in questa malefica bolgia, ove pochi giorni avrebbero bastato a distruggerla!
«Dio mio! che m’importa morire! non son io capace di affrontar la morte le mille volte come a Calatafimi!—La morte!—cos’è la morte? Ma la tortura! Dio mio! il mio povero padre sì amoroso, sì buono! alla tortura! colle sue carni strappate! la veneranda sua chioma insozzata, aggrumata da mortale sudore, e da sangue! in patimenti indescrivibili!»
Povera giovane!—tale era il soliloquio che ti straziava.—Ed il tuo tentatore?.....
Eppure avea delle belle forme, quel mostro—quel parto dell’inferno!—Il tuo tentatore? come se avesse tenuto la mano sul tuo cuore, egli ne contava le pulsazioni egli, come nel giorno in cui ti prostituiva il corpo, non disperava a forza di diabolica pertinacia, di prostituirti l’anima!
Piangi—singhiozza—struggiti—che importa a gente di tal tempra! Tu commoverai le iene, ma costui! non rinnegò egli i sensi più squisiti della natura—ogni affetto di figlio, di padre, di congiunto?—Costui, che vedrà con sangue freddo distruggere dalle fiamme un’infelice creatura, chi deve sperare di vederlo intenerirsi, commuoversi alla tua disperazione?
Maledetti coloro che non ripugnano di vivere su questa terra venduta! nel consorzio di questi corruttori, barattieri di popolo! Maledetto chi non si risente degli oltraggi e delle umiliazioni a cui abbassano l’Italia, questi impostori in connivenza colla tirannide!
«Io chiedo poco, Marzia: dimmi soltanto ciò che tu sai di quei disgraziati che si chiamavan Mille, e che ora son morti per la maggior parte, o fuggenti verso l’Africa».
Spossata la sventurata fanciulla dalle privazioni, dalla scellerata scena, e più dall’aura mefitica dell’angusto e putrido suo carcere, non rispondeva alle infami insinuazioni del Gesuita, che con alcune mal articolate maledizioni. Poi tacque assolutamente per ciarlar che facesse lo iniquo.
Il prete—colla perseveranza che distingue questa razza di lupi—credendo Marzia sopita, o svenuta, riapriva; e diretto il chiarore della lanterna, verso il volto di lei, credè veder gli occhi chiusi da sonno, o da sincope, e si avventurò nella cella—non certo con onesto divisamento.
Ma il fulmine non colpisce con più velocità l’altiera quercia od il campanile della bottega, quanto colpì la nostra eroina il malvivente tentatore.—Essa volò sulla parte superiore del gesuita, lo squilibrò, rovesciollo, e come se fossero d’acciaio, conficcò le sue dita nel collo del giacente.
Era bello e spacciato monsignor Corvo, se un baccano che successe quasi contemporaneamente, non gettava l’allarme tra la dormente guarnigione di Castellamare.—E veramente una grandine di fucilate udivasi in tutte le parti del castello, dal di dentro però al di fuori. E chi ha fatto la guerra sa che ove basterebbe una fucilata, di notte se ne tirano mille.
Un diavolío poi, un correre con lanterne, e senza per ogni dove. E ciò valse al gesuita, poichè anche nella cella di Marzia capitarono birri che liberarono quello scellerato, con gli occhi già fuori dell’orbita.
Marzia da quella svelta e coraggiosa che era, non si smarrì di mente, ma presentendo che qualche cosa di nuovo dovea accadere al di fuori, con tale finimondo di fucilate, cannonate, grida, ecc.—e fiutando l’odor della polvere—come i generosi della sua specie—elettrizzata, precipitossi sulla posterla semiaperta, e frammischiossi nella turba confusa, che correva in ogni direzione.
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