Ben Hur: Una storia di Cristo. Lew Wallace

Ben Hur: Una storia di Cristo - Lew Wallace


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mie orazioni pure e forti, come voi, fratelli miei, mi ritirai dal mondo abitato e cercai conforto nella solitudine.

      Andai al di là della quinta cataratta, al di là dell'incontro dei fiumi in Sennar, al di là di Bahr el Abiad, nella parte più sconosciuta dell'Africa. In quei luoghi, una montagna celeste come il cielo, getta una fresc'ombra su tutta la parte occidentale del deserto, e, con le sue cascate di neve disciolta alimenta un vasto lago formatosi all'est della sua base. Il lago è la sorgente del gran fiume.

      Per più di un anno la montagna mi diede ricetto. I datteri mi nutrirono: le preghiere sollevarono il mio spirito. Una sera andai nell'orto vicino al lago e pregai così: — «Il mondo sta per morire. Quando verrai? Perchè non potrò io vedere la Redenzione, o mio Dio?» — L'acqua cristallina brillava al riflesso delle stelle. Una di esse parve abbandonare il suo posto e innalzarsi alla superficie dove diventò di uno splendore tale da abbagliare gli occhi. Poi si mosse verso di me e si fermò sopra il mio capo, apparentemente a portata di mano. Caddi a terra e mi coprii il viso. Una voce che non era terrena mi disse: — «Le tue fatiche hanno vinto. Che tu sia benedetto, o figlio di Mizraim! La Redenzione verrà. Con due altri, venuti dalle estreme parti del mondo, tu vedrai il Salvatore. Di buon mattino alzati e va ad incontrarli e quando sarete giunti tutti alla città santa di Gerusalemme, chiedete al popolo: «Dov'è colui ch'è nato Re degli Ebrei? Poichè noi abbiamo veduto la sua stella sorgere dall'Est e siamo inviati qui per adorarlo.» — Poni tutta la tua fiducia nello Spirito che ti guiderà.» —

      E la luce divenne per me una Rivelazione indubitabile e rimase mia unica inspiratrice ed unica guida.

      Essa mi condusse per la via del fiume a Memfi dove mi preparai ad attraversare il deserto. Comperai il mio cammello e venni qua senza riposarmi dalla via di Suez e Kufileh attraverso le pianure di Moab ed Ammon. Iddio è con noi, o fratelli.» —

      Egli fece una pausa; poi con prontezza insolita si alzarono tutti e si guardarono.

      — «Dissi che v'era un motivo che c'inspirava a dire in un certo modo dei nostri popoli e delle loro tradizioni — proseguì. — Colui che noi andiamo a cercare era chiamato Re degli Ebrei; con quel nome noi dobbiamo chiedere di lui. Ma ora che ci siamo incontrati, che ci siamo uditi, possiamo conoscerlo come Redentore, non solo degli Ebrei, ma di tutte le nazioni della terra. Il Patriarca, che sopravvisse al Diluvio, aveva seco tre figli, e le loro famiglie, dalle quali il mondo fu ripopolato. Nella vecchia Ariana Vaêjo, la conosciutissima regione di Siria nel cuor dell'Asia, essi si divisero. L'India e il lontano Oriente ricevettero i figli del primo figlio; i discendenti del minore, dal Nord, sbarcarono in Europa; quelli del secondo (attraverso i deserti vicino al mar Rosso), passarono in Africa: e, sebbene per la massima parte abitino ancora in tende nomadi, alcuni di essi divennero edificatori di case lungo il Nilo.» —

      I tre unirono le palme mossi da un medesimo impulso.

      — «Potrebbe esservi alcunchè di meglio ordinato? di più chiaramente divino?» — esclamarono ad una voce.

      Balthasar continuò:

      — «Quando avremo trovato il Signore, o fratelli, tutte le generazioni venture s'inginocchieranno a lui in segno di omaggio, imitandoci. E quando ci divideremo, per andar ognuno per la nostra via, il mondo avrà imparato una nuova dottrina — e cioè che il Paradiso può esser meritato non solo colla spada, non solo colla saggezza umana, ma bensì colla Fede, coll'Amore, colle Opere Buone.» —

      Vi fu un silenzio interrotto da sospiri e santificato con lagrime poichè la gioia che li riempiva tutti era ineffabile.

      Le loro mani si disgiunsero ed insieme si protesero fuor della tenda. Il deserto era calmo come il cielo. Il sole tramontava rapidamente. I cammelli dormivano. Poco dopo la tenda fu levata, e gli avanzi dei viveri rimessi nelle casse; gli amici montarono in sella e s'avviarono in fila diretti dall'Egiziano. Il loro cammino nella rigida notte era rivolto all'occidente. I cammelli camminavano a trotto sicuro mantenendo le distanze e la linea retta così esattamente che quelli che seguivano parevano camminare sulle orme del capo. I cavalieri non parlarono una sol volta durante il tragitto.

      A poco a poco spuntò la luna. E mentre le tre bianche ed alte figure avanzavano a passo silenzioso, sembravano, alla luce d'opale, spettri in fuga dinanzi ad ombre odiose. Tutto ad un tratto, nell'aria, avanti a loro, sulla cima di una bianca collina, scintillò una fiamma sottile; mentre la guardavano l'apparizione si mutò in un fuoco di un immenso splendore. I loro cuori batterono forte; le loro anime fremettero; essi gridarono ad una voce sola:

      — «La stella! La stella! Iddio è con noi!» —

       Indice

      Ad oriente, nelle mura di Gerusalemme, si trovano le porte di Betlemme e di Joppa. Il recinto che le circonda è uno dei posti più importanti della città. Molto prima che Davide aspirasse a Sion, si trovava in quel posto una cittadella. Quando il figlio di Jesse scacciò Jebusite, e cominciò a fabbricare, la cittadella divenne l'estremità nord-ovest della nuova mura, difese da una torre più imponente di quella antica. Tanto il campo come la porta, non di meno, non furon toccati, per la ragione che le strade le quali s'incontravano e si dividevano davanti ad essi non potevan essere trasportate a nessun altro punto, mentre il recinto che le circondava era diventato un vero centro di mercato. Ai tempi di Salomone v'era in quella località gran traffico dovuto in parte ai commercianti Egiziani e ai ricchi negozianti di Tiro e di Sidone. Sono passati quasi tremila anni; eppure ancor oggi v'esistono traccie di commercio. Un pellegrino in cerca di merce non ha che a rivolgersi alla porta di Joppa. Qualche volta la scena riesce assai animata e fa pensare che cosa dev'esser stato questo sito ai giorni di Erode il Costruttore. Il lettore deve trasportarsi col pensiero a quei tempi, e a quel mercato.

      Secondo il Calendario degli Ebrei l'incontro degli uomini saggi, descritto nei capitoli precedenti, ebbe luogo nel pomeriggio del 25º giorno del terzo mese dell'anno, cioè il 25 di dicembre; l'anno era il secondo della 193.ma Olimpiade o il 747 di Roma, il 67º di Erode il Grande, ed il 35º anno del suo regno; il quarto prima dell'Era Cristiana. L'ora del giorno, secondo il costume giudaico cominciava col sole, la prima ora essendo la prima dopo il levar del sole; così, per esser precisi, il mercato di Joppa, durante la prima ora del giorno, era molto animato. Le porte massiccie eran state aperte fino dall'alba.

      Il commercio sempre crescente aveva invaso anche un vicolo stretto ed una corte sotto le mura della grande torre. Siccome Gerusalemme è situata sulla parte montuosa del paese, l'aria del mattino era piuttosto fredda. I raggi del sole, che promettevano di riscaldare l'aria, si fermavano provocanti sui merli delle torri, dalle quali s'udiva il tubare dei piccioni e lo stormire delle loro ali. Per far conoscenza col popolo della città santa, e per comprendere le pagine seguenti, sarà necessario di fermarsi alla porta e di passare in rivista la scena.

      Migliore opportunità di questa non può esser offerta per conoscere il popolino. La scena appare, a tutta prima, una gran confusione, di rumori, di colori e di cose. Questo avviene specialmente nel vicolo e nella corte. Il terreno è selciato da larghe ed irregolari piastre che ripercuotono il calpestìo ed il vocìo. Unendoci alla folla e prendendo un po' di famigliarità cogli affari del mercato, ci sarà possibile di fare l'analisi di questo popolo.

      In un angolo, un asino, sonnecchiava sotto il peso dei panieri ricolmi di lenticchie, di fagiuoli, di cipolle e di citrioli, provenienti freschi dalle terrazze e dai giardini di Galilea. Quando non era occupato a servire ai clienti, il padrone gridava, vantando ai passanti la sua merce. Nulla di più semplice del suo costume: portava dei sandali; aveva una greggia coperta incrociata su di una spalla e fermata alla vita da una cintura di cuoio. Là vicino, assai più imponente e grottesco, sebbene non così paziente come l'asino, stava inginocchiato un cammello, ossuto, grigio, con dei lunghi, irti peli rossicci sotto alla gola, il collo ed il corpo; e carico di ceste e di scatole curiosamente accomodate su di un'enorme sella. Il proprietario era un Egiziano piccolo e snello. La sua carnagione aveva preso il colore delle strade polverose e delle sabbie del deserto. Portava uno smunto tarbooshe, una blusa sciolta, senza maniche,


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