La vita italiana nel Trecento: Conferenze tenute a Firenze nel 1891. Autori vari

La vita italiana nel Trecento: Conferenze tenute a Firenze nel 1891 - Autori vari


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di Filippina da Catania, sua dama d'onore, e dell'imperatrice Caterina, sua zia, madre del giovane principe Luigi di Taranto, che aveva saputo entrare ben addentro nel cuore della sua reale cugina.

      Della congiura che si ordisce contro il marito Andrea, figlio del re d'Ungheria, la regina di Napoli non può essere ignara. Pur l'asseconda, recandosi con parte della sua Corte ad Aversa, in solitario castello.

      E lì, Giovanna è con Andrea, come Maria Stuarda sarà con Darnley, piena di tenerezze e di seduzioni. In mezzo alle quali, attirato con supposti dispacci fuor della camera nuziale, Andrea è aggredito nel prossimo corridoio dai cospiratori, strozzato con una fascia di seta e d'oro, e gettato cadavere da una finestra.

      Subito il regno è scosso nelle sue fondamenta ed inondato di sangue.

      Carlo di Durazzo, cognato e cugino della regina Giovanna, s'erge accusatore di lei per usurparne il trono. Il re d'Ungheria le scrive una lettera di acerba rampogna e move un esercito per vendicare il fratello. Clemente VI, memore della politica di Gregorio VII, avoca al tribunale ecclesiastico il processo della regina e manda Bertrando di Baux a raccoglierne gli elementi.

      Essa, la regina, non fa che deboli sforzi per salvare dalle torture e dai supplizi i complici suoi. Forse il loro eccidio è salvezza per lei. E, mentre la sua dama d'onore muore di strazio sotto i tratti di corda, la regina Giovanna passa a seconde nozze col capo dei cospiratori, Luigi di Taranto, seppellendo sotto la brama delle nuove carezze l'ingrato rimorso delle carezze antiche.

      Così Maria Stuarda offrirà pubblicamente gli attestati della sua simpatia all'assassino di suo marito, e aspetterà a stento la fine del processo per farsi rapire e sposare da lui.

      Nè mancheranno ai nuovi sponsali della regina di Napoli, come non mancarono a quelli della regina di Scozia, le indulgenze pontificali. Le prepara abilmente la cessione che fa Giovanna al papa Clemente VI del suo dominio di Avignone. E la sentenza definitiva nel gran processo di Napoli constata che se la regina ha avuto parte nell'uccisione di Andrea, fu perchè non ha potuto resistere all'influenza predominante esercitata da una fattucchiera.

      Si vede che l'argomento della “forza irresistibile„ non è stato inventato dagli avvocati odierni.

      La regina Giovanna sopravvisse anche al secondo marito; sopravvisse al terzo che fu Giacomo d'Aragona. Sarebbe forse sopravvissuta anche al quarto, Ottone di Brunswich, se nelle guerre provocate dalla sua volubilità non fosse caduta nelle mani di un altro cugino, Carlo di Durazzo, che la fece strozzare da' suoi baroni, com'ella aveva fatto strozzare Andrea d'Ungheria, con un cordone di seta e d'oro.

      *

      A questa bufera, che travolge popoli e principi, città e regni, individui e famiglie, mescolando tutti in una sola e vasta nebulosa di sangue, due sole contrade italiane riescono quasi interamente a sottrarsi: Venezia e gli Stati del conte di Savoia.

      Quali ragioni abbiano principalmente determinato l'indirizzo eccezionale preso da questi due regimi politici, sarebbe lungo esporre, ma non è difficile indovinare.

      Così a Venezia come al piede delle valli savoiarde, la benedizione d'un governo stabile s'era potuta creare.

      Nulla v'era di comune nello spirito politico dei due governi, ma ad entrambi era riuscito di evitare il periodo delle fazioni, allargando le influenze politiche, e traendo da una maggiore preoccupazione degli interessi popolari una saldezza di base che gli altri governi italiani non conoscevano.

      Ho avuto l'onore, nello scorso anno, di tratteggiarvi i primi passi nella storia della dinastia di Savoia. Credo avervi detto allora, e in ogni modo mi permetto ora ripetervi, che nella lunga successione di quei conti, divenuti poi duchi, e quindi re, i critici più acerbi non hanno potuto scovare nè un tiranno nè un vile.

      Stonava talmente questa tradizione dinastica coll'esempio di tutte le dominazioni finitime, che la legge storica italiana a poco a poco venne ivi mutando. Passato il primo periodo delle franchigie comunali, succedute al potere vescovile, lo sminuzzamento politico si fermò presto. Ben tennero dominio su parecchie città piemontesi gli Angioini, venuti a combattere la casa Sveva. E parecchie contese trassero in campo, durante il secolo XIII, le due potenti famiglie dei Saluzzo e dei Monferrato. Ma il fenomeno delle città divise in due parti, delle vicendevoli distruzioni e dei deliri di sangue, fu in tutte quelle contrade immensamente minore.

      Un influsso di moderazione e di giustizia partiva dalla casa di Savoia, la più potente di tutte. Per le loro guerre, per le loro alleanze di famiglia, pei loro arbitrati, i principi di quella Casa s'erano acquistati un prestigio, di cui non usavano mai per iscopi ingiusti o colpevoli.

      L'indole mite e previdente della loro politica faceva sì che nessuna città nuovamente venuta sotto il loro dominio pensasse più a scuoterlo, per affrontare le paurose eventualità di altri regimi. Così non sorgevano occasioni di violenza, i rancori tradizionali si venivano spegnendo nella comune prosperità; lo Stato fondato da Umberto Biancamano sempre più si aumentava di gente spossata dalle guerre civili, e che, adagiata in nuove tranquillità, vedeva da lungi riardere quelle fiamme e rincrudir quelle stragi, alle quali un'amica fortuna l'aveva finalmente sottratta.

      Questo spiega come nel secolo XIV appaia già con impronta di Stato moderno quel complesso di dominii, sfuggito al disastroso periodo delle fazioni italiane, e che, con Amedeo V, e più ancora con Amedeo VI, il Conte Verde, vanta un sovrano civile, così dissimile da tutti gli altri principotti della penisola.

      Valoroso in Oriente come in Occidente, fortunato innovatore nelle arti della guerra come in quelle della pace, fondatore dell'Ordine dell'Annunziata e autorevole pacificatore delle due Repubbliche di Genova e di Venezia, il Conte Verde brilla fra i personaggi del suo tempo come un precursore di civiltà. Sessant'anni dovranno ancora passare, prima che nel resto d'Italia sorgano due usurpatori di Stati, Francesco Sforza e Cosimo de' Medici, a creare una forma di monarchia civile e durevole. Egli, non usurpatore, ma legittimo principe, precede ogni altro nell'esempio e nell'effetto. Egli solo, nel tempo suo, può dire di avere un dominio basato sull'amore dei sudditi. Le altre signorie italiane si reggono ancora dappertutto sul terrore dei conquistati.

      All'opposta estremità della gran valle padana fiorisce l'altra potenza, che si stacca, con sufficiente fortuna, dalla solidarietà delle fazioni italiane.

      Di Venezia e delle sue condizioni vi parlerà, con assai maggiore competenza di me, un altro dei vostri conferenzieri. Ciò che solo importa al mio tema è l'attitudine dello spirito pubblico, venutosi educando a forme di pensiero e di manifestazione, affatto diverse da quelle che prevalevano nelle altre parti d'Italia.

      Nata sul mare e pel mare, Venezia aveva dovuto coordinare le proprie istituzioni agli speciali bisogni della sua igiene idraulica.

      Mentre le valli piemontesi avevano cercato in un principato militare ereditario le guarentigie della loro tranquillità, Venezia le aveva cercate, e per molti secoli ottenute, da un ordinamento a Repubblica commerciale. La casa di Savoia entrava con prudenza nelle questioni italiane, tratta dalla necessità di difendersi contro invasioni oltramontane, o assorbimenti di ambizioni limitrofe. Venezia, non minacciata da siffatti pericoli, cresceva per altre vie; approfittava di errori, che non potevano investirla; costeggiava la politica italiana, senza tuffarvisi.

      Le crociate, che erano state per tanti governi causa di rivoluzioni politiche e d'impoverimenti economici, avevano aumentata la sua influenza e la sua ricchezza.

      Certo, d'allora le si era schierata contro una potente rivalità marittima, quella di Genova, a cui sapeva male che Venezia avesse tratto dai trasporti marittimi delle prime crociate occasione ad occupazioni d'indole militare, in Dalmazia e in Oriente.

      Ma, chetata quella guerra, la Repubblica veneta aveva ripreso le sue attività commerciali e allargate le sue relazioni con tutto il mondo conosciuto. Ben è vero che, dal giorno in cui si mescolarono alle sue tradizioni d'affari interessi d'indole militare, una modificazione aristocratica ne' suoi ordini di governo apparve inevitabile. Già verso la fine del duodecimo secolo, l'elezione dei Dogi era stata levata all'assemblea popolare e trasferita ad un Consiglio di ottimati. Poi, al Consiglio stesso fu data facoltà di eleggere i propri componenti. E finalmente, nel 1297, il doge Gradenigo compiè la Serrata


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