Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana. Giuseppe Rovani
che loro erano state commesse, per lasciar modo all'arte di tentar nuovi campi; e all'epoca nostra di vestirsi di forme tutte proprie. Ma le cose di un'antichità a noi più vicina parvero incomportabili appunto, pel desiderio di riabilitare le linee di duemila anni fa.
Del rimanente contagio è codesto comune a quasi tutta Europa, e con tante istituzioni e che so io, si è giunto ovunque a rendere di un calore uniforme i prodotti delle varie intelligenze. I guardacosta del preteso buon gusto, più oculati di un assistente di dogana, vegliano assidui sui contrabbandi delle fantasie d'oggidì; immobili come un dio termine, incorruttibili come la sentinella che mise la baionetta alla vita di Bonaparte, gridando tuttodì all'umano ingegno: On ne passe pas—di qui non si passa.—Almeno fossero stati tenaci di questo sistema, anche allorquando trattavasi di lasciar com'erano le cose vecchie nelle quali la storia era inviscerata; ma per una strana combinazione allora appunto se ne dimenticarono; però sarà ottima cosa che noi lasciamo in pace i presentì e ritorniamo tra quel crocchio ormai numeroso che sta fermo innanzi alla bottega del merciaio Burigozzo.
Costui, a que' tempi assai lontano dal sospettare che l'immortalità sarebbesi preso l'incomodo di prender nota del suo nome, e ch'egli trasportato dalla corrente degli anni, sarebbe disceso giù giù insino a noi in compagnia di molti illustri, non era allora cospicuo che per una insaziabile curiosità di conoscere i fatti altrui, e una disposizione infaticabile a cicalare ed a fiscaleggiare il terzo e il quarto per raccogliere le notizie esatte di quanto avveniva in Milano. Tutte qualità che ad un occhio avvezzo avrebbero potuto rivelare uno storico; ma inallora il suo genio se ne stava latente nell'involucro adiposo della sua bassa persona che egli aveva il costume di dondolare ogniqualvolta stesse a dare od a ricever parola da qualcheduno. La sua loquacità poi veniva mantenuta ed accresciuta dall'utile che in linea commerciale egli ne traeva, giacchè i molti suoi avventori una volta che si ponessero a sedere alle tavole collocate ai lati della bottega, non sapevano staccarsene così facilmente, per la qual cosa allorquando, alla Torre de' Mercanti suonava la grossa campana delle quattro ore di notte egli si trovava aver vuotate molte pinte d'acetosella e d'acquavite, giacchè è a sapersi ch'eran molti i generi di commercio che si vendevano in quella sua bottega, e alla vendita del frustagno, del bucherame e delle stringhe soprintendeva l'attempata sua moglie cui la natura era stata liberale come a lui, del dono invidiabile della parola.
Ritornato adunque che fu il Burigozzo alla sua bottega, intanto che si affannava a persuadere a quel suo preopinante che il colpo tentato contro la persona del marchese Palavicino non poteva venire che dalla Francia, fu improvvisamente interrotto dalle voci agre e sgarbate di alcuni soldati e da un caporale svizzero che s'eran gettati a sedere su d'una di quelle panche e volevano l'acquavite. Il Burigozzo troncò allora a mezzo la parola che stava per uscirgli di bocca, e non lasciò che il caporale svizzero comandasse una seconda volta. Così, dopo avergli messa innanzi una panciuta damigiana, non fu contento finchè non ebbe fatta anche a lui la sua interrogazione.
—E così, caporale, non han già voluto che più vi stesse a dondolare, e presto si scalderanno ancora le vostre miccie contro i nemici che tornano a mostrarvi il viso.
—Si scalderanno e non si scalderanno, rispose il caporale; che cosa sai tu?
—So che i Francesi si son già fatti vedere a poche miglia da
Milano… dunque….
—Dunque… io t'ho chiesto acquavite che raspi e sèdano che morda… e non m'hai dato nè una cosa nè altra… e queste che ho sotto i denti paion frasche di zucca… in quanto poi ai nemici che tu dici….
—Ci son forse novità?
—Novità?… Certo che ci potrebbero essere le novità….
Qui messasi alla bocca la panciuta damigiana, e bevutone un così largo sorso come se fosse acqua:
—Nelle campagne dell'Unterwald, riprese poi, si poteva bene tirare innanzi tre, quattro, sei mesi senza vedere il gheld dei tre cantoni, perchè il formaggio di capra, e la cervogia non manca mai colà. Ma codesto paese tuo ha più d'un malanno, e all'aria grossa che ti fiacca le gambe maladettamente, puoi metter di costa che, se non hai un testone col sant'Ambrogio in saccoccia, per quel dì puoi startene a stomaco vuoto; con questo volevo dirti, che se dentr'oggi l'eccellentissimo signor duca non ce ne dà una manata, (che le promesse non bastano, ed ha un bel gridare il prete che ci comanda) puoi stare ben certo, come se lo dicesse il Tell, che mai non disse una menzogna al mondo, che noi non si combatterà, e i signori Francesi potranno benissimo restar serviti.
—E a che ora si uscirà domani di città, caporale?
—Oggi per le ventiquattro abbiamo a trovarci in castello tutti quanti.
—Questo lo so.
—Se poi fioccheranno denari, domani, prima dell'alba, si uscirà.
—E se i denari non ci fossero?
—Si troveranno.
—Trovarli… è presto detto. Ma io so che la cassa ducale è stramenzita affatto.
—Non c'è altri che il duca forse?… Quel che il duca non sa fare, lo farà bene la città, e lo farete voi…. Non è la prima volta. Intanto prenditi i tuoi due testimoni, che oggi o domani me li avrai a restituire in altro modo.
Qui il caporale si alzò, e con lui gli altri svizzeri, che volgendo uno sguardo sprezzatore a quel crocchio di persone per mezzo alle quali avevano a passare, si tolsero di là. Nè ad un attento osservatore sarebbe sfuggito con che mal'occhio li guardava dal canto suo la moltitudine, memore delle concussioni che il cardinale di Sion aveva insolentemente esercitate su tutti quanti i cittadini milanesi per pagare e satollare que' suoi Svizzeri affamati, ne' quali, dopo la vittoria di Novara, era la superbia cresciuta a dismisura, e verso i cittadini milanesi si comportavano come padroni, e peggio.
Il Burigozzo, come que' cinque furon partiti.
—E così, disse a chi gli stava intorno, siete capaci ora, che la storia della paga sia quale ve l'ho narrata io stesso stamattina? Mettetevi dunque in memoria che il Burigozzo non dice mai cosa in fallo.
—Sta a vedere che tu ne saprai più del Morone e del prete soldato….
—Io non so nulla; ma avete sentito… però la storia della paga mi dà a pensare….
—Attendi a vendere il tuo bucherame e la tua acquavite, e non darti un pensiero al mondo di tutte queste cose, che già è lo stesso….
Ma il Burigozzo non dava retta a queste parole, e continuava come parlando fra sè:
—Messer Bernardino Corio, che mi vuol bene e che si degna intrattenersi con me qualche volta, mi diceva un tal giorno, che codesta città nostra, la quale non è ampia gran fatto, pure ha i suoi duecentomila e più cittadini.
—Adesso c'è la storia dei duecentomila.
—Sicuro il mio Carl'Ambrogio, c'è, e ci dev'essere anche la storia dei duecentomila, perchè, dico io, è tal cosa che non fa molt'onore, che in tanto popolo non ci sia da mettere insieme quindici o venti migliaia di uomini… e questi Svizzeri che, a saziarli, ci vuole un bue per ogni quattro, rimandarli al loro Cantone, dove c'è la Cervogia e il formaggio di capra.
—Sin qui non pare che tu pensi male.
—E non ci sarebbe allora gran bisogno di paghe, e il duca non si troverebbe ora tanto allo stretto.
—In quanto a ciò, s'egli è a sì duro punto, suo danno.
—Capisco cosa vuoi dire tu! Se l'eccellentissimo signor duca invece di regalare avesse venduto, non mancherebbero le paghe.
—Qui sta il punto, Burigozzo, e la tua storia dei duecentomila non ci ha a che fare gran fatto. Domando io se al Morone c'era bisogno di regalare la contea di Lecco, Vigevano al cardinale, la Ghiarra d'Adda al Lampugnano: terre che rendono pan d'oro e fiorini a staia… e so cosa dico!
—Manco roba, manco affanni, dice il proverbio, e pare che il duca l'abbia intesa così.
—Ma