Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana. Giuseppe Rovani

Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana - Giuseppe Rovani


Скачать книгу

      Il padre suo Anton Maria, che di questa terribile avventura fu più addolorato assai che il governatore medesimo, a dar prova del suo attaccamento a lui ed alla Francia, la notte medesima del giorno in cui era avvenuto il fatto, appena gli giunse a notizia, cacciò di casa e solennemente diseredò il giovane Manfredo, a nulla giovando le preghiere e i pianti disperati della madre Flisca che, amando svisceratamente l'unico suo figliuolo, da quell'ora non ebbe più un momento di pace.

      Da quell'anno in poi il giovane Manfredo stette fuori, nè ritornò in patria se non dopo aver redate le immense ricchezze del fratello della madre sua che, a compensarlo dell'irremovibile e mostruosa severità del padre e dell'odio de' fratelli lasciò lui solo erede d'ogni suo avere. Ma il giovane non stava pago di questi compensi che la fortuna gli volle esibire.

      Avendo compreso, che con quel marchio del paterno ripudio era per lui ben più difficile che ad altri l'aprirsi una via tra gli uomini, gli venne un desiderio ardente di operare alcuna cosa di grande e di generoso per mostrare così ch'egli era degno d'una sorte migliore, per meritarsi così la stima e l'amore degli uomini.

      Desiderio che fu potente a temperare in lui quell'eccessivo amore di sè che l'istinto mette nell'uomo, e a mettergli innanzi come indeclinabile la legge sublime del sagrifizio.

      Non avendo dapprima in che trasfondere quell'esuberanza d'affetto che lo agitava, ributtato dai vani splendori e dalle pingui prosperità, s'egli mai girasse l'occhio per cercare qualcheduno del mondo a cui affidarsi, sempre, per una tendenza invincibile, lo posava dove la sventura avesse infranta o spostata qualche esistenza, dove l'umana dignità fosse stata con eccessivo rigore umiliata, dove l'ingiustizia avesse scagliata la sua sentenza inesorabile. L'amore istesso ch'egli naturalmente portava alla giovane sua madre, gli s'accrebbe a mille doppi quando la seppe così infelice, quando s'accorse ch'ella aveva bisogno che taluno la difendesse contro agli sdegni dei vecchio marito, contro il rancore degli altri figli non suoi.

      L'uomo d'ingegno e di cuore sente assai più bisogni in sè, che non il volgo degli uomini; egli s'accorge che nell'esistenza v'ha più d'una sfera d'azione: la famiglia, la vita privata, la pubblica, e che per essere completo, un uomo deve appunto versare in tutte coteste relazioni. Il cuore del giovane Palavicino aveva trovato assai in quella dolce sua madre: il pensiero di lei poteva occupare fortemente gran parte della sua vita; ma tanto non gli bastava. A quella figura dignitosa, venerabile, cui egli doveva inchinarsi come a maggiore, desiderò venisse compagna un'altra figura affettuosa e venerabile del pari, ma più giovane, e a cui egli potesse unirsi come ad eguale. Però le virtù stesse di sua madre avendogli come data la misura per giudicare ogni cuore di fanciulla a cui per caso s'accostasse, è facile a credere come l'affetto suo avesse dovuto lasciar trascorrere gran tempo prima di posarsi in qualcheduna; d'altra parte egli sentiva anche qui il bisogno di asciugare qualche lagrima, di confortare qualche esistenza. Su tutti que' volti giovani, freschi, rosati, levigati, egli non aveva mai scorto un segno che attestasse qualche spina secreta. Non aveva trovato che giocondità ed innocenza infantile, ed egli voleva qualche cosa di più, che finalmente gli fu concesso di trovare. Venne il giorno in cui, passatagli innanzi, quasi un'apparizione repentina, una gentile e mesta creatura, provò i soprassalti improvvisi di una gioia presaga, e senz' altro attendere, l'aggruppò alla soave figura della propria madre. Ma a rendersi più accetto a quella nuova sua donna, a mostrarsele più degno, bisognava che l'esistenza sua si gettasse nella vasta faccenda della vita pubblica, si scegliesse un motivo d'azione, un assunto grande e generoso.

      Le prime sue lagrime erano state versate sulla sventura di due creature giovani come lui, deboli come lui, rimasti orfani d'un padre percosso da una eccessiva giustizia.

      Quei due fanciulli, in quegli anni che stette fuori, li aveva conosciuti adulti, alla Corte di Massimiliano d'Austria dove, esuli, avevano riparato; li aveva riveduti quando su quelle giovani teste pesava l'ira di un'intera nazione potente e armata a loro danno. Col più giovane dei due fratelli specialmente, essendone mediatrice l'eguaglianza dell'età e la simpatia straordinaria dell'ingegno e del cuore, aveva stretta un'amicizia calda e tenace. Allora il suo impiego, gli obblighi suoi, il suo fine come uomo che ha a vivere al cospetto d'un'intera nazione, come buon cittadino gli venne subito innanzi, e non esitò ad accettarlo, a sceglierlo anzi con un ardore potente al pari di una passione. Da quell'ora l'azione dell'intera sua esistenza fu determinata; aveva una madre da venerare, una donna d'amare, una patria, una causa, una dinastia a cui sagrificarsi. Da quel punto non fu più irresoluto, la via gli era aperta innanzi, non guardò se fosse ingombra e difficile, e i suoi passi si accelerarono.

      Ora che codesto giovane fu presentato sotto il punto di vista il più favorevole, non vogliam già dire che sempre ei si rivelasse altrui da questo unico lato; vogliam dire soltanto che da questo lato mostravasi altrui il più delle volte. Del resto troppi requisiti gli mancavano ancora per ottenere un buon ingresso nel calendario de' santi, e v'eran momenti anzi ne' quali correva pericolo di non parer più riconoscibile; come avviene delle linee semplici ed eleganti d'una bella faccia che, scontorcendosi, si tramutano sotto gl'impeti dell'ira, così avveniva di lui se per avventura versasse in circostanze straordinarie, o la passione di soverchio lo agitasse. Soleva allora darsi il caso ch'ei rivelasse debolezze e difetti che uomini di gran lunga men virtuosi di lui chiamerebbero incomportabili. Però potrebbe forse avvenire che codest'uomo sfuggisse talora ad un'esatta analisi. Ma chi è vago di caratteri eternamente costanti e invariabili, rifrughi la tragedia classica, e chi si piace di profili immobili, contempli le teste effigiate sui cammei e sulle monete.

      Intanto, percorrendo la via sotterranea, il duca ed il seguito ebbero attraversata tutta la città. Due uomini furono espressamente spediti innanzi ad avvisare il castellano che giungeva l'eccellentissimo duca, e quando questi arrivò al piede dell'altra scala che metteva nel castello, trovò qui gentiluomini e soldati che lo stavano aspettando. Mise il piede finalmente sul selciato del castello, e in mezzo a due stipatissime file di soldati attraversò il gran cortile e salì nelle stanze ducali.

      Batteva l'ora di notte all'orologio della torretta, e in quel momento dai quattro lati del castello si udirono i suoni delle trombe che chiamavano a raccolta. E in ogni parte del castello, nel cortile, sotto gli atrii, sotto gli androni, sugli spalti che guardavano la gran fossa, alle feritoie, ai merli era un tumulto, un frastuono, un brulichio d'armati incessante, e in quell'ora quel vasto ricinto rendeva l'immagine come di un grande alveare nel quale confusamente s'agitassero ronzando migliaia e migliaia di armati. Siccome non avevasi a passare che una sola notte colà, tutti gli Svizzeri che si trovavano in Milano sotto gli ordini del Sion, tutte le labarde tedesche le quali costituivano la guardia dei duca, tutti i soldati di ventura stranieri, e quanti vestivan armi in Milano, vi stavan raccolti insieme per esser pronti alla prim'alba del prossimo dì. Nè faccia maraviglia che si potesse dar luogo a tante migliaia di soldati. Quantunque il castello a quel tempo non avesse quella gran cinta di casamenti che lo chiude in mezzo oggidì, avea le fortificazioni che si estendevano per gran tratto all'intorno, e dalla parte poi che spetta a settentrione arrivava coi vasti broli chiusi da cinte fortificate, sin dove oggi si estende il borgo vicino; però su questo gran tratto di terreno, zeppi che furono i luoghi chiusi e coperti, i soldati come meglio poterono s'acconciarono a dormirvi a ciel sereno, buttati a disagio sul nudo terreno.

      Il Palavicino intanto e Francesco Sforza, dopo avere accompagnato il duca nelle sue stanze, subito erano stati licenziati.

      —Giacchè ci rimane qualche tempo, disse il marchese nell'uscire collo Sforza, andrei un tratto nella camera dell'ammenda alla torre, chè vorrei vedere dappresso costoro, che senza conoscermi, si volevano la mia vita. Così interrogandoli io stesso, tenterei scovar fuori qualche cosa di più.

      —Son già condannati nel capo, nè c'è altro a cavarne. Quel che han confessato è ben chiaro.

      —So per altro che, tra l'altre circostanze, han deposto che il caporale che li ha pagati era una volta agli stipendi del Lautrec. Questo sarebbe un filo per conoscere se il colpo venga propriamente da costui.

      —Potrebb'esserlo.

      —Ben è vero che anche senza prove io credo al tutto che sia così la cosa, nè, altrimenti, saprei come acconciare i fatti tra loro.

      —Il Morone è del medesimo avviso tuo. Ma lui sa


Скачать книгу