Racconti. Francesco Dall'Ongaro
si dilegui al più presto dalla vostra mente: già non potrebbe che darvi noia. Andate, signore, e dite a' miei nobili fratelli ch'io sono felice! — Un accento d'amara ironia trapelava da queste parole ch'ella declinò l'una dopo l'altra senza alcuna emozione e senza rivolger lo sguardo dallo specchio che le stava dinanzi. Tutt'ad un tratto parve colpita da alcun che di strano e d'inaspettato. Il suo volto, naturalmente pallido, allibì più che mai; stette immobile riguardando lo specchio, come quella piastra esercitasse sopra il suo spirito un orribile fascino. Ella vedeva sorgere sopra il suo il viso candido ed amoroso di Bianca: vide i suoi begli occhi inturgidirsi e circondarsi d'un dilicato rossore: una lagrima invano repressa velò la nera pupilla, e rigò quelle guance come una stilla di rugiada sopra il candido marmo d'una statua. Bianca non pensò a nasconderla nè ad asciugarla. Forse non sapeva nè pure di spargerla, certo non s'accorse che altri stava guardandola, e nel suo cuore gliene faceva un delitto mortale. Aica non alitava dinanzi allo specchio rivelatore: ella voleva saperne di più, e seppe infatti più che non avrebbe voluto.
»Il conte aveva esitato se dovesse rispondere all'acre rimprovero della moglie; poi con un gesto della mano che dimostrava il suo risentimento, s'era incamminato verso la porta. Sul punto di oltrepassare la soglia, s'era rivolto verso le due donne. Aica non fece motto; ma gli sguardi lagrimosi di Bianca si scontrarono con quelli del conte: un lampo d'amorosa intelligenza li unì. Fu un lampo: che il conte era già sparito, e l'orfanella avea ripreso il lavoro per un momento interrotto. Fu un lampo, ma bastò a illuminare di sinistra luce tutto un passato, foriero della folgore che ne scoppiò. Partito il conte, Aica mandò fuori con un forte sospiro l'alito lungamente trattenuto; le sue guance, che s'erano fatte a grado a grado violette, ritornarono livide; s'alzò ritta rovesciando la pettiniera; fissò con occhio di vipera la giovanetta che non poteva indovinare l'origine di quell'ira, ma pure ne fu sgomenta per un secreto terrore che l'investì. Dopo alcuni momenti di silenzio terribile, la contessa ruppe in questa domanda: — Tu piangi? Perchè quelle lagrime? Rispondi, sciagurata, o questo è l'ultimo istante della tua vita. —
»Bianca si sentì soffocare da un sentimento fino allora a lei sconosciuto. Era paura, rimorso, indignazione? Non è facile a dirsi. Forse erano tutte e tre queste cose ad un tratto. Ella chinò il capo come il colpevole colto in fallo.
»— Dimmi tutto, o sei morta, — replicò la contessa. La povera giovane si lasciò cadere sulle ginocchia quasi svenuta. Aica l'afferrò per un braccio e la strascinò semiviva nella camera attigua ch'era, come sapete, la sua. Vi si chiuse con essa, e dopo una lunga ora n'uscì, chiudendola a chiave. Il suo volto era raggiante d'una gioia feroce. Ella avea saputo ciò che temeva, e pur desiderava d'intendere.
Ripassando dinanzi allo specchio, tornò ad affacciarvisi, come per un istinto, non saprei dire se di gratitudine o di terrore. Abbrancò colle mani le chiome scomposte, e le torse intorno alla testa come per dissimularne il disordine. Ma il suo viso aveva un'espressione così sinistra, che ne parve ella medesima inorridita. Ripassando la palma della mano sopra i capegli inegualmente spartiti, e asciugando il sudor freddo che le bagnava la fronte livida e corrugata, — S'amavano, s'amavano, mormorava la contessa fra' denti. Egli l'amava!....
»Si fermò come ascoltando il suono di questa parola; poi, tutto ad un tratto, mise alla bocca un fischietto, e ne trasse un sibilo acuto. Accorse un vecchio maggiordomo, e si fermò sulla porta in aspettazione del suo comando.
»— È partito il conte? — gli domandò la contessa.
»— Partito, Eccellenza: ma non può essere che all'ultima porta.
»— Richiamatelo... no... non monta. Andate. — Affacciandosi al veroncello, ella vide difatti calarsi la saracinesca dell'ultima torre alle spalle del conte Tolberto. Alla testa di cento cavalieri egli seguiva il tortuoso sentiero che mette alla valle. A poco a poco scomparve fra il folto degli alberi, e più non apparivano che a tratto a tratto gli ondeggianti cimieri e gli elmi lucenti, come l'acqua del vicino torrente percossa dal sole. Si staccò dalla finestra, ritornò dinanzi allo specchio, e mormorò di nuovo: Si amavano! In questa parola e nell'accento con cui veniva da lei proferita, più che l'amarezza d'un amore tradito, si sarebbe sentita l'onta dell'offeso orgoglio e la gioia atroce della vendetta. Infatti essa non amava Tolberto, e poco importavale che egli conservasse ad altri un amore che non sapeva apprezzare; ma l'idea che un'orfana oscura e plebea, una persona vile, di cui faceva assai meno conto che del proprio falcone, avesse osato alzare pur il pensiero ad occupare il posto che s'aspettava a lei per diritto di nascita e per patto nuziale, quest'idea le era insopportabile, e non potendo distruggerla in altra forma, pensò di annientar la persona a cui si legava. Bianca era morta nel suo pensiero, nè le restava a determinare che il modo di spegnerla.
»Povera Bianca! forse ella non era colpevole che di un moto inavvertito del proprio cuore. Nata nel castello, come vi dissi, o raccoltavi fin da' primi anni, non avea conosciuto altri oggetti degni di riverenza e d'amore che i suoi padroni. Il conte Tolberto l'avea veduta crescere sotto i suoi occhi in età, in bellezza ed in senno. L'avea spesse volte tenuta sulle ginocchia, palleggiata sulle robuste braccia, accarezzato colle mani avvezze alla lancia i neri e lunghi capelli dell'orfanella; ma tutto questo, come avrebbe fatto ad un bello e prediletto levriere, al generoso destriere che solea cavalcare ne' torneamenti. I suoi principii erano assai diversi da quelli de' suoi coetanei; le sue abitudini, mansuete ma non molli, lo portavano a qualche cosa di più virile che non sarebbe stato un amoretto con una povera fanciulla che risguardava come sorella, e avrebbe difesa contro chiunque avesse osato oltraggiarla. L'orfanella dal canto suo, giovanetta ancora di sedici anni, non avrebbe saputo nutrir pel suo signore altro sentimento che una specie di culto, un rispetto misto d'infantil tenerezza, come di figlia. Solamente quando Tolberto menò a moglie la Caminese, sentì quel sentimento farsi più profondo e più malinconico. Forse confessò a se medesima un affetto, che non avrebbe confidato nè pure all'aria, e men che a tutti, a colui che, senza saperlo, n'era l'oggetto. Gli aspri costumi della sua signora le avean fatto pensare alcuna volta all'ingiustizia della fortuna. Ne' suoi sogni verginali avrà detto talora: Oh! s'io fossi in lei, di quanto amore vorrei circondare un cavaliere così buono e così compìto! E ricadeva, così pensando, in una cupa tristezza, finchè il cenno dell'astiosa signora la scuoteva dal suo vaneggiamento, per ricondurla alla trista realtà della vita. I duri trattamenti che sosteneva, le parevano alcuna volta una giusta espiazione del torto che involontariamente le recava pur nel pensiero; e poi l'amore infinito che l'anima sua sentiva per il conte, si tramutava in una specie di riverenza per tutte le persone, per tutte le cose che appartenevano a lui. Quindi Aica medesima le era, se non cara, almeno rispettabile, e si sarebbe guardata dal torcerle pur un capello, come se il conte dovesse risentirne il dolore. Povera Bianca! allevata come figlia dalla vecchia contessa, ella aveva educato il cuore a sentimenti così squisiti, di cui nessuno avrebbe in lei sognato nè pur l'esistenza: il suo cuore, nello svolgersi de' suoi sentimenti, l'aveva innalzata tant'alto, che, mancando d'un legittimo scopo, doveva di necessità trovare il suo giornaliero martirio nella sua stessa virtù. Forse il conte l'aveva indovinata, e forse no: Aica non l'avrebbe potuto senza la sua confessione. Ed ecco ciò che la povera Bianca avea confessato: avea confessato d'amare il proprio signore; che quella lagrima, era una lagrima che la partenza di lui le avea strappato dal cuore; e non disse, e forse nol sapeva, come più che d'amore, era una lagrima d'indignazione per le villane parole con cui la superba sposa avea risposto alla officiosa cortesia del marito! Ma questo era bastato ad Aica: da questi indizi leggeri e incolpabili ella avea fabbricato nella sua mente la colpa. Finse a se stessa un amore che non avea per Tolberto, pure per rendere più legittima la punizione che serbava ad entrambi.
»Voi sapete in qual modo l'orribile donna si vendicasse. La giovinetta disparve agli occhi di tutti quel giorno medesimo. Nessuno ne parlò. Il conte, ritornato al castello dopo due mesi, seppe ch'ella era morta, e non chiese più là.
»Dopo due secoli, ristaurando la camera della torre contigua all'appartamento, si trovò murato nella parete lo scheletro d'una fanciulla.»
III.
Terminata questa tetra istoria, narrata dall'ospite mia, con meno pretensione drammatica ma