Racconti. Francesco Dall'Ongaro

Racconti - Francesco Dall'Ongaro


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letto, svanì col circolo raggiante dov'era scritto a lettere giallastre e fosforescenti. Non so quanti RAMBALDI e TOLBERTI lo seguitassero al modo stesso, finchè in una sfera di color rosato e cilestro, a lettere cangianti come l'opala, vidi apparirmi il nome di

      GEMMA.

      E poi una serie d'altri nomi che m'uscirono dalla mente, finchè in una ruota purpurea e come rabescata, lessi, il nome di

      COLLALTINO.

      Ma già il bruno campo nel quale agitavansi questi lucidi globi, si faceva ad ora ad ora più grigio, ed essi globi succedevano d'una tinta più languida e men distinta. A mano a mano che si confondevano nelle tinte del campo, anche le immagini della mia fantasia venivano perdendo d'intensità e di chiarezza. Vi fu un momento ch'io stetti come dimentico e inconscio di me medesimo: io passava evidentemente dal campo de' sogni a quello della realtà. Apersi gli occhi e m'avvidi che la luce del giorno avea già attenuato l'oscurità della stanza; balzai dal letto come trasecolato dalle visioni avute, delle quali ricordavo ancora e rannodavo alla meglio questi dispersi frammenti. Spinsi l'imposta quasi per finir di svegliarmi, e mi si aperse allo sguardo una scena che nessun pennello oserebbe dipingere.

      Era una immensa pianura, la pianura della Marca Trivigiana, alla quale era termine l'Adriatico. Una tenue nebbiuzza la copriva a fior di terra, ammollendo i contorni delle piante sorgenti dal suolo, le quali apparivano come piccole macchie, anzi pur come punti dispersi nella vastità dello spazio soggetto. La Piave dappresso, più lontano il Sile, come un nastro d'argento volgeva i suoi lucidi meandri tra i regolari comparti dei seminati. Un rombo infinito, indistinto mi giungeva all'orecchio, e partiva dalle mille campane che dagli sparsi villaggi inneggiavano al sole nascente. Era la prima domenica di agosto. Sublime spettacolo! Questo suono era come la vita che animava la scena: come la voce della moltitudine, che da quelle mille villette destavasi a un'ora medesima, commossa da un sentimento comune.

      Non ci voleva meno di questa scena così naturale, e pure così grandiosa e poetica, per tormi all'influenza de' sogni; poichè io sono così fatto, che basta un sogno talora a colorire d'una tinta conforme tutti i pensieri della giornata. Mi vestii frettoloso, e non senza fatica per quell'intricato labirinto di camere, trovai la via di uscir dal castello e recarmi alla casa dell'ospite mio.

       Indice

      Un'ora dopo un leggero calesse ci traeva entrambi all'antico castello dei conti. Parmi aver già detto, o lettori, come San Salvatore non era nè la sola nè la più antica sede della illustre famiglia. A sei miglia circa da questo castello ne sorge un altro, edificato forse verso il decimo secolo, men comodo ad abitarsi, ma pur magnifico per quel tempo e ragguardevole per la sua costruzione. La tragica morte di Bianca era seguìta in quest'ultimo, ed è naturale ch'io volessi vedere cogli occhi propri e toccare con mano quel poco che ancor rimaneva a testimonio del fatto. Il Franceschi non esitò ad appagarmi, e mi si offerì per compagno, benchè non era cosa lieve per lui l'affrontare l'afa d'una giornata d'agosto. Ma c'entrava di mezzo l'amicizia, l'archeologia e l'interesse che aveva per tutto ciò che riguardava i Collalto, onde si sarebbe gittato nel fuoco, non che altro, per non mancare, com'ei diceva, all'obbligo suo.

      La via che percorrevamo è tra le più amene e poetiche che si possano immaginare. Da un lato la pianura verde coltivata, irrigata, sparsa di case, popolata di gente che accorreva, vestita a festa, a' rispettivi villaggi. Dall'altro la collina molle, cespugliosa, vitifera; più lungi le montagne azzurre, ombrate ancora dalla lieve nebbia del mattino. La strada or saliva dolcemente, or scendeva con facil declivio, fiancheggiata a destra da spinose ed eleganti robinie, a sinistra da qualche pioppo cipressino interrotte da folti e vellutati avellani. La verzura dell'Asia e quella dell'Italia spandevano le loro braccia e intrecciavano le loro ombre tremolanti sul nostro capo. Ma già la scena cambiava: ai terreni seminati da molto succedevano le terre ghiaiose, desolate dalle più recenti alluvioni del vorticoso Anasso, come lo chiama il Carrer; e quelle sono le antiche roveri del Montello che ricorrono sì spesso nelle sue lettere della Stampa. Vedi come il bosco seconda il sorgere e l'avvallar del terreno!

      Già noi lasciamo il piano, per rivolgerci al monte. Ecco apparire da lunge le merlate sommità di Collalto: questo, un tempo, era un romitaggio abitato non so da qual ordine di claustrali; ora non è che un maniere, come un tempo dicevano; una casa attenente al castello, ed abitata dal custode di quello. Non vi so dire che effetto mi facessero que' corridoi, serbanti ancora le traccie dell'antica destinazione, ed ora volti ad altr'uso. Certo è che il luogo è posto sul pendìo del colle con sì felice accorgimento, che doveva essere un'amenità l'abitarvi. Forse il Bembo ed il Casa, che ne parlano ne' loro scritti, vi avranno attinta quella grave e dolce malinconia che alcune volte riscalda i lor versi, e li rende sì amabili. Di qui si domina oltre al torrente la Badia di Narvesa, appartenente anch'essa ai Collalto, e più lungi verso ponente, fra le mille sinuosità de' monti, vedi biancheggiare le colonne del tempio onde il Canova consecrò il povero villaggio dov'ebbe la culla.

      Perdonate s'io non posso percorrere questi luoghi senza comunicarvi le grate impressioni che mi lasciarono. Ecco Collalto. Anche qui più d'una torre ne proteggeva l'ingresso. Peccato che l'istinto livellatore del secolo, il quale s'appiglia anche ai più lontani dal centro, abbia anche qui portati i suoi guasti: anche qui una scorciatoia, un rettilineo ha costato la vita a qualche massiccia costruzione monumentale. I mangiatori di pietre sono penetrati fin qui. Ma il corpo principale dell'antico castello rimane pur sempre: ecco il torrione, men gigantesco, meno elegante dell'altro che vi descrissi, ma più originale, più medio-evico. Una scala esterna mette al primo piano dell'edificio, il quale, benchè serbi qua e là le traccie del tempo in cui sorse, fu però rinnovato e ristaurato più volte. Passammo guidati da una vecchierella cortese per una lunga fila di camere, dove la varia tappezzeria accennava alle varie età e ai vari gusti dei signori che v'abitarono. Tutto però sembra abbandonato da molto, e infatti i Collalto preferiscono il castello di San Salvatore o le loro signorie nella Moravia.

      Tuttociò non m'importava gran fatto; io era impaziente di vedere la stanza della povera Bianca, e non altro. Quando fummo sul limitare di quella, la buona vecchierella quasi involontariamente diede indietro segnandosi: cosicchè v'entrai solo in compagnia del Franceschi.

      I cronisti della Marca, e quelli che più specialmente si occuparono della famiglia Collalto, non ne fanno, ch'io sappia, menzione: ma la voce del popolo è lì per supplire alla storia, la voce del popolo che procede di padre in figlio, e può susurrare all'orecchio nei colloqui confidenziali i fatti pericolosi a narrarsi dagli scrittori o parziali, o timidi, o mercenari. Potessimo interrogar questa voce nei luoghi ove non è affatto spenta, molti avvenimenti, già consegnati alle storie, si vedrebbero mutar faccia, e apparirebbero le picciole cause che minarono sordamente la base delle umane sommità. Ma codesto non si può fare nel proprio gabinetto: bisogna recarsi sul luogo, mescolarsi col volgo, meritar la confidenza dell'umile donnicciuola.


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