Racconti politici. Ghislanzoni Antonio
non ti ho mai detto le orribili angoscie del mio passato... Combattere per l'indipendenza della patria... è dovere di tutti, e la gioventù italiana ha mostrato di comprenderlo... Ma io!... Non è solamente all'Italia che devo il mio braccio — per me vi è ancora un altro dovere... quello di riabilitare la mia famiglia... Sì, Enrichetta!... Mio padre mi accusa di poca tenerezza per lui... mi chiama ingrato!... Egli non capisce che io non potrei dargli maggior prova di affetto che questa di ribellarmi alla sua volontà... Il giorno in cui mio padre potrà dire: io aveva un unico figlio, e questi è andato ad esporre la vita sul campo di battaglia — allora cesseranno i sospetti... Io tornerò dal campo colla fronte rialzata, io prenderò per mano questo vecchio quale egli sia, e la gente, vedendolo passare, non dirà più certe brutte parole... La gente dovrà dire: è il padre di uno che ha esposto la sua vita nella campagna 1866... a fianco di Garibaldi!
Con questo sfogo, Edoardo aveva rivelato alla sua fidanzata il segreto di quei dolori che davano al di lui carattere una impronta severa e qualche volta cupa all'età di ventun'anni.
In quel punto, la voce del signor De Mauro uscì più spiccata dal vano della finestra:
— Si sono dunque perduti quei ragazzi? Eppure, voi vedete, marchese, che il labirinto non è vasto!
— Siamo chiamati! disse Enrichetta.
— Prima di tornare lassù, io vorrei domandarti...
— Indovino il tuo pensiero, Edoardo. Tu non hai coraggio di dire a tuo padre...
— Non è che il coraggio mi manchi, rispose il giovane. Ma se l'opposizione partisse da te, se tu dicessi apertamente che non acconsentiresti a sposarmi se non a patto che io abbia prima adempiuto ai miei doveri di buon cittadino — allora non vi sarebbero più repliche... e mio padre sarebbe costretto a transigere...
— Vieni, Edoardo! — interruppe la Enrichetta — andiamo!... accetto con orgoglio la missione che mi hai affidata... Vedrai che io saprò parlare come si deve.
I due giovani si strinsero la mano e si baciarono — quindi, annodati delle braccia, uscirono dal boschetto, e a passo spedito si diressero verso il palazzo. — Nei loro volti si rifletteva la gioia e l'entusiasmo dei loro cuori.
XII.
Il signor De Mauro, vedendoli rientrare nel salotto, prese buon augurio da quella gioia. — E volgendosi alla figlia del marchese:
— Mi pare, le disse, che le cose si mettano bene. Eravate usciti col portamento impacciato di due collegiali, ed ora tornate a noi colla spigliatezza di due amanti. A maraviglia! Dal canto nostro non si è perduto il tempo — col signor marchese è molto facile l'intendersi... e oramai si può dire: affare finito!
Il marchese Contareno, rilevandosi della persona, e assumendo il fare grandioso dei suoi illustri bisavoli, diresse la parola ad Edoardo:
— L'onorevole signor De Mauro qui presente... vostro padre e mio eccellentissimo amico...
— Lasciamo da parte le grandi formule — interruppe il signor De Mauro — non vedete, marchese, non capite dai loro volti ch'essi sanno già tutto?... Non è vero, adorabile signorina, che il cerimoniale è divenuto superfluo?... Ad ogni modo, tanto che anch'io possa udire uno di quei sì deliziosi che, poco fa, avrete proferiti in giardino più di una volta, permettete che io vi domandi se è proprio vero che siate contenta di sposare questo scapato... questa testa balzana di mio figlio... Un cuore eccellente... vedete — ma un cervello... Basta! La signora Enrichetta penserà lei a fargli mettere giudizio.
Il signor De Mauro parlava scherzosamente alla giovane Contareno; ma questa aveva già ripresa quella calma solenne che era l'espressione più naturale del di lei volto.
— Il signor Edoardo — disse ella coll'accento più fermo — conosce i miei sentimenti a di lui riguardo, come anche le mie intenzioni. I nostri cuori sono già fidanzati da parecchi mesi: noi siamo vincolati da promesse reciproche, alle quali nè egli nè io potremmo venir meno. Ma il nostro matrimonio non può effettuarsi in questo momento... Il signor Edoardo lo sa... ed io ne vado orgogliosa... Quanto a me, non potrei stimare un uomo che si rifugiasse nelle dolcezze dell'amore al momento in cui tutti i giovani italiani vanno a sfidare la morte per l'indipendenza e la libertà del loro paese. Un tal uomo non potrebbe mai divenire lo sposo di Enrichetta Contareno.
Il signor De Mauro rimase fulminato. Egli comprendeva che in quel fiero carattere di fanciulla i propositi dovevano essere tenaci come le convinzioni. Si volse al marchese, sperando che questi lo togliesse di imbarazzo: ma il vecchio Contareno guardava sua figlia cogli occhi ebeti e lacrimosi, e a stento poteva respirare. Aveva mangiato per quattro, e la lunga conversazione tenuta poco prima col signor De Mauro gli aveva prostrate le fibre.
Impossibile descrivere le attitudini diverse di quei quattro personaggi. A sciogliere di qualche modo gli imbarazzi della situazione, sopravvenne la signora Serafina.
— Ebbene? tutto è conchiuso... non è vero? — domandò bonariamente quella ottima donna entrando nella sala.
— Sì, tutto è conchiuso — rispose il signor De Mauro dissimulando per quanto gli era possibile il suo cattivo umore — ma la signorina, a quanto pare, non ha molta fretta — a noi dunque non rimane che attendere i di lei ordini... o quelli dell'eccellentissimo signor marchese...
— Sicuro!... A domani!... Per oggi basta!... — disse il Contareno levandosi in piedi come uomo che si svegli dal letargo... L'ora è già tarda... non sarebbe tempo di andarcene, Enrichetta?
La fanciulla stese la mano al signor De Mauro che la strinse di mala voglia.
— Spero che non mi serberete rancore — in ogni modo, dopo la guerra, noi ripiglieremo le nostre buone relazioni!
Ciò detto, la fanciulla pose il suo braccio in quello di Edoardo — e i due giovani uscirono insieme dalla sala, seguiti dal marchese che non cessava di ripetere macchinalmente: affare concluso! affare finito!
XIII.
Due giorni sono trascorsi. Una immensa folla di popolo sta adunata dinanzi alla stazione della ferrovia.
Un giovane abbigliato di rosso si ferma presso gli sportelli di una antica carrozza — i cristalli si abbassano — una mano lunga e sottile viene ad incontrare quella del giovane — il tumulto della piazza affollata copre il susurro di quell'addio misterioso e sublime.
Chi bada agli episodii laddove c'è un popolo intero che si abbraccia nei santi fremiti dell'amore e della patria? Volgete intorno lo sguardo — e dappertutto vedrete delle eroiche madri, delle spose gagliarde, che si separano senza piangere dai figli e dai mariti! — Dove fiammeggia una camicia rossa, quivi si aggruppano dei cuori di amanti e di sorelle, quivi la canizie dei padri rifulge di nobile orgoglio e le rughe dei volti materni sembrano irradiarsi di giovinezza.
Il segnale che richiama i viaggiatori al convoglio è suonato. Edoardo si stacca dalla carrozza stemmata, e slanciandosi nelle braccia di una donna che sta in un lato a rimirarlo con occhio di invidia — mia buona madre! — esclama — l'ultimo bacio è per te... perdonami ciò che mio padre ti fa soffrire per cagion mia!
— Oh, nulla!... Che la mia benedizione ti accompagni!
E poichè gli occhi di quella madre aveano lasciato scorrere una lacrima — Edoardo la asciugò con un bacio — e s'immerse nella folla per entrare nella stazione.
Dopo alcuni minuti, al fischio della locomotiva rispose dalla piazza e dai portici un urlo di acclamazioni. Le donne agitavano i fazzoletti... i fanciulli battevano le mani — i vecchi si drizzavano sulla persona coll'impeto dei loro venti anni.
Frattanto il convoglio si involava, lasciando indietro un'onda di canti.
Il torrente della folla si riversava nella città. — Tutte le parole suonavano ammirazione ed entusiasmo.
Due uomini in sulla età si incontrarono a poca distanza dal sottopassaggio.
L'un