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Mio Dio!... Avrei parlato prima d'ora... ed anzi... da circa tre mesi non si è fatto che esplorare l'occasione favorevole... Ma tu... in questi tre mesi ne hai combinati tanti dei matrimonii pel nostro Edoardo! Non saranno venti giorni... volevi che egli sposasse la figlia del banchiere Zanna...
— Che possiede una bella e buona dote di ottocento mila franchi alla mano e tre zii milionarii... Ma non era la dote che mi stava a cuore... Io prevedeva il temporale... io capiva di avere a fare con un matto... e volevo, ad ogni buon conto, incatenarlo ad un pezzo di moglie!... Ma tu dici che il ragazzo ha già le sue idee... Sentiamo... Purchè ci stiano le nostre convenienze...
— Si tratterebbe... Tu conosci la figlia del Contareno... quella cara fanciulla...
— Il marchese Contareno!... uno spiantato... tutto boria... tutto fumo...
— Ma la ragazza ha ereditato la dote di sua madre... poca cosa... circa centomila franchi... Il nostro Edoardo è d'altra parte abbastanza ricco... e poi... gli è tanto innamorato di quella figliola...
Il signor De Mauro stette alcuni momenti sopra pensiero, colla testa appoggiata alle mani... Le sue dita si agitavano convulse sulla fronte, come quelle di un suonatore sulla tastiera d'un pianoforte.
Scorsi alcuni istanti, riprese a parlare; ma questa volta a bassa voce, senza badare alla moglie, senza attendere risposta.
— Famiglia di spiantati... ma pure... una nobile famiglia... Questo sarebbe forse un espediente per vincere l'orgoglio e la ritrosia di cert'uni... Tutto sta che quella mummia di marchese non abbia l'aria di farmi una grazia!... Egli n'è ben capace!... Non hanno un baiocco... ma del fumo... del fumo ce n'è da acciecare un battaglione di ussari!... Non vogliono persuadersi che il loro tempo è finito... che oggigiorno... la nobiltà... la vera nobiltà siamo noi, o piuttosto i nostri sacchi di marenghi. — Sentimi, Serafina...
E a questo punto il signor De Mauro rinforzò la voce, dirigendo la parola a sua moglie:
— Credi tu che anche lei... la ragazza... la figlia di questo marchese... sarebbe disposta?...
— Innamorata pazza del nostro Edoardo! — rispose la signora De Mauro coll'accento dell'orgoglio e della gioia.
— Se la è così — disse il De Mauro levandosi in piedi — affare concluso!... Domani si va dal marchese — gli si fanno le proposte — si stabilisce che il matrimonio abbia a concludersi entro quindici o venti giorni... si induce la ragazza... Oh! lasciamo fare a lei... Se Edoardo è innamorato, come tu mi dicevi, si lascerà facilmente persuadere... e addio Garibaldi, addio volontari, addio patria... e chi è minchione vada a farsi ammazzare!...
— Ma zitto, Lorenzo!... Non posso sentire queste parole! — disse la signora, facendosi bianca nel volto.
— Che? che?... Sta a vedere che anche tu mi diventi repubblicana come il tuo Edoardo! La patria!... Sicuro: nessuno potrà dire che io non abbia sempre amato e non ami la patria... Ma questa non è una ragione perchè mandi mio figlio a farsi ammazzare dai croati! — Nostro figlio deve goderla la patria — a chi servirebbe questa Italia una e indipendente, se non fosse ai nostri figli, a quelli che la erediteranno da noi?
Così parlando, il signor De Mauro uscì dal salotto col volto radiante. Egli non era mai tanto felice come quando poteva sgomentare un poco la sua docile e ingenua compagna con ciò che egli chiamava le sue spiritosità politiche.
VIII.
All'indomani, verso le undici del mattino, il signor De Mauro salì nella sua carrozza di gala, e si fece condurre in via dei B... alla porta dell'antico palazzo dei Contareno.
Il marchese era un uomo sui sessant'anni — un patrizio dell'antico stampo, alquanto modificato dai due rivolgimenti politici del 1848 e del 1859, ma pure, in fondo all'anima, devoto ai principi assoluti di un'altra epoca. Non parteggiava per l'Austria, ma era avverso alla costituzione del nuovo regno. Egli vagheggiava un'Italia una, salvo il rispetto alle provincie appartenenti per diritto al Sommo pontefice; una Italia indipendente, ma governata col più severo despotismo. Ordine e religione: queste due parole formulavano tutto il suo programma politico.
A quarant'anni era rimasto vedovo con una figlia, e i maligni pretendono ch'egli sciupasse le sue sostanze nel patrocinare una allieva del maestro Blasis, che forse avrebbe consentito di rinunziare alle danze e di prenderselo per marito, s'egli, fortunatamente, non si fosse lasciato spiumare in anticipazione fino all'ultima penna.
Questa circostanza lo salvò da' peggiori disastri — da una moglie ballerina, la quale non aveva le migliori disposizioni per rassegnarsi alla vita inerte al fianco di un vecchio rovinato.
Il marchese Contareno, — convien rendergli giustizia — dopo quell'ultimo disinganno di amore concentrò tutte le sue affezioni nel cuore di sua figlia. Dal 1859 in appresso, la sua vita fu una passeggiata al mattino, una tazza di semata al Caffè Cova, ed il resto del giorno in casa, a dir male del governo e della licenza pubblica col suo vecchio domestico e colla sua Enrichetta.
Diremo noi che la figlia del marchese Contareno, è una delle più avvenenti fanciulle, una stella nascente del patriziato milanese? — In un romanzo, ciò sarebbe obbligatorio — ma noi, sventuratamente, dobbiamo attenerci alla realtà. Enrichetta è una buona figliola, dalla statura alta, dalla fronte spaziosa e severa, dallo sguardo profondo — è una bellezza simmetrica, dai contorni incensurabili, dai lineamenti perfetti — ma pure non è di quei tipi di fanciulla che hanno il fascino della seduzione. Le sue labbra, squisitamente delineate, non si schiudono che a brevi sorrisi — i suoi occhi non brillano di quella luce carezzante che rivela le anime espansive, esuberanti di giovinezza e di passione.
I baci di una madre non ammorbidirono quei lineamenti; le carezze di una mano di donna mancarono a quella infanzia vissuta nelle solitudini di un palazzo in rovina. Enrichetta si era educata da sè — un vecchio maestro di danza le aveva insegnato gli atteggiamenti e le pose della gran società — uno zio prete i rudimenti della grammatica italiana e un po' di francese — ma ella, profittando liberamente di una vecchia biblioteca, dove suo padre lasciava ammuffire migliaia di volumi, aveva assorbita una erudizione superiore alla sua età ed al suo sesso. A sedici anni ella aveva letto Plutarco e la Nuova Eloisa, i saggi di Montaigne e il Don Giovanni di Byron, la Storia di Tito Livio e il Cavaliere di Faublas. E nondimeno quell'anima non si era corrotta. Ella aveva respirato nei libri la filosofia e la lascivia, l'eroismo della storia e le enfatiche passioni del romanzo, ma il suo nobile carattere si era sempre elevato. A vent'anni ella non aveva ancora amato — il suo cuore patrizio esigeva un eroe, il suo spirito colto e fantastico aveva bisogno di un'alta intelligenza a cui affratellarsi. — Nelle sale del Prefetto e del Sindaco, ella aveva danzato con dei giovani ufficiali sfolgoreggianti di decorazioni, ma nessuno era riuscito a commuoverla. Il di lei sembiante altero, sdegnoso, pareva respingere gli adoratori. Una sera, alla veglia del casino, nessuno le mosse incontro per invitarla alla danza. Era una piccola congiura, una vendetta degli eleganti. Ma in quella sera un giovane le si era fatto dappresso, e si era intrattenuto con lei alcun tempo. Le sue guancie si erano animate di una tinta più rosea, — i suoi occhi mandarono un lampo inusitato — quella statua di fanciulla si rianimò come per effetto di incanto. — Enrichetta aveva trovato il suo ideale — e questo ideale, ch'ella prese ad amare con tutto l'ardore della sua anima vergine, era Edoardo De Mauro.
IX.
— Signor marchese, una visita! — disse il vecchio domestico entrando nel salotto. —
— Una visita!... infatti... avevo sentito fermarsi una carrozza...
— Il signor Lorenzo De... Mauro...
— Il signor Mauro... vorrai dire. Ma cosa può condurre il signor Mauro nel mio palazzo?... Ebbene? Che fai là ritto?... Avanti! fallo entrare... questo signor De Mauro!...
Il servitore uscì per pochi istanti, quindi ricomparve per introdurre il ricco industriale.
Il marchese Contareno si levò in piedi, fece un leggiero