Novelle. Cesare conte Balbo

Novelle - Cesare conte Balbo


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fanciulla, e colle poche sostanze e il molto amore, viversi insieme felici. Baciò approdando dalla nave genovese il dolce suolo d'Italia: palpitavagli il cuore cavalcando ad ogni terra ed ogni luogo ch'egli veniva riconoscendo per via; e come riconobbe i paesi all'intorno di sua città, e i campi testimonii di sua fanciullezza e del suo amore, e poi le torri e le mura, e finalmente le case, e quella dell'amata, poco mancò che non potesse proseguire e cadesse. Pur facendosi cuore, giunse, e precipitò di sella, e montò le scale, e fu nella cameretta delle donne, che diedero un grido, e la fanciulla cadde, e la madre sclamando: «Siete voi dunque? voi già? voi che morto quasi tenemmo? deh perchè a questo modo?» e simili tronche [pg!16] parole, correva alla figliuola e sorreggevala sulle braccia e la soccorrea. Soccorrevala Manfredi, e a poco a poco facevanla riavere; ed ella apriva gli occhi e buttava le braccia al collo a lui, e pendendone dava in un dirottissimo pianto. Piangeva egli, e diceva: «Non quale promettevo già, fo io ritorno; povero, ignoto com'io mi partiva;» e poi miravala, e quasi non la riconoscea, tanto mutata era da quella ch'egli avea lasciata; e meravigliandosi e rimirandola più e più, mise gli occhi al bel collo e non gli venne veduta la croce. Ritraevasi allora alquanto, e ricompiangea sua mala ventura, e mostrava la fascia del proprio sangue invano macchiata, e chiedea della croce, e le donne glie ne dicevano la storia, ora meno che mai intesa da esse; e come, avendola perduta, aveanlo tolto ad augurio quasi certo di morte; e questo era che avea tanto afflitta e martoriata la povera Francesca, che quasi n'era per morire. «Deh non sia ora troppo tardi!» e ricominciava la madre a dolcemente dolersi della sua venuta troppo repentina rispetto alla debolezza della fanciulla; e dicendo la fanciulla di no, e che ella or si riavrebbe, ora tornerebbe quella di prima, ed altre cose simili, finalmente il cavaliero si partì da esse, e fece alla propria casa ritorno. Nè dirovvi come e quanto bene vi fosse accolto dal fedel servo; benchè meravigliato anch'egli del ritorno improvviso del padrone, e men lieto forse che questi non s'aspettava. Nè è cosa poi che tanto accori quanto, tornando in patria, trovar le cose e gli uomini diversi non solo da ciò che s'era lasciato, ma anche da ciò che di quella diversità s'era immaginato. Che se io fossi uno di questi narratori di novelle, che so io, io qui vi ridirei tutte le ciarle del buon vecchio, e le risposte del padrone, e come di una in altra cosa, od anzi da ogni cosa tornando sempre alla medesima, cioè all'amore, ed a Francesca, in ultimo venne a dire, aveva saputo dalla serva che, assente lui, s'era presentato Rambaldo, e l'avea chiesta in isposa, e veramente era stato ributtato, ed egli credeva assolutamente; pur la serva aggiugnea che non era tutto finito, massimamente che Manfredi tenevasi morto, ed elle n'avean preso quasi certo segno la croce, che [pg!17] dicevano sparita; ma egli non ne aveva mai creduto nulla ed aveva pensato che la madre l'avesse forse tolta ella per isviar la fanciulla dall'antico amore, e rivolgerla al nuovo. Della figlia si vedeva dal suo languire la sincerità; tuttavia le donne son sempre donne; pensasse egli bene prima di risolversi; gran carico in povertà donna e fanciulli; e tornava a dire, che prendesse informazioni, badasse bene, e che so io; cose e reticenze, che quasi fecero impazzire lo infelicissimo giovane. Nè ebbe posa che uno o due giovani compagni suoi antichi non trovasse; ma uno già del suo amore confidente, parea nol volesse più essere; e schermivasi dal rispondere, o rispondea come il vecchio. L'altro che non ne sapea nulla, messo in discorso sopra Francesca, e come così bella fanciulla non avesse per anco marito, e che dovea almeno aver amatori, rispose più apertamente; essersi non so che detto di lei e di Rambaldo, e non sapeva a che ne fossero; ma certo questi aveva a lui ed altri giovani mostrato loro una tal croce, che tutti aveano per l'innanzi veduto sempre al collo di lei. «Menti» fu per dire il trafitto Manfredi, e per trarre il ferro, e vendicar l'ingiuria fatta all'amata. Ma troppo chiara la verità, troppo inutile la disdetta, troppo certo, troppo scellerato il tradimento, troppo inevitabilmente infelice egli. Tennesi quindi un istante; poi, per non isvelar l'angoscia, partì dall'amico, e tornò a casa; e fatta ripor la sella al cavallo, ed indossate l'armi di nuovo, senza rispondere parola al buon vecchio, abbassata la visiera, molle il volto di cocenti lacrime, quasi senza scorgere sua via, nè saper dove andasse, per deserti calli, la sera del medesimo giorno ch'era giunto, ripartì.

      Intanto Rambaldo avea felicemente compiuta l'ambasceria, ed era per tornare molto lieto alla città; se non che essendo allora il tempo della settimana santa, egli volle per anco fermarsi a Roma, dove sempre fecersi quelle funzioni bellissime più che in niun paese della cristianità, ed anche poi per far sua pasqua. Perchè ricordatevi quello che io vi dissi di Rambaldo; e tutti poi ne conosciamo di questi che più di undici mesi si divertono col demonio, e [pg!18] per un quindici dì rifanno pace con Dio; ed altri peggiori che tutto l'anno vanno dall'uno all'altro; ed altri pessimi, che in verità sendo sempre del demonio, fingono essere tutti di Dio. Rambaldo poi era solamente de' primi, e cercando un prete da confessarsi; s'accusò sinceramente de' suoi peccati, anche di quelli che credea più veniali, e fra gli altri di questo che erasi dato vanto su una fanciulla, e le avea fatto involare certa croce per mostrarla; ma era pronto a fargliela restituire. «E 'l onor tolto siete voi pronto a restituirlo?» disse il buon religioso. E Rambaldo: «Come si fa? Nè io 'l dissi deliberatamente per torle l'onore, nè credo glie l'abbia potuto tôrre, nè saprei come ora raccapezzare tutti i giovani appo i quali io me ne facea bello, nè parmi cosa da meritare disdetta, ed è di quelle che rimescolandole peggiorano.» Ma rispondea il religioso: grave peccato la calunnia anche piccola; non il calunniatore, ma il calunniato solo giudice del danno arrecato; essere la riparazione necessaria, urgente; doversi intiera finchè è possibile; gridar vendetta al tribunale di Dio la morte dell'innocente calunniato; stolto il credere gl'innocenti satisfatti della propria coscienza; la quale è tutto, sì, dinanzi al sapientissimo Iddio, ma presso agli uomini ingiusti ed ignoranti è un nulla; anzi i più teneri di coscienza tanto più teneri dell'onore; epperciò tanto più crudele loro involarlo. — Colle quali parole, e con di molti begli esempi tratti dalla Scrittura e dalle vite dei Santi, sforzavasi il buon prete trarre il peccatore alla dovuta risoluzione, ed alla disdetta ch'egli ponea pure quasi sola penitenza. Ma non vi fu verso che Rambaldo vi si volesse ridurre. E partitosi non assolto, andò poi da un altro prete, e poi da un altro, e tutti gli dicevano il medesimo e la medesima penitenza gli davano. Ed egli non la volendo pur fare; e come era uomo di guerra, poco dotto in teologia e casi di coscienza, pensando che il Papa, il quale può tutto nella Chiesa, potesse pure assolverlo da questa penitenza; e perchè avea con esso trattato molto amichevolmente, sperando averne questa grazia, fu da esso, e domandollo che lo volesse confessare. Il Papa, che molto santo uomo era, e non che [pg!19] questo od ogni altro gran signore, ma qualunque più misero peccatore avrebbe confessato, disse, che volentieri; e l'udì. E venuto alla penitenza, pur gli pose la medesima che gli altri confessori. Allora disse Rambaldo: «Santo Padre, come avete potuto udire, ei non è stato nella mia confessione peccato così grave, nè caso riservato ch'io non potessi a qualunque più umile fraticello dire, e averne facilmente l'assoluzione: nè per altro mi sono io, voi isturbando, a' vostri piedi santissimi prostrato, se non per ciò che per questo peccato, dell'aver mal parlato di quella fanciulla, tutti i confessori mi vogliono dare la medesima penitenza: la quale io veramente per ora non mi sento molto disposto di fare; onde bramerei che la vostra Beatitudine, usando la sua suprema potestà, me ne dispensasse, e mutassela in qualunque altra; ch'io son pronto a fare, di preghiere, opere pie, limosine, e se fosse mestieri, che veramente non parmi, di pellegrinaggi; i quali con gran disagi intraprenderei, anzichè ridurmi a quella umiliazione della disdetta, troppo dura a un cavaliero.» Il Papa udendo questo, benchè molto gli dolesse rimandar un amico suo non contento, e più un cristiano non assolto, pur gli disse che non poteva, e volle fargli intendere la distinzione tra le regole di giustizia e quelle di disciplina; e come ei poteva dispensare da queste, non da quelle. Ma il cavaliero o non intendeva o non voleva intendere, e contendeva col Santo Padre. Il quale in ultimo, quasi da celeste ispirazione compreso: «O figliuolo», diceva, «sallo Iddio quanto mi dolga vedere in questa ostinazione un cavaliero altrimenti così buono, e della Chiesa Romana così meritevole. Deh che non posso far io per voi questa penitenza, e per me servo de' servi del Signore prendere questa umiliazione che a voi tanto incresce, ed è pure la sola che possa oramai darvi pace con Dio, e con voi stesso? Perchè queste sono umiliazioni che innalzano; e chiamata dal mondo viltà, questa è fortezza. Ma posciachè non è conceduta tal efficacia a mie parole da potervici persuadere, io ben credo che Iddio pietoso per la salute vostra, e in considerazione dell'altre vostre bontà mi spiri di darvi [pg!20] ora un'altra penitenza, la quale compiuta, io confido, Egli voglia perdonarvi questo e gli altri vostri peccati. E fia la penitenza che, come siate tornato alla vostra città, la prima


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