L'ultima primavera. Memini

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       Memini

      L'ultima primavera

      Romanzo

      Pubblicato da Good Press, 2020

       [email protected]

      EAN 4064066068523

       I.

       II.

       III.

       IV.

       V.

       VI.

       VII.

       VIII.

       IX.

       X.

       XI.

       XII.

       XIII.

       XIV.

       XV.

       XVI.

       XVII.

       Indice

      Ritta, immobile dinanzi al grande specchio a tre comparti, Marina Negroni aveva testè compiuta la sua elegante acconciatura di passeggio. Ma la giovane si indugiava, pensosa, dinanzi alla propria immagine.

      Sul volto suo, nessuna traccia di vanità, nè di compiacenza intima, non il sorriso trionfante della bellezza che si ravvisa. Pure, ell'era bellissima, Marina Negroni.

      Alta, di forme decise, tendenti alla maestà del tipo giunonico. Bionda, d'un biondo acceso, quasi fulvo. Fattezze armoniche, regolarissime, un bello palese, non mutevole, invariabilmente sereno. Se Marina avesse avuto dei nemici, questi, parlando di lei, avrebbero potuto insistere su quell'eccessiva immutabilità della sua bellezza. Avrebbero potuto dire altresì, che ella dimostrava tutti quanti i suoi venticinque anni. Ma non altro appunto avrebbero potuto movere all'aspetto di quella fanciulla. Nè maggiore appiglio avrebbero offerto alla loro critica il carattere ed il contegno di lei. Somigliavano, per l'appunto, alla sua formosa bellezza. Erano, al pari di questa, invariabilmente calmi e sereni.

      Ella dunque non si ammirava, si studiava soltanto.

      Era, non era ciò che doveva essere quel giorno, per quella data circostanza?

      La circostanza era grave, e Marina lo sapeva. Si passò coscienziosamente in rivista. Qualche ritocco ancora, qua e là; una ciocchettina di capelli un po' ribelle da rimovere, più assestata sul fianco la falda della giacchettina, meglio stretta al collo la striscia di finissima trina che s'alzava oltre il goletto alto dell'abito.

      Dopo un momento e stando sempre davanti allo specchio, Marina cominciò la sua esercitazione di sorrisi.

      Ne eseguì parecchi, leggiadri tutti e discreti, una scala semitonata, progressiva di sorrisi per bene. Uno fra essi non riesciva a modo suo, lo ripetè pazientemente, sinchè riescì a fissarlo, determinato, sulla fisonomia. Doveva significare una serenità intima con un'ombra di meraviglia, quasi un accenno al destarsi di un vago interessamento. Poi susseguì il sorriso più palesemente animato e subito dopo, con una abile, rapida transazione di espressioni, il ritorno alla perfetta calma della fisonomia, quella calma grandiosa che dava all'aspetto di Marina Negroni qualcosa dell'immagine di una Dea che, assorta in divini pensieri, movesse a diporto sulle nubi di un Olimpo.

      Un momento, tutto ciò venne meno. Marina tralasciò di esercitarsi. Aggrottò le ciglia e sorrise, ma sinceramente, involontariamente, per conto suo. E quel sorriso non narrava una lieta storia.

      Un lampo di stanchezza, d'intimo disgusto passò nei grandi occhi azzurrini, tutta la persona ebbe una espressione accasciata e piena di sconforto.

      — Ancora... sempre!... — mormorò la fanciulla. — E sempre per nulla. Son certa... lo sento che anche stavolta...

      Ebbe un piccolo brivido. La lunga serie dei disappunti, dei tanti falliti tentativi, tornò, crudele, alla sua memoria.

      Ma subito crollò le spalle.

      — Sciocchezze, tutto ciò! E ad ogni modo bisogna tentare. Una volta o l'altra, oggi o domani, la cosa deve pur accadere!

      Gettò sullo specchio un ultimo sguardo, si vide qual'era, bella, forte, risoluta. Ebbe un moto energico di approvazione. Prese un fine ombrello inglese (minacciava di piovere), il manicotto ed escì.

      La cameretta di donna Marina Negroni era al terzo piano del palazzo d'Accorsi. Il duca d'Accorsi, uno straricco gentiluomo napoletano, aveva sposata la madre di donna Marina, vedova del conte Negroni, morto giovane e non ricco. Il secondo matrimonio della madre aveva fatto alla giovane Negroni, in casa d'Accorsi, una posizione speciale, non facile, ch'ella sosteneva con dignità, a dispetto di certe ardue complicazioni. Molti la invidiavano, ed ella non sconosceva i vantaggi materiali della sua posizione. Ma pensava risolutamente a farsene un'altra.

      Donna Marina scese, per l'altezza di due piani, una stretta scala di servizio e giunse sul pianerottolo di un grande scalone di marmo bianco. Aprì uno dei grandi usci di noce riccamente intagliati, e si trovò in un'ampia e fastosa anticamera. Un piccolo crocchio di domestici avvertì il passaggio della fanciulla. S'alzarono, salutando rispettosamente, ma senza sperpero di umile ossequio. Ella rispose con un piccolo cenno del capo e passò, sollevando da sola la greve portiera di velluto che metteva alla sala vicina. Ne attraversò parecchie, ricchissime tutte, addobbate ed ornate colla più raffinata eleganza artistica. Celebre infatti, a Firenze, l'appartamento di gala della Duchessa d'Accorsi, splendide le feste da ballo che ella soleva dare e delle quali erano avidamente ricercati gli inviti. E così scelte... per l'appunto!

      Donna Marina gettò, passando, uno sguardo su una pendolina in Vieux Sèvres, e affrettò il passo. Non percorse tutto l'appartamento, ma svoltando a destra, ed evitando la sala da ballo, riescì in una specie di salotto-serra, piena d'azalee in fiore e di piante esotiche. Giunta ad una porticina a vetri, quasi celata da uno splendido drappeggio di stoffa orientale, s'arrestò, e battè sul vetro, discretamente, due colpi.

      Una voce non fresca, quasi roca, rispose: — Avanti.

      Donna Marina entrò nel salotto ove stava sua madre.

      Una strana fantasia quel salotto, la prima impressione n'era


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