La Repubblica di Venezia e la Persia. Berchet Guglielmo
nel secolo XVII la Persia ritraeva da Venezia, ecco la traduzione fatta dal dragomanno Nores, il 18 marzo 1613, del:
Memoriale consegnato dallo shàh di Persia Abbas ai suoi agenti Alredin et Sassuar, delle cose che sono obbligati a comperare a Venetia d'ordine del re[124].
Zacchi, che siano di somma bontà e di maglia minuta et stretta.
Rasi boni et belli, parte negri et parte a colori.
Tabini boni.
Ormesini fatti in Venetia.
Panni venetiani, che siano boni e fini di diversi colori.
Argenterie di diversa sorte, così schiette come lavorate a figure.
Vetri lavorati, belli, ben fatti et indorati la maggior parte.
Lavori di cristallo di montagna senza alcune vene.
Specchi di cristallo grande, che siano netti et senza casse.
Specchi mezzani et piccoli, a punta di diamante.
Pietre d'anelli d'ogni sorta, con figure intagliate sopra.
Armi da guerra d'ogni sorta, che sieno a proposito nostro.
Occhiali di cristallo fatti a diamante.
Coltelli et forfe (forbici) di buona sorte et tempera.
Cremisì.
Instrumenti da lavorare e da far zacchi (giacchi).
Azzali che sieno buoni et fini.
Pugnali, colli sui ferri indorati, senza fodero.
Non porterete nè archibusi, nè orologi, nè cassette di cristallo, perchè non fanno di bisogno. Orecchini di cristallo di diverse sorte con figure.
Portar delle cipolle et sementi di fiori belli, con la nota del tempo e del modo come si piantano.
Menar tessitori che sappiano far velluti et rasi, se si può.
Instrumenti ovver ordigni da lustrare i panni di seta, con la nota del modo come si fa.
Maschere di diverse sorta da trasvestirsi; et altre cose straordinarie che non siano state qui portate o poste in uso, siano di che prezzo si voglia.
Et così eseguirete.
col sigillo reale.
Le monete veneziane erano accettate dai Persiani, come dai Mongoli, Tartari, Arabi ed Indiani. In Armenia poi i Veneziani, per privilegi ottenuti fino dal secolo XIII, lavoravano i dirrhem ed altre saracinesche monete di un gran pregio nella Persia. Essi associaronsi inoltre agli Armeni ed ai Persiani nella fabbricazione dei cammellotti, e finalmente goderono franchigia per le mercanzie che tratte da Tauris e dalla Persia, attraversavano l'Armenia.
Queste mercanzie consistevano principalmente: in panni di seta, di lana, di pelo di cammello e di capra, rasi con ricami tessuti d'oro, tappeti di Persia e di Caramania, riputati da M. Polo i migliori del mondo, cammellotti, mussuline, particolarmente da Mussul presso Mardin, abbondante di cotoni, cordovani rossi e gialli ed altre pelli in genere, pesce secco e salato, beluga del Caspio, argento ed oro in polvere tratti dai fiumi di Bukaria, rame delle miniere di Tokat, datteri di Bassorah, pepe, tabacco, indaco, allume, zuccaro, galla, zenzero, zafferano, rabarbaro, gomma, miele, sale di Bukaria, sale ammoniaco, bitumi, tra cui il nafta ed il celebre mum, droghe diverse, erbe medicinali, cera, perle di Ormuz, lapislazzuli, turchesi ed altre pietre preziose, lavori ed intarsiature alla agemina, così detti da agem, nome col quale gli Arabi indicano le terre ad essi straniere ed in particolare la Persia; e finalmente la seta greggia di cui incomparabilmente abbondavano le provincie persiane situate sul Caspio, Astrabad, Mazanderan, Schirvan e sopra tutte il Ghilan, la cui seta in natura ed in manifatture era ed è riputata la migliore di tutta la Persia.
Il commercio delle sete persiane fu specialmente regolato e favorito dal magistrato dei Cinque savii alla mercanzia, nei cui registri trovansi fra le altre le seguenti disposizioni:
Le sete persiane doveano passare per gli scali della Sorìa, assoggettarsi alla visita del console di Damasco e di Aleppo, e soddisfare una tassa di favore, fissata colla tariffa 5 marzo 1537; quindi venire accompagnate a Venezia da tratte particolari dei provveditori al cottimo[125]. E diminuendo quel traffico, per la concorrenza dei mercanti forestieri, nella grave proporzione di 1000 a 100, nel principio del secolo XVII, deliberava il senato ai 2 di maggio 1614 che tutte le sete persiane, che per gli scali della Sorìa venissero condotte a Venezia, fossero esenti per anni sei (tempo dappoi indeterminatamente prorogato) dal dazio del 6 per %, semprecchè li mercanti che le portavano per la via di Aleppo certificassero con prove irrefragabili al console di Sorìa la loro provenienza dalla Persia.
Il console in Aleppo, Girolamo Morosini, aveva nell'anno precedente sotto la propria responsabilità ridotto quella tassa dal 6 al 2 per %, onde favorire la venuta in Venezia dei mercanti persiani tanto desiderati dalla repubblica; e nella relazione che lesse in senato il 9 febbraio 1615 perorò la abolizione intera della tassa, che fu stabilita. E per favorirne la esportazione da Venezia, e far fronte alla concorrenza straniera, il senato ordinava ai 10 di luglio dello stesso anno, che per due anni, i quali furono varie volte prorogati, potessero le sete persiane escire dallo stato veneto per la via di Ponteba esenti da dazio. Finalmente nel 1626 al 14 di agosto deliberavasi in Pregadì che le sete persiane, che capitassero in Venezia con mercanti armeni e persiani, fossero esentate dall'1 per % che pagavasi per il cottimo e del 2 per il bailaggio di Sorìa, acciocchè con questo ragionevole vantaggio si incamminino a questa piazza[126].
Anche lo shàh della Persia, Abbas il Grande, fermò particolarmente la sua attenzione sul commercio serico. Fra le grandi innovazioni da esso adottate per ristorare le sorti economiche del suo impero, volle che gli Armeni trasmigrati in Djulfa d'Ispahan ricevessero dai proprietari le sete, e si esercitassero esclusivamente in quel traffico, nel quale divennero operosissimi.
Ma le condizioni politiche ed economiche della repubblica, e le vicissitudini del commercio e della navigazione delle potenze europee, andarono togliendo poco a poco ai Veneziani il primato nel traffico della seta e di tutte le merci persiane.
Dopo l'invasione dei Mongoli, che, sorpreso il floridissimo emporeo della Tana (1414), vi trucidarono i veneti mercanti e misero a ruba i loro fondachi, e dopo la conquista di Costantinopoli (1453) che chiuse il mar Nero alla navigazione degli Europei, i Veneziani, rinnovati gli antichi trattati coi soldani di Egitto, ai quali era soggetta la Palestina e la Siria, avevano ricondotto nel Mediterraneo il commercio della Persia e delle Indie, fino alla scoperta del giro del capo di Buona Speranza.
Questa importante rivoluzione commerciale, avvenuta dopo l'acquisto della terraferma veneziana, e seguìta dalla lega di Cambray, e dalle lotte contro la Turchia, che scossero profondamente la potenza della Repubblica in levante, diede il principal crollo al commercio dei Veneziani nell'Asia. Essi conobbero tosto, che la impresa di Vasco di Gama, deviandolo a mezzogiorno, paralizzava l'antico e ricchissimo traffico, del quale erano in possesso.
Le più serie informazioni intorno alla fortuna dei Portoghesi, il re dei quali tosto assumeva il titolo di Signore della navigazione e commercio dell'Etiopia, dell'Arabia, della Persia e delle Indie, pervennero al senato dai suoi oratori e messi secreti a Lisbona, e dagli ambasciatori presso la corte di Spagna; ma i deputati al commercio dissuadendo i Veneziani dall'abbandonare una navigazione antica, viva, certa, per seguirne una nuova, incerta, lontana e contrastata da molti[127], essi guardarono invece all'Egitto, e, mentre spingevano i soldani a contrastare nei mari dell'India i progressi ai Portoghesi[128], rinnovarono con loro gli antichi patti e ottennero le migliori franchigie.
Benedetto Sanudo, ed il console di Damasco Bartolomeo Contarini ottennero nell'anno 1502 dal sultano del Cairo che per le merci aquistate dai Veneziani nell'egizia Sorìa pagar si dovessero solo 90 ducati per ogni valore di mille, in luogo dei 100 che pagavano i mercanti delle altre nazioni, in considerazione che il commercio veneziano era da antichissimo tempo il fondamento di tutti gli altri[129]. E venuto a Venezia nell'anno 1507 Tagri-Berdi, oratore del sultano di Egitto, si stabilirono nuovi capitoli