La Repubblica di Venezia e la Persia. Berchet Guglielmo

La Repubblica di Venezia e la Persia - Berchet Guglielmo


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e la guerra nel Conducar l'avevano finora obbligato a simulare l'odio implacabile contro i Turchi, il giovane e valoroso monarca desiderava prossima occasione di battersi contro di loro, d'accordo colla signorìa di Venezia, il granduca di Moscovia ed il re di Polonia, persuaso che tali alleanze avrebbero bastato per finirla una volta coll'impero turchesco [Documento LVIII]. Il Fortis aggiungeva nella sua relazione particolari notizie intorno alla condizione dell'esercito persiano, ed alcuni suggerimenti opportuni a mantenere per diversi scali il commercio colla Persia, durante la guerra, insieme ad una descrizione delle vie che da Venezia conducevano in Ispahan.

      La repubblica fu assai lieta di questa legazione, ringraziò il re della Persia per la protezione ed i beneficii che accordava ai cristiani nei suoi regni, promise reciprocanza [Documento LIX], regalò splendidamente i padri dominicani, il contegno, le pratiche e le proposizioni dell'arcivescovo di Nashirvan altamente commendò[105].

      Questa fu l'ultima occasione, che per circostanze fatali la repubblica di Venezia ha perduta; avvegnachè rinnovatasi la lotta colla Turchia nel 1695, essa invano tentò di associare ai suoi minacciati destini la Persia [Documento LX], ed allorquando nel 1714 il divano non potendosi adattare alla perdita della Morea, le intimava di nuovo la guerra siccome violatrice degli accordi di Carlovitz, essa non più ricorse alla Persia che stava impegnata in lotte civili, e soscrisse la pace di Passarovitz, che pose fine alle sue speranze in oriente.

      Però anche durante il secolo decimo ottavo le relazioni internazionali veneto-persiane si mantennero nello stesso costante carattere di ottima amicizia e corrispondenza.

      Quando la repubblica si avvide di non poter più recare ad effetto l'idea di dividere l'impero ottomano col concorso della Persia, non cessò di coltivare i buoni rapporti con quel governo, nella mira di proteggere gli interessi della cristianità in Asia.

      I pochi documenti che si hanno attestano come nel 1669 [Documento LXI], in seguito a spedizione nella Persia di Antonio Doni, quello shàh dimostrasse alla repubblica la più favorevole disposizione ad incontrare i suoi desiderii; e come efficacemente proteggesse ora il vicario generale padre Fassi raccomandatogli dai Veneziani per istanza del granduca di Toscana [Documento LXII], ora il padre Arachieli che pei cattolici volle edificare una chiesa in Erivan [Documenti LXIII e LXIV].

      Morto Suleiman nel 1692 e succedutogli Husein, la repubblica mandò al nuovo re, colle lettere di congratulazione, le più vive raccomandazioni in favore dei cristiani che abitavano nella Persia; le quali furono riscontrate con termini di adesione e di ringraziamento, e con espressioni di augurio pel mantenimento della stretta colleganza fra i due Stati.

Lettera dello shàh Husein al doge Silvestro Valier, 1696

      Questa lettera, di cui diamo nei documenti la traduzione [Documento LXV], e qui il fac-simile, porta in luogo della sottoscrizione, non conosciuta dai maomettani, il grande sigillo reale detto Homajon, nella forma elegante che usavasi pei trattati, lettere patenti o missive all'estero, e il cui disegno, quale la fotografia potè riprodurlo, ponemmo in fronte al presente volume[106]. Esso contiene nel centro fra un bellissimo intreccio di fiori e di foglie la cifra reale Sultan Husein ben Suleiman 1106, cioè il sultano Husein figlio di Solimano, anno 1694. All'intorno nelle dodici nicchie dovrebbonsi leggere i nomi dei dodici Imam, e al disopra la solita formula od invocazione religiosa dei Persiani.

      Nell'anno 1697 a' 13 di marzo si presentò in collegio il padre Pietro Paolo Palma arcivescovo d'Ancira con breve di Innocenzo XII al re di Persia[107] pregando la repubblica di mediazione in favore del vescovo d'Ispahan e di quei missionarii che erano stati esiliati dal suo regno. Ed il senato nella prossima tornata del 15 marzo deliberava di rivolgersi allo shàh, al patriarca armeno ed al gran Mogol [Documento LXVI].

      Finalmente essendo accaduta nel 1718 la spogliazione della chiesa dei Cappuccini a Tiflis, il veneto senato scriveva il 23 di dicembre [Documento LXVII] al re della Persia pregandolo « di porgere sollievo agli oppressi, di far cessare gli insulti e le animosità, di restituire la religione cattolica alla pristina quiete ».

      Le relazioni internazionali della repubblica di Venezia colla Persia, furono pertanto in tutti i secoli improntate della più schietta amicizia, e mantenute costanti da eguali tendenze politiche e da sentimenti di civiltà e di religione.

      Oltre a ciò un altro importante rispetto, pur degno di somma considerazione, stringeva Venezia alla Persia: quello del commercio, del quale trattasi nella seguente Parte seconda.

       Indice

      Delle relazioni commerciali

       tra

       la Repubblica di Venezia e la Persia.

       Del commercio dei Veneziani colla Persia.

       Indice

      Gli aromi delle Indie orientali, le spezie, le merci, le sete, i prodotti e le manifatture dell'Asia furono fino dai più antichi tempi primario scopo del commercio europeo, e le nazioni che poterono averle di prima mano arricchirono assai e si resero tributarie le altre. Nei più remoti secoli, ora i Fenici ricevendole dal golfo Persico e dal mar Rosso, le portavano per Tiro, Sidone ed Alessandria nel Mediterraneo, ora gli Assiri ed i Caldei per la via dell'Indo, dell'Oxo (Amon-daria) e del Caspio, quindi del Ciro e del Fasi, o del Volga e del Tanai (Don) le spingevano nel mar Nero.

      In mezzo alle irruzioni dei barbari, perdutosi l'uso delle merci di levante, l'Europa sofferendone la mancanza abbisognò di abili navigatori che ne la provvedessero. Si presentarono gli Italiani, e dalle sponde del mar Nero o dalle coste orientali del Mediterraneo le navi di Amalfi, di Sicilia, di Pisa, di Genova e particolarmente di Venezia recarono a tutta l'Europa i preziosi prodotti dell'Asia.

      Che il primato del commercio asiatico, benchè contrastato dai Genovesi, fosse fino dagli esordii della repubblica nelle mani dei Veneziani, che Venezia fosse, come la disse il Giogalli, la dogana principale delle ricchezze dell'Asia, lo prova la famosa lettera di Cassiodoro dell'anno 528, dalla quale consta che essa provvedesse i re Goti di quanto abbisognavano. Assicurano le cronache che nei secoli VII e VIII le navi della repubblica recavano in Europa i prodotti e le manifatture dell'Asia; la cronaca Dandolo che nell'anno 814 i Veneziani commerciassero in Siria; la Cavense che nel 987 caricassero nel porto di Salerno per le coste asiatiche, e finalmente dall'anno 971 incomincia la importantissima serie dei decreti, patti e privilegi dei Veneziani relativi al commercio d'Oriente che ne comprovano la ricchezza e la preminenza[108].

      I prodotti dell'Asia mettevano capo dapprima ai porti della Siria e dell'Egitto; quindi nel mar Nero alla Tana sullo sbocco del Tanai, a Trebisonda, e ad Ajazzo, angolo il più orientale fra la Cilicia e la Siria, secondo le vicissitudini che sconvolsero le regioni d'oriente.

      Giosafat Barbaro e Ambrogio Contarini narrano nei loro viaggi, che fino dai più remoti tempi le merci dell'Indie e quelle dell'interno dell'Asia navigavano pel fiume Indo fino all'antica Battriana, donde trasportate per terra con cammelli in sette giorni, nell'Icaro che sbocca nell'Oxo, si versavano nel mar Caspio, attraversando i ricchissimi mercati di Samarcanda e Buccara. Quindi


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