La Repubblica di Venezia e la Persia. Berchet Guglielmo

La Repubblica di Venezia e la Persia - Berchet Guglielmo


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baciato pubblicamente la mano, avea messo in gran sospetto li bascià delli confini, li quali fin allora dissero che S. M. era per unirsi colli Franchi; il che se lo farà, non vorrà che di ciò abbiano avviso alcuno, nemmeno occasione di sospettare sicchè coglierlo potrà alla sprovvista; dimandandomi se di certo la lega era conclusa e quali principi erano più potenti in mare. Gli dissi, la Serenità Vostra, la maestà del re di Spagna ed il sommo pontefice; mi domandò se il re di Portogallo era compreso in detta lega, gli dissi che ancor lui era per entrare, perchè oltre l'essere congiunto di stato e di volontà col re di Spagna, era figliuolo di una sua sorella; mi dimandò etiam del re di Francia: risposi che al presente non aveva galere; e qui si pose fine, partendomi accompagnato dal suo maggiordomo, il quale mi disse che Mirza di queste nuove sentiva grandissimo piacere, e che ogni particolare avria riferito al padre.

      « Stando io in aspettazione di essere chiamato al re, et passati alcuni giorni dissi alli Armeni, i quali del continuo erano alla porta di Mirza, che mi pareva strano non aver avviso alcuno di essere introdotto, e mi sarebbe stato caro che dal maggiordomo avessero inteso se a S. M. era stata presentata la lettera e quello che l'aveva comandato: i quali intesero che la mattina seguente Mirza gliela avea presentata in quel vasetto, che era stato in lungo ragionamento col padre, ma non sapevasi quello avesse ordinato. Il secondo giorno andai dal detto maggiordomo, il quale disse aver inteso da Mirza che il re aveva comandato che mi fermassi, e fatta tradurre la lettera dal dragomanno che fu dell'ambasciatore d'Inghilterra, il quale si era fatto turco, e visto che per quella accusava una antecedente mandata da V. S. per un chogia Alì mercante di Tauris, però voleva vedere anche quella, poi mi avria spedito. Gli dissi che detto mercante non poteva molto tardare, essendosi partito da Venezia due mesi prima di me, e che sebbene la S. V. mi aveva imposto diligenza, mi acquetava col volere di S. M.

      « In questo intervallo di tempo cercai di istruirmi di ogni particolare, sì della persona ed animo di questo re e figliuolo, come dei signori da loro chiamati sultani, del modo di governo di quella corte e regno, delle loro entrate e spese et etiam della qualità e numero di milizie che possono fare, come dalla S. V. nell'ultimo del mio partir mi fu comandato che io avessi ad osservare, le quali cose non scriverò al presente, sì per non attediar colla lunghezza loro la S. V., come per non essere in atto di poterlo fare.

      « Giunse a' 3 di novembre chogia Alì accompagnato da un gentiluomo del sultano di Tauris parente del gran cancelliere al quale fu indiricciato, e subito condotto al re prima ch'io sapessi la sua venuta, il quale aspettai che uscisse dal palazzo, e mi riferì che S. M. gli aveva dimandato dove si aveva trattenuto tanto tempo e che era molti giorni che lo aspettava e avvicinandosegli disse: questo è di quel bel panno di Venezia, avendo chogia Alì fatto presente di tre veste. Gli diede il libro dicendo che la lettera della S. V. era là nella coperta, il re ordinò al nipote figliuolo di Codabem Mirza, primo figliuolo di S. M. che dovesse portarle dentro alle donne; gli domandò se era vero della lega, e se a Venezia era carestia di grano, rispose esser la lega conclusa al fermo, e che al presente vi era abundanzia non avendo durato la carestìa se non che 4 mesi, domandò se in detto tempo si trovava pane, disse che ve ne era quantità grande e che per tutte le piazze si vendeva ma era caro; rispose il re di ciò poco importava dicendo questo esser contrario agli avvisi che da un ciaus di Erzerum li furono dati, il quale disse che non si trovava pane per danari e che perciò moriva molta gente; domandò se il signor di Transilvania era sollevato contro il Turco, disse di sì, e che essendo in Andrianopoli passò Acmat bascià, il quale con esercito andava contro detto signore. Il re si lontanò alquanto da chogia Alì, e disse ai sultani signori, la lega di certo è conclusa, ed il Transilvano che era l'ala destra dell'esercito degli Ottomani si è levato contro loro. Di nuovo S. M. domandò se aveva vedute le preparazioni dell'armata e se era in gran numero; disse che aveva contato 300 galere, 20 galere grosse e molte navi dicendogli ogni particolare, come erano armate e quanta artiglieria che v'era sopra, e che aveva inteso esser quelle di Spagna 100 e 50 quelle del Papa; e volendo incominciare a parlare del negozio della lettera, il re disse che ei sapeva ogni cosa; così restò, e rivolto al cancelliere, replicando disse: bene bene, fermandosi per un poco; poi ordinò ad un Turco che con diligenza dovesse andare a Shirvan a far levare 28 pezzi d'artiglieria che si trovava a Sanbiachi città vicina al gran Caspio e condurli nel castello di Derbent alli confini del Turco, e che etiam fosse condotto dal detto luoco 600 somme di camelli di armadura vicino a Tauris.

      « Dato che ebbe S. M. questi ordini, presente chogia Alì, li dimandò se era vero che il bascià fosse andato all'impresa di Candia, il quale rispose non saper di certo, ma aver inteso che l'armata di V. S. dovrà invernar in quelle parti, e che se fosse andato il bascià sopra quell'isola, al fermo si avria incontrato e saria seguita battaglia, domandò che forma aveva il galione e se era vero che sopra vi fosse 300 bocche da fuoco. Chogia Alì disse che tra grandi e piccole passavano questo numero, il capitano della guardia, che da loro è chiamato Cursi bassi, disse che li pareva impossibile, il re rispose che in materia di legni armati e di artiglieria tutto quello che intendeva dei Veneziani dovesse crederlo, perchè per via di Aleppo, di Costantinopoli ed altri luochi aveva avvisi conformi, dicendo che chogia Alì dovesse parlare e dire tutto quello sapeva. Il qual rispose aver veduto tante cose che in un subito non le poteva dir così presto; disse il re che non partisse, ed ordinò che si fermasse, ma avendo aspettato fin ora tarda entro alle donne, fu licenziato. Io, desiderando espedizione, andai da sultan Caidar Mirza e dissi a sua signorìa che chogia Alì era giunto, e che io desiderava qualche risposta essendo vicino a tre mesi ch'io mi trovava a quella corte; mi disse che l'aveva veduto a parlare col re, e che quanto alla espedizione mia con la venuta di questo facilmente potrà venir a memoria a suo padre ed espedirmi, perchè lui conosceva la sua natura che non voleva gli fosse ricordata cosa alcuna, e che però bisognava aspettare.

      « Di ciò consigliatomi con chogia Alì, disse avria parlato al gran cancelliere, dal quale ebbe risposta che questo negozio era indiricciato con Mirza e che non sapeva come ricordarlo a S. M., ma che bisognava aspettar uno o due anni per veder prima qualche buon progresso di questa guerra, poi averia risposto, che questo era signor prudente ed in simil negozio si governava coll'occasione e con il tempo, che li presenti disturbi del Ghilan impedivan la risoluzione di altri affari. Chogia Alì disse al signor segretario che la S. V. mi aveva imposto diligenza, e che però instavo espedizione, il qual rispose che a gran negozio vi voleva gran tempo a risolvere. Stando io in molto travaglio di animo, sia per la irresoluzione loro, come perchè li denari mi erano venuti a manco, mi fu arricordato da quelli Armeni che mi indirizzarono a Mirza che dovessi trovarmi con un signore chiamato Eminlicbes famigliarissimo del re, il quale trattava molti importanti negozi. Andai da detto signore con un picciol presente e gli diedi conto del successo, e lo pregai ad interponersi alla mia espedizione, il qual mi promise con l'occasione di farlo. Due giorni dopo mi mandò a chiamare e mi disse che aveva parlato con S. M. la quale aveva visto il tenore delle due lettere, che Mirza oltre li aver parlatole a viva voce di tal negozio, lo aveva etiam posto in scrittura tutto quello che nella prima udienza aveva ragionato con me, e data essa scrittura al re, che al presente non poteva con animo riposato far rispondere a detta lettera, e che aveva comandato che essendo qui due per un effetto, l'uno fosse licenziato e l'altro restasse per la risposta. Ringraziai detto signore del cortese ufficio e mi trovai con chogia Alì e li riferii l'ordine del re, il quale disse che lui saria restato volentieri, sì perchè aveva già venduta la sua mercanzia a tempo, come perchè quella promessa che dalla S. V. li è stata fatta, è con condizione che abbi a portar risposta della lettera a lui data. Io vedendo il desiderio suo di restare, e sapendo che questo caso era poco servizio di V. S. che più lui che io per tal causa restasse, risolsi di partirmi ed il giorno seguente presi licenza da sultan Caidar Mirza, e gli dissi quanto la maestà del padre aveva comandato, e che con buona grazia di S. A. mi volevo partire. Mi disse che gli dispiaceva che io forse contro il volere mio avessi tardato tanto; ma che l'ordinario dei negozi di questa corte portava seco lunghezza di tempo, volendo il re vedere minutamente ogni cosa, e che lo raccomandassi alla S. V. Ringraziai S. A. e dissi che la V. S. nelle occasioni non saria mancata con degni affetti, dimostrarli grata corrispondenza; e nel partire il suo maggiordomo mi disse che l'aveva mostrato a Mirza li tre zecchini che nella prima udienza io gli aveva donati, i quali erano coll'impronta di V. S., e che li erano molto piaciuti e desiderava di darmi moneta di quanti ne aveva io, veramente non me ne trovava più che 12 nuovi, glieli diedi, nè volsi in cambio altro danaro.

      « Mirza


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