La Repubblica di Venezia e la Persia. Berchet Guglielmo
Marcantonio Barbaro sosteneva in senato: che freno alcuno non potea maggiormente domare ogni insolente pensiero dei Turchi, quanto il conoscere essi la buona intelligenza fra i principi cristiani ed il re della Persia[77].
Per queste considerazioni e rispetti, allorquando Selino mosse la guerra ai Veneziani, per la conquista del regno di Cipro, la repubblica deliberava di rivolgersi a Thamasp re di Persia, eccitandolo ad unirsi seco nella lega per vendicare le antiche e le recenti ingiurie.
Il Consiglio dei Dieci consegnava a tal fine, nel 27 di ottobre 1570 a chogia Ali negoziante di Tauris, che trattenutosi a Venezia per affari di traffico, desiderava di ritornare nella Persia, una lettera ducale a quel re [Documento XXII], colla quale annunciandogli la ingiusta guerra intrapresa contro la repubblica da Selino, lo eccitavasi a fare un'importante diversione nell'Asia, che avrebbe paralizzate le forze turchesche, accresciuta gloria al suo nome, potenza e sicurezza all'impero persiano. E tre giorni appresso il medesimo Consiglio dei Dieci commetteva al segretario del senato Vincenzo degli Alessandri [Documento XXIII], uomo peritissimo nel viaggiare e conoscitore delle lingue orientali per la lunga dimora fatta a Costantinopoli, di recarsi secretamente nella Persia con altra lettera ducale a quel re [Documento XXIV], per informarlo a viva voce dei grandi apparecchi che si facevano da tutti i principi cristiani onde assalire con eserciti e flotte l'impero turchesco, e per esortarlo a cogliere la favorevole occasione di rompere dalla sua parte la guerra, mentre gli Stati ottomani nell'Asia erano spogli delle truppe mandate all'impresa di Cipro.
Il viaggio del veneto oratore nella Persia e l'esito della sua missione, furono dallo stesso Alessandri narrati col dispaccio ufficiale 24 luglio 1572, che qui si riporta nella sua integrità[78].
Serenissimo Principe, Illustrissimi Signori.
« Essendo in questo ritorno di Persia cascato in pericolosa disposizione di febbre e petecchie in Leopoli, e parendomi essere alquanto risanato, mi posi in cammino per presentarmi a' piedi di Vostra Serenità, nè avendo ancora avuto le forze per poter continuare, essendo molto battuto sì dal lungo viaggio che dalla presa malattia, mi sono fermato per qualche giorno in questa città, e comprendendo quanto può esser caro alla Serenità Vostra saper el successo del negozio commessomi, ancorchè da Tauris due volte abbia inviato per l'Armenia lettere a Costantinopoli all'illustrissimo Bailo, le dico: che dappoi che fui spedito da questo medesimo Consiglio a Tamasp re di Persia con lettere e con commissione che io gli dessi conto della guerra ingiustamente mossale da sultan Selin, delle gran preparazioni di armada che per difesa de' suoi stati ed offesa di sì gran inimigo la Serenità Vostra aveva fatto, e dell'unione dei principi cristiani mossi per questa causa, che dovessi etiam invitare desso re a prender l'armi in sì venturata occasion contro detto Selin, mi partii con quella maggior diligenza che fu possibile tenendo la via di Germania, Polonia e Bogdania, discendendo nel paese del Turco a Moncastro, città sopra le rive del mar maggiore, dal qual luogo scrissi alla Serenità Vostra ai 19 di marzo del 1571 e le diedi avviso del cammin che avevo a tenere, ed essendomi alquanti giorni fermato per aspettar passaggio che mi conducesse in Asia; venuta occasion di nave, mi partii, nè potendo per venti contrarii arrivare a Trebisonda, com'era intenzione mia, smontai a Sinope, sebben per quella via il cammin fu lungo e di molto pericolo, avendo dovuto passare per la città di Samsum, Tokat, Erzengian, Derbent ed Erzerum e de lì entrar nella Persia.
« Giunsi nella città di Tauris, metropoli di quel regno, a' 17 di luglio, mi fermai alquanti giorni per prendere informazione del modo del negozio di là, per non andar del tutto nuovo ed inesperto a Casbin, città dove il re già da molti anni fa la sua residenza. Ed essendomi imbattuto in un gentiluomo inglese, el qual per via di Moscovia con molta facultà di carisce ed altri panni era venuto per il fiume Volga in Persia, con nome di ambasciatore della regina e con lettere di credenza, e si aveva trovato col re e fatti gran presenti ed ottenuti comandamenti di poter liberamente contrattare, condur mercanzie e dal paese trarne quella quantità e sorte che le pareria sì per conto suo, come di altri mercanti inglesi; avendo con detto gentiluomo contratto alquanto di amicizia, intesi il modo del governo e come sultan Caidar Mirza, terzo figliuolo del re e luogotenente del padre, indirizzava tutti li negozi; con queste ed altre istruzioni della natura del re mi partii, ed ai 14 d'agosto giunsi a Casbin, essendo venuti a trovarmi alcuni mercanti armeni i quali avevano mandati li loro fattori in cotesta inclita città desiderando sapere alcuna nuova, li dissi che la Serenità Vostra li aveva licenziati già molto tempo insieme colle loro robe e che erano partiti prima di me, alli quali domandai l'ora che il figliuolo del re ammette all'udienza; mi dissero per ordinario di notte, dicendomi etiam esser signori della loro terra chiamata Diulfa e che uno risiedeva lì per agente. Mostrando essi di aver facile introduzione li dissi che io aveva lettere di Vostra Serenità alla maestà del re, e che mi sarebbe stato caro per mezzo loro che alla corte di Mirza si fosse saputa la mia venuta. Questi si partirono ed aspettato che detto signor uscisse dal padre, il quale secondo il costume di quella corte non uscì dal consiglio prima che a tre ore di notte, e subito giunto al suo palazzo li diedero avviso; nè mettendo tempo di mezzo comandò ad alcuni dei suoi gentiluomini che venissero per me.
« Giunto io a lui, si partì da uno delli fratelli ed altri signori con li quali guardavano alcuni giochi di fuoco e solo con un suo gentiluomo si ritirò sotto una loggetta. Introdotto che fui alla sua presenza dissi: che se la Serenità Vostra avesse saputo che S. A. tiene sì degnamente il grado di Luogotenente del re, con ispeciali lettere là lo avrìa honorato, siccome colle presenti lo fa alla maestà di suo padre. Mirza con grata ciera rispose che io fossi il benvenuto, e che li pareva strano il mio lungo cammino in questi tempi per paese degli Ottomani. Mi domandò se aveva presso di me la lettera: io gli mostrai il vasetto di stagno, e dissi che la era là dentro, per il che restò pieno di meraviglia, la prese e volse in un fazzoletto dicendo di presentarla così al re; mi domandò se v'era altro al presente, risposi che con gran fatica mi avevo potuto solo presentare a S. A. rispetto l'esser venuto per mezzo il paese de nemici, ma che con occasione la Serenità Vostra non avrìa mancato di onorare la maestà del re e sua signorìa con quei degni presenti che se le conveniva. Ringraziò e mi dimandò del contenuto della lettera. Io gli dissi che credevo che la Serenità Vostra desse avviso a S. M. della poca fede osservatale da sultan Selin, il quale con solenne giuramento aveva promesso e giurato in nome di Dio, delli profeti, e per le anime dei suoi passati di osservar buona e sincera pace colla Serenità Vostra, ora mosso da avido desiderio, sprezzando ogni onor, nè curandosi di esser tenuto presso i principi del mondo mancator di parola, con tutte le forze sue da mare e da terra aveva fatto sbarcare eserciti a Cipro per impadronirsi di quell'isola; però che la S. V. colla sua potentissima armata di molte galere, galeazze, navi ed altri vascelli di battaglia si era preparata all'offesa di sì crudel tiranno, e che desiderava che la maestà del re sapesse che siccome poco innanzi il Turco non osservò il giuramento fatto all'ambasciatore di V. S., così non osserverebbe le promesse fatte all'ambasciatore di S. M., ed avrebbe cercato quanto prima pace colla S. V. per cominciare guerra con lui, come per molti esempi delli passati imperatori ottomani, S. A. poteva di ciò esser certa; e che ora in sì grande e quasi certa occasione di vittoria, la S. V. mi avea mandato per invitar il re suo padre a prender l'armi, essendosi mossi già li maggiori principi cristiani; e che solamente bastava che S. M. col potentissimo suo esercito si muovesse sia per riavere le città e castelli ingiustamente toltigli dalli passati signori ottomani, sì per la molta inclinazione che tutto il popolo dal fiume Eufrate fino alli suoi confini gli portava, come a re giusto et loro antico naturale signore. Il che non gli saria stato difficile, rispetto che molti bascià, baglierbei di Natolia, di Caramania e sangiacchi, erano andati all'impresa di Cipro, avendo lasciato il paese privo d'ogni presidio di gente; oltrecchè la S. V. insieme colli principi averia in modo tenuto oppresse in quelle parti le forze di esso Selino, che non saria mai stato ardito di abbandonar Costantinopoli per passare in Asia.
« Mirza, dopo di avermi con attenzione ascoltato, disse che era proprio dei signori ottomani il primo e secondo anno del loro imperio romper ogni promessa, dicendo esser benissimo istrutto della loro poca fede, e che avria data la lettera al re e fattogli sapere le cose da me intese, procurando di farmi avere udienza quanto prima, e più segretamente; perchè in tal negozio conosceva esser così