La Repubblica di Venezia e la Persia. Berchet Guglielmo
ben degno di re così grande, e tanto amato ed onorato dalla repubblica, e che sarebbe riposto in luogo degno, a perpetua memoria della Maestà Sua[92].
E nel giorno seguente ordinavasi che tutti i doni recati dal legato persiano fossero consegnati alla chiesa di S. Marco, commettendo a quei procuratori di far convertire le vesti in tante pianete, e di esporre il tappeto nei giorni solenni sullo sgabello del doge[93]. Ordini che furono puntualmente eseguiti[94]. Comandava inoltre il senato ai 6 di marzo [Documento XXXIV] ed ai 14 di agosto, che si spendessero duecento ducati in rinfrescamenti di Fethy bei, e lo si regalasse di alcune vesti di seta pel valore di altri ducati duecento; che a ciascun uomo del suo seguito si donasse una veste di panno scarlatto[95], e finalmente che si spendessero ducati mille trecento sessanta nei doni pel re della Persia, i quali furono: un bacile con ramino d'argento dorato a figure, ed uno simile di argento puro, un catino d'argento con oro e brocca simile, due fiaschi d'argento intagliati col vetro, un'armatura completa, due zacchi forniti l'uno verde in oro, l'altro rosso, e quattro archibugi lavorati in radice con perle e oro[96]. Inoltre il legato persiano fu favorito nei suoi acquisti[97], e gli fu consegnata una lettera ducale pel suo re, colla quale ringraziandolo della missione dell'ambasciatore, lo si assicurava, dell'ottima disposizione della repubblica verso la Persia, e del desiderio vivissimo di manifestarla al mondo, mediante veri effetti, e di aumentarla a beneficio del comune commercio [Documento XXXV].
E per tramandare la memoria di così splendida ambasceria, il senato commetteva a Gabriele Caliari di dipingere la presentazione degli oratori persiani, in una tela che ancora si ammira nella sala delle quattro porte del palazzo ducale, ed è una delle migliori sue opere[98].
L'arrivo di Fethy bei a Venezia, oltrecchè giovò a mantenere quella corrispondenza tra la Persia e la repubblica che tanto conveniva agli interessi politici e commerciali dei Veneziani; destando gelosie al gransignore, lo rese così disposto alla pace, che rinnovò ed ampliò gli antichi trattati colla repubblica[99].
L'oratore persiano, nel suo ritorno alla patria, trovò accesa la guerra fra il suo re e gl'Ottomani, sicchè arrivato nella Siria gli furono sequestrati tutti gli oggetti che portava seco, parte dei quali poterono essere posti in salvo dal console di Venezia, e parte in questa stessa città furono rimandati.
Laonde poco tempo dopo lo shàh Abbas, cui era impedito dall'esercito ottomano di spedire una formale legazione a Venezia, incaricava l'armeno Chieos di presentare una sua lettera al doge per annunciargli non solo la guerra che allora fervea, ed esprimergli il suo desiderio di unirsi ai principi cristiani ed in particolare alla repubblica; ma eziandio per chiedergli notizie dell'ambasciatore Fethy bei [Documento XXXVI]. E quando poi egli seppe che le merci ed i doni della veneta signoria erano presso il console della Soria, od a Venezia, qui spedì un altro suo messo, il chogia Seffer, che arrivava nel gennaio 1610.
Il console nella Soria Giovanni Francesco Sagredo, raccomandava questo oratore persiano al veneto senato, in contemplazione della potenza acquistata dallo shàh Abbas, la cui alleanza potea altamente giovare alla repubblica, e per corrispondere all'ottima inclinazione che quel re sempre avea addimostrata al nome ed agli interessi veneziani, per modo che alla sua corte qualunque ancorchè di bassa condizione fosse o si facesse credere veneziano, era accolto e trattato con tale famigliarità e cortesia da non potersi desiderare di più [Documento XXXVII].
A' 30 di gennaio 1610 il chogia Seffer con quattro persone di seguito, vestite tutte alla persiana, si presentò nel collegio, introdotto dal dragomanno Giacomo Nores; espose lo scopo della sua venuta, il quale era di attestare alla veneta signorìa il desiderio vivissimo del re di Persia di perseverare nell'ottima corrispondenza ed unione, che ab antiquo sussisteva fra i due Stati e di accrescerla maggiormente [Documento XXXVIII]; e presentando una lettera involta in due borse, una di raso, e l'altra di velluto, chiuse entro una scatola coperta di ricchissimo drappo, soggiunse: « che con quella il re pregava eziandio il serenissimo principe ad ordinare, che, al suo messo fossero consegnate le robe di Fethy bei, che erano ritornate a Venezia[100] ».
Letta dal dragomanno la lettera, il doge espresse i ringraziamenti della repubblica all'onorevole ufficio dello shàh di Persia, e promise di corrispondere al desiderio di lui.
Quindi il senato deliberava che fossero a chogia Seffer consegnati i chiesti oggetti [Documento XL] con un dono in danaro di ducati 200, ed in rinfrescamenti di ducati 100, e con una lettera ducale al re della Persia per risposta a quella recata dal suo oratore [Documento XLI].
Conchiusa poi la pace fra la Persia e la Turchia, pervennero a Venezia nell'anno 1613, accompagnati da una lettera di raccomandazione dello stesso Nasuf bashàh[101], primo visir a Costantinopoli, due inviati persiani, Alredin e Sassuar, per annunciare il felice evento della pace, ed attestare che il re della Persia: « nel suo puro et real animo, che a guisa del sole non riceve in sè nè macchia, nè menda di cattivi pensieri, desiderava di continuare nella solita amicizia ed unione colla signorìa di Venezia, avendo inteso con grande soddisfazione dell'animo suo la stima ed il conto che negli stati della repubblica si faceva del nome persiano, e bramava che si ristorasse la pratica ed il commercio che sussisteva prima della guerra, assicurando che i veneti mercanti sarebbero accolti con ogni favore nella Persia, nè mai molestati da alcuno o danneggiati, per quanto importa un minimo capello della testa [Documento XLII] ».
Questi oratori persiani furono onorevolmente accolti e favoriti. Recarono essi a Venezia 50 colli di seta e molti diamanti, ed esportarono merci preziose di vario genere che lo shàh aveva loro commesso di comperare, con un memoriale del quale sarà fatto cenno nella Parte seconda, siccome saggio della qualità delle merci che in quel tempo la Persia ricercava a Venezia.
Sassuar ritornò poi di nuovo a Venezia, quale oratore persiano, nel 1621, per migliorare i rapporti internazionali dei due stati. E presentatosi in senato al 1º febbraio 1621 insieme ad agì Aivas di Tauris [Documento XLIII], offrì una lettera dello shàh Abbas [Documento XLIV] con un dono di 4 tappeti, 25 pezze di giurini, e 25 di lizari d'India. Benedetto Tagliapietra consigliere anziano ricevette, in assenza del doge, l'oratore persiano, e ringraziatolo della lettera e del dono, lo assicurò che la sua raccomandazione sarebbe stata tenuta in gran conto, molto importando alla repubblica l'amicizia del suo re, ed il facile commercio colla Persia.
I preziosi drappi recati da Sassuar furono quindi consegnati ai procuratori de supra per essere usati nelle pubbliche cerimonie della chiesa di S. Marco[102] [Documento XLV].
Allorquando poi la repubblica veneta fu minacciata dell'impresa di Candia, per la cui difesa sacrificò e sangue e ricchezze, invano chiedendo agli Stati europei aiuto possente per sostenere in quell'isola l'antemurale della civiltà, non mancò di dirigersi eziandio alla Persia, colla speranza di trovare almeno da quella parte una importante diversione, che le lasciasse agio a difendere i proprii possedimenti.
Nell'anno 1645, il senato mandò all'ambasciatore veneto in Polonia Giovanni Tiepolo[103] una lettera pel re di Persia, incaricandolo di spedirla in quel regno con apposito legato, e di pregare il re di Polonia di unire anch'egli un suo oratore per lo interesse comune della cristianità, minacciata dalla prepotenza ottomana. E commetteva inoltre a Domenico Santi, che era diretto in Persia dal papa, dall'imperatore, dal re di Polonia