La Repubblica di Venezia e la Persia. Berchet Guglielmo

La Repubblica di Venezia e la Persia - Berchet Guglielmo


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href="#u8d44f64a-01c4-4f41-b6e1-23822b4a9f2f">Documento XLVI], di prendere la via della Siria e di recare una consimile lettera al re persiano, per eccitarlo a muovere dalla sua parte contro la Turchia.

      Le due lettere ducali allo shàh della Persia portavano le date 2 dicembre 1645 [Documento XLVII] e 17 luglio 1646 [Documento XLVIII].

      Ricordavano esse, come l'Ottomano avesse più volte portate le armi contro i di lui predecessori, per rendere più vasta e formidabile la sua potenza. Che politica tradizionale della Persia era di mirare all'indebolimento di lui, e che ora le si offeriva la opportunità, dacchè stavano le armi ottomane impegnate in una impresa che non avrebbe mancato di spingere tutti i principi di Europa a frenare le usurpazioni della Turchia; e che già la campagna era incominciata coi più lieti auspicii, avendo la veneta armata assalita e danneggiata la ottomana nello stretto.

      Il re di Polonia aderì alle istanze dell'ambasciatore veneziano, ed incaricò il nobile polacco Slich di recarsi in suo nome nella Persia, insieme al veneto legato padre Antonio di Fiandra domenicano, cui il Tiepolo avea consegnata la lettera ducale per lo shàh e le credenziali.

      L'ambasciata veneto-polacca partì il 2 ottobre 1646 da Varsavia, accompagnata da 25 gentiluomini polacchi, e per Mosca e Nishni-Novogorod giunse a Casan il 12 febbraio 1647, ove si riposò per tre mesi. Partita poi da Casan a' 3 di maggio per il Volga, dopo un mese di procellosa navigazione sul Caspio, approdò alle spiaggie persiane e si diresse ad Ispahan, ove giunse soltanto al 15 di settembre, pei disagi sofferti nel viaggio dall'ambasciatore polacco. Il quale appena arrivato in Ispahan ammalò gravemente per modo, che non potendo eseguire le commissioni del suo re, mandò a chiamare uno dei principali della corte persiana, e presentandogli il veneto legato, consegnò al padre Antonio le lettere e le credenziali sue proprie, dichiarando che quegli soddisferebbe alla ambasciata in nome del re di Polonia e della repubblica veneta. E pochi giorni dopo egli spirò, e fu sepolto con molto onore nella chiesa dei Carmelitani Scalzi.

      Introdotto il padre Antonio all'udienza del re il 27 di ottobre, offerse le lettere del re di Polonia e della repubblica, ed ebbe per risposta che sarebbesi con lieto animo ricambiata la loro amicizia. Invitato poi a stendere in lingua persiana i punti principali della sua domanda, egli li presentò; ma ottenne soltanto una vaga assicurazione che il re avrebbe assai volontieri cercato occasione di corrispondere efficacemente ai desiderii dei principi cristiani, ed una lettera in questo senso al doge di Venezia, affettuosissima, ma senza impegni [Documento XLIX].

      La Persia in fatti non era in grado di corrispondere: perocchè aveva in quel tempo mandato un esercito nel regno di Conducar, cogliendo occasione e dalle discordie che dopo la morte del Gran Mogol erano insorte fra i di lui figli, e dalla guerra tra la Porta e Venezia, per ricuperare quel regno al kan dei Tartari Olbek, che dal Gran Mogol ne era stato spogliato.

      Ritornato a Venezia, il padre Antonio si presentò in senato a' 28 di marzo 1649, e lesse una interessantissima e finora inedita relazione della sua ambasciata, distinta in tre parti, cioè:

      1º Il suo viaggio in Persia, la miglior via per andarvi, e le accoglienze e gli onori ricevuti quale ambasciatore cristiano;

      2º Quello che ha trattato col re di Persia;

      3º Quello che si poteva sperare dallo shàh in aiuto della repubblica; conchiudendo che terminata la guerra nel Conducar, potevasi ritenere che il giovine e valoroso re persiano avrebbe rivolto le sue armi contro i Turchi [Documento L].

      Il padre Antonio presentava inoltre una scrittura in data di Shangai 24 aprile 1648 dell'altro legato in Persia Domenico Santi [Documento LI].

      La relazione del Santi che pure trovasi inedita è stillata in lingua italiana frammista di alcuni termini castigliani, locchè farebbe credere che, quantunque egli si annunciasse suddito della repubblica, fosse o nativo di Spagna o avesse ivi gran tempo dimorato. Narra il Santi l'esito della sua missione nella Persia, conforme a quello del padre Antonio di Fiandra, e si estende nei più minuti particolari intorno al disastroso suo viaggio, alle grandi spese che dovette sostenere, ed alla quantità dei doni che fu obbligato di presentare al re ed ai ministri per ottenere benevolo ascolto.

      Senonchè peggiorando le condizioni dei Veneti nell'isola di Candia, la repubblica che aveva, si può dire, quasi invano chiesti sussidii ai principi della cristianità, tentò di nuovo dopo il 1660 di ricorrere alla Persia, dapprima con lettere dirette a quel re [Documento LII], quindi accogliendo la offerta segreta dell'arcivescovo armeno Aranchies che proponeva di trattare la lega coi Persiani [Documenti LIII e LIV], e finalmente inviando alla corte dello shàh l'arcivescovo di Nashirvan. Ma pur troppo, mentre duravano queste pratiche, il regno di Candia andò perduto.

      La repubblica di Venezia dovea anche in questa terza invasione ottomana resistere sola, e sacrificare generosamente il sangue dei suoi figli ed i propri tesori per difendere l'antemurale della civiltà. Dopo una gloriosa lotta di 25 anni, che rese immortale la fama del valore e della costanza dei Veneziani, il regno di Candia fu occupato dalle truppe ottomane, la croce lasciò il posto alla mezza luna.

      Conchiusa appena la pace colla Turchia, arrivò in Venezia una importante missione dalla Persia. La componevano due padri domenicani: Maria di S. Giovanni ed Antonio di S. Nazaro, incaricati dall'arcivescovo di Nashirvan di presentare al senato la relazione dei suoi negoziati colla Persia, e la risposta dello shàh agli inviti della repubblica [Documento LV]. Gli atti di questa missione, l'ultima che dalla Persia venisse a Venezia, chiaramente dimostrano le relazioni internazionali dei due stati, così rispetto alle comuni aspirazioni, come agli interessi del traffico ed alla tutela dei cristiani nell'Asia.

      Il 20 luglio 1673 i padri domenicani presentarono nel collegio la lettera dell'arcivescovo di Nashirvan [Documento LVI] e quella del re di Persia, esprimendo in idioma turco lo incarico avuto dallo shàh di augurare al serenissimo principe le maggiori prosperità, e di attestare la di lui stima ed osservanza alla repubblica[104].

      La lettera dell'arcivescovo esponeva: come dopo di aver corsi molti pericoli particolarmente in Erzerum dove fu accusato per spia, egli giunse in Ispahan, presentò le lettere ducali allo shàh che le accolse affettuosamente, ed a cui narrò colla maggior efficaccia possibile le condizioni della guerra di Candia. Il re della Persia ascoltò attentamente ogni cosa, di tutto chiese le più minute notizie e promise di dare pronta soddisfazione alle proposte della repubblica. Ma la nuova sopraggiunta della resa di Candia, dal re con sorpresa e dolore sentita, mandò a vuoto le incamminate trattative; ed il desiderio dello shàh di soddisfare alle richieste del veneto senato, dovette limitarsi a franchigie e protezioni accordate ai cristiani nella Persia, le quali sono attestate nella stessa lettera del monarca persiano [Documento LVII], nè poteansi sperare maggiori: perocchè egli avea dato ordine, che per riguardo alla veneta signorìa venissero i cristiani rispettati ed onorati, e godessero privilegi ed immunità in tutte le città e terre della Persia; ed anzi in qualsiasi luogo, dove si trovassero abitazioni dei cristiani, le immunità loro accordate dovessero estendersi a tutti gli altri abitanti di qualsivoglia condizione o setta si fossero. Assicurava inoltre il re della Persia, di essere disposto ad accogliere con prontezza e di dare immediata esecuzione a ciò che alla veneta signorìa sembrasse opportuno di proporgli, rispetto alle novità che potessero insorgere nei suoi rapporti coll'impero ottomano.

      Il dragomanno Fortis presentava quindi al senato una relazione di un colloquio secreto tenuto per ordine dei savii coi padri domenicani, i quali dissero che da lungo tempo il re persiano nutriva sentimento di vendetta contro gli Ottomani; e che se


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