L'undecimo comandamento. Anton Giulio Barrili

L'undecimo comandamento - Anton Giulio Barrili


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ma infine, i lumi ci vogliono, e il pianoforte richiede ogni settimana l'accordatore. Notate anche la cortesia del ministro, che ascolta le lagnanze del sottoprefetto intorno alla ristrettezza del quartierino e si dispone a concedergli l'uso di tutto il secondo piano, relegando gli uffici della sottoprefettura al primo, donde il ricevitore del registro dovrà sgomberare alla svelta. Un segreto c'è sotto, lo vedete anche voi, e certamente vorrete saperlo. Ma, vi prego, non istate a beccarvi il cervello; io stesso ve lo dirò a suo tempo, e mettete pure che ciò avverrà quanto prima.

      Tutti i rami della amministrazione erano rappresentati nella loro doppia essenza, mascolina e femminile, ai mercoledì del sottoprefetto di Castelnuovo. Quanto ai naturali del paese, sulle prime si erano tenuti un pochino in disparte. Le signore, in ispecie, non avvezze alle conversazioni e alle feste da ballo, temevano forse di sfigurare al paragone delle dame governative, che avevano viaggiato e conoscevano gli usi del mondo elegante. Ma a poco a poco la vergogna era sparita, e tutte quelle brave signore andavano alla sottoprefettura, maritate, zitelle e zitellone, che era un piacere a vederle. Si facevano quattro salti, mentre gli uomini sodi chiacchieravano di politica, di finanza e di amministrazione. Il maestro della banda cittadina, giovinotto di buona volontà e di alte speranze, suonava passabilmente il cembalo, dedicava polke e mazurke di sua composizione alle signorine di Castelnuovo, e qualche volta gli riusciva di farle stampare a Torino, o a Milano. Tutto ciò metteva un pizzico di sale nella vita, per il passato così insipida, di Castelnuovo Bedonia; gli conferiva un'aria di capitale, e sarei per dire di piccola Parigi.

      C'era un guaio, nei mercoledì della sottoprefettura. Tanto è vero che non c'è niente di perfetto in questo basso mondo. I giovanotti non abbondavano a Castelnuovo Bedonia. Ma per compenso ballavano gli ufficiali del governo, che avevano quasi tutti la leggerezza voluta da questo nobile esercizio ginnastico. Di tanto in tanto capitava qualche ospite nuovo; ora un ispettore, mandato dal governo per rivedere le bucce ad un comune; ora un ufficiale dei carabinieri, che veniva a dare un'occhiatina alla caserma di Castelnuovo; ora uno studente in vacanze; ora un curioso giramondo, che amava le vie meno frequentate. La specie di questi fannulloni emeriti non si è ancora perduta; anzi pare che tenda ad accrescersi, dopo l'invenzione dell'alpinismo. E a proposito di alpinisti, ne erano capitati dodici in una volta, dal capoluogo della provincia, per far l'ascensione del monte Acuto, i cui mille centotrentadue metri sul livello del mare non meritavano forse che si scomodassero per lui tante brave persone.

      Piuttosto, era da desiderare che andassero a visitarlo i geologi e gli studiosi di archeologia preistorica; gli uni per le belle concrezioni calcaree, pei quarzi e per le tracce di minerali che presentava la roccia; gli altri per le caverne ossifere che si aprivano nel fianco della montagna. Di questi ultimi, voglio dire degli archeologi, uno solo era capitato a Castelnuovo, e fortunatamente non mostrava desiderio di andarsene. Non era uno scienziato di professione, ma un semplice dilettante, e per giunta non aveva ancora stampato nessuna memoria sull'Homo diluvii testis. Ma, non dubitate, se ancora non l'aveva stampata, nè scritta, minacciava di voler fare una cosa e l'altra al più presto. L'epoca neolitica e l'archeolitica erano il fatto suo, e le caverne di monte Acuto gliene davano saggi stupendi, in cuspidi di frecce, asce e raschiatoi di selce, amuleti di serpentina e di giadeite, cocci, depositi di ceneri e di ossa carbonizzate, ornamenti di conchiglie, grumi di terra d'ocra e via discorrendo. Gli avanzi dei banchetti attiravano particolarmente la sua attenzione. Studiava la forma delle ossa, delle mascelle, dei denti e delle corna, per accertare quali specie di cervi, di cani, e d'altri animali più prossimi alla domesticità, vivessero dieci e quindicimil'anni fa in compagnia dell'uomo, su per le forre di monte Acuto. Con l'ardimento della fantasia, andava anche più oltre. Non contento di aver trovato l'ursus spelaeus, che accennava già ad una bella antichità, sperava di trovare anche l'elephas primigenius, che è come a dire il babbo degli elefanti. Notate, che si sarebbe fatto onore, con la scoperta di un elefante, e in una parte d'Italia da cui non era passato il re Pirro, l'unico che avrebbe potuto lasciarcene qualcheduno, per trarre in inganno gli scienziati futuri.

      Così sapiente come lo vedete, non era punto noioso. Il duca di Francavilla era prima di tutto un bel giovinotto, simpatico, spiritoso, elegante, alla mano, un principe democratico, un felicissimo impasto di gran signore e di buon figliuolo. Ballava, inoltre, come…. In verità, non saprei dirvi come ballasse. Le signore di Castelnuovo affermavano che ballava come un angelo; ma è poi vero che gli angeli ballino? Comunque, ballava bene, dettava quadriglie stupende, architettava sciarrade in azione. I suoi talenti di società non si contavano sulle dita. Infine, sappiate questa: fu lui che introdusse lo skating ring nelle usanze di Castelnuovo. Per un dilettante d'archeologia preistorica, non c'era male; che ne dite?

      Immaginate dunque come fossero allegri, dopo l'arrivo del duca di Francavilla, i mercoledì della sottoprefettura di Castelnuovo Bedonia. Si ballava, si faceva musica, si giuocava di galanteria, ci si divertiva a quel dio. La sottoprefettessa si faceva un onore immortale; il sottoprefetto gongolava dal canto suo e prevedeva non lontano il gran giorno in cui tutto il circondario di Castelnuovo si mostrasse ligio alla politica del governo, o meglio, del partito che siedeva al governo.

      Perchè a questo egli lavorava, con altezza di concetto non intieramente richiesta dalla sua condizione secondaria. Volete sentirlo? coglierlo sul fatto, mentre egli sfodera tutti i più sottili accorgimenti della sua politica e tutti i più riposti artifizi della sua eloquenza?

      Il cavalier Tiraquelli aveva condotto fuor della sala uno de' suoi convitati, col pretesto abbastanza ragionevole di fumare un sigaro. Passeggiavano ambedue sotto un loggiato che guardava nel cortile, collegando il quartierino del sottoprefetto con gli uffizi della sottoprefettura.

      —Glielo assicuro io,—andava dicendo il rappresentante dell'autorità al suo interlocutore, uomo sulla sessantina, piccolo di statura, e cuor contento per dieci, come dimostravano le sue guance paffute,—glielo assicuro io, signor Prospero, Ella sarà cavaliere. Ma che dico, cavaliere? commendatore di schianto. Se la cosa si fa, come il ministro desidera, Lei non può dubitarne un minuto; abbia il collare per giunto a destinazione. Gliene impegno la parola mia, che è quella del governo;—aggiunse il sottoprefetto, con accento e gesto ugualmente solenni.

      —Per me,—rispose quell'altro, stringendosi nelle spalle,—vorrei che fosse già combinata ogni cosa. Ma Ella capirà, signor cavaliere….

      —Che cosa? che difficoltà può incontrare il signor Prospero in una faccenda di questo genere, e con l'autorità domestica di cui è, la Dio grazia, investito?

      —Eh, più che Ella non pensi;—ripigliò il signor Prospero.—Se quella birichina si mettesse in testa di non volerlo, che ci potrei far io?

      —Niente le dice che ci sia questo pericolo;—osservò gravemente il cavalier Tiraquelli.—Perchè la signorina rifiutasse, bisognerebbe che ci fosse un altro alle viste. Mi spiego? Ora, quest'altro non c'è; almeno, a noi non consta. Lei da una parte, come zio e tutore, io dall'altra come pubblico ufficiale che ha l'obbligo di sapere ogni cosa, non abbiamo notizie, nè indizii, che ci conducano a sospettare nulla di simile.

      —È vero signor cavaliere, è vero. Ma, se debbo parlare alla libera, non è il cuore della mia nepote che mi dà pensiero, è la testa. Non ama nessuno, un po' perchè non ha ancora trovato quel tale che dovrebbe andarle a genio, ma molto perchè vuole la sua libertà, per fare a modo suo, contentare i suoi capriccetti….

      —Tutta roba che passerà.

      —Speriamolo;—disse il signor Prospero, accompagnando la frase con un sospiro tanto fatto;—ma l'avverto che è molto bizzarra. Si figuri che uscita appena di collegio, voleva andare al polo!

      —Al polo artico?

      —Artico, od antartico, non so; ma il fatto sta che m'è scappata fuori con questa idea, pescata non so dove.

      —Forse in un trattato di geografia;—notò giudiziosamente il sottoprefetto.

      —Può darsi. Ma che diamine gli salta in testa alle maestre, d'insegnare la geografia alle ragazze? A che cosa può servire la geografia?—

      Il sottoprefetto lo fermò con un gesto.

      —Signor Prospero,—gli disse,—la geografia è un


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