L'undecimo comandamento. Anton Giulio Barrili

L'undecimo comandamento - Anton Giulio Barrili


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grazia davanti a loro, bisogna essere venerabili.—

      La signora Morselli che voleva essere annoverata fra le giovani, arricciò il naso, peggio che non avesse fatto da prima.

      —Ma in che modo è andato a battere lassù, signor duca?—ripigliò il sottoprefetto, lasciando a mezzo il suo dialogo con la signora Morselli.

      —Oh, in un modo naturalissimo, e quasi senza avvedermene. M'ero alzato stamane per tempo, e andavo al mio lavoro prediletto nella caverna della Ripa, quando mi venne udito dalla costa di rimpetto il rumore di alcuni sassi che si staccavano dall'alto e sdrucciolavano giù per la frana. Alzai gli occhi e guardai. Credetti alle prime di riconoscere un cane; ma la sua andatura guardinga per un sentiero così strano, mi pose in sospetto.

      —Un lupo, forse?—disse la signora Morselli, fingendo un brivido di leggiadra paura.

      —No, una volpe. Non istetti molto ad accertarmene, osservando la sua coda alta e vistosa. Avevo il mio fucile ad armacollo; ma la distanza era troppo grande e non mi fidai di lasciarle andare una botta. Un contadinello che veniva dietro a me, con un carico sulle spalle, mi disse:—"Badate, se volete prenderla, io posso insegnarvi il suo covo, che è là."—E mi additava una balza, sormontata da cinque o sei pini bistorti, a forse cinquecento metri dal punto ov'era la volpe.—"Vuoi tu accompagnarmi?"—gli dissi.—"Per ora, fino a mezza strada,—mi rispose;—ma se volete aspettarmi, tanto che io consegni questo carico alla badìa, vi accompagnerò fino alla tana."—Non sapevo che si trovasse una badìa da quelle parti, e domandai che frati ci fossero.—"Non son frati,—mi disse il contadino,—quantunque vestano da frati; il parroco dice che son lupi travestiti da pastori; la gente dice che son matti."—"E tu che cosa ne dici?"—"Che potranno benissimo esser matti, ma che di sicuro non sono lupi, e che non vanno vestiti da pastori, perchè hanno la tonaca, proprio alla maniera dei frati."—La cosa mi parve singolare. Lasciai correre la volpe e interrogai il contadino, sperando di cavarne qualche notizia intorno a quel convento di frati che non erano frati, di lupi che non erano lupi, e di matti che potevano esser savi, più di tanti e tanti che ne hanno la riputazione. Ma il contadino mi aveva detto quasi tutto quel che sapeva. Gli abitatori del convento non li conosceva; soltanto ne aveva veduti due o tre da lontano, e non era in relazione che col frate converso. Egli non mi sapeva descriver nulla, neanche l'abito di quei monaci, se avesse qualche particolarità notevole, che lo avvicinasse ad un ordine, o lo distinguesse da un altro. Ed io, curioso come…. un uomo, risolsi di accompagnarlo fino alla porta del convento. Tanto, a sentir lui, era tutta strada per andare verso i pini, dove ci aveva il suo covo la volpe. Mi allontanavo invece dalla mia caverna ossifera; ma questa mi avrebbe sempre aspettato. Eccomi dunque, signore e signori, in viaggio per il convento dei matti. Si passa un torrentello, si entra in una forra, si scende ancora, fino ad un ponte massiccio, d'un arco solo, che mette ad una torre quadrata con le sue feritoie in basso, le sue caditoie in alto e i merli sul colmo, come ogni torre che si rispetta.

      —Dio, come descrive bene!—mormorò la signora Morselli.—Par di vederla.

      La modestia del duca di Francavilla fece le viste di non aver udita la mezza voce del soprano sfogato.

      —Di là dal ponte,—diss'egli, continuando,—è una macchia fitta di frassini e di cerri che nasconde il sentiero. Che pace, là dentro! Solo a vedere quella conca di verde cupo, ho intesa la vita monastica, e per cinque minuti ho invidiati i santi uomini che vissero là dentro, ignorati dal mondo.

      —Fino alla soppressione delle fraterie;—notò il sottoprefetto.—L'eremo di San Bruno è stato venduto dieci anni fa.

      Le signore mostravano desiderio di udire la continuazione del racconto. E il duca proseguì:

      —Entrato sotto il portico in compagnia del contadino, vidi il frate converso, un giovialone con tre giri di pappagorgia, tondo come una botte, ma giovane ancora, e con due occhietti neri che non stavano mai fermi. Voleva parere arcigno, ma non gli riuscì.—"Che cosa vuole, questo signore?" chiese egli al contadino.—"È un cacciatore, e domanda di riposarsi un poco."—"E vorrà un bicchier di vino, m'immagino."—"Padre,—risposi io,—l'ora è troppo mattutina."—"Che! mattina o sera, è sempre ora di bere."—"Concedo, ma a patto che si sia mangiato un boccone."—Il converso mi guardò con aria compassionevole.—"Non è l'opinione di tutti i filosofi;—rispose;—Anassagora pretende che si debba ber vino soltanto post pastum; Zenone invece sostiene che potum semper juvabit."—Volli mettermi anch'io all'altezza di quella erudizione burlesca e replicai:—"Ambedue s'accordano per combattere la dottrina di Talete."—"Ah sì?—ribattè egli con accento tra il burbero e il rabbonito.—E che cosa dice Talete?"—"Aqua optima rerum."—"Per risciacquarsi il viso una volta alla settimana, non nego."—"Padre, io m'inchino alla sua equanimità; il mondo fu più severo di Lei, e condannò il sistema di Talete all'oblìo." Queste parole mi fruttarono un sorriso del frate converso, il quale mi disse:—"Venga al convento e farà colazione."—In ogni altra circostanza avrei ringraziato, rifiutando; ma quella fortunata occasione di visitare un convento di matti non era da lasciarsi sfuggire, e ringraziai, accettando. Signor ricevitore, non avrebbe fatto lo stesso? Intanto, guardavo il mio uomo, così tondo e così vispo, con quella sua tonaca color tabacco, tutta strappi e frittelle. L'illusione era perfetta; avevo davanti un vero frate torzone. Sbrigatosi dal contadino e preso l'involto sulle braccia, il converso mi accennò di seguirlo. La strada era più grande che non l'avessi creduta da prima, vedendo quella macchia così fitta di cerri e di frassini. Il mio strano compagno mi domandò se fossi del paese, ed io notai l'aria di contentezza che si dipinse sulla sua faccia rubiconda, appena gli ebbi detto che ero forestiero, che mi trovavo a Castelnuovo per ragione di studio. "Il priore è gentilissimo,—mi disse,—e sarebbe anche ospitale, se le visite non fossero quasi sempre di curiosi, che vogliono sapere chi siamo, e perchè viviamo qui ritirati."—"Non vorrei essere importuno"—mi affrettai a rispondere.—"No, non ci pensi neanche;—replicò il converso!—Lei è uno studioso, dunque non è un curioso."—Mi parve che la distinzione fosse molto arbitraria, ma lasciai correre, pensando che lo studioso mascherava abbastanza bene il curioso e che sarei potuto giungere a quel benedetto convento. La strada costeggiava un rigagnolo, ma a poco a poco si alzava sul fianco della collina. Qua e là, a giuste distanze, sorgevano certi tabernacoli, che rispondevano alle stazioni della Via crucis. Dalle vette circostanti si vedevano spuntare i tetti dei romitorii. Finalmente, svoltato un angolo tra due poggi, mi si parò davanti agli occhi una valle, con qualche segno di coltivazione, e un grosso edifizio nel mezzo.

      —Il convento di San Bruno:—disse il sottoprefetto, approfittando di una pausa del narratore.—È stato venduto per ottomila lire, e un solo taglio d'alberi ne ha fruttate cento cinquantamila.

      —Ai frati nuovi?

      —No, a certi speculatori che avevano comperato l'eremo e poi lo hanno rivenduto ai frati nuovi, ai matti, come li chiamano in paese.

      —Son matti davvero!—gridò la signora Morselli.—Odiare le donne! Ma si può dar di peggio?

      —E quanti sono?—chiese Adele Ruzzani, a cui piacevano poco tutte quelle interruzioni.

      —Nove, per ora, ma se ne aspettano cinque.

      —Graziosi, quei novizi!—esclamò il sottoprefetto.

      —Avanti, coi nemici delle donne!—ripigliò la signora Morselli.—E

       Lei, cavaliere, non li obbliga a smettere?

      —Signora, mi dica lei come si potrebbe farlo. Sono in regola con tutte le leggi dello stato. Non sono mica una famiglia di monaci all'antica; sono una brigata d'amici che vivono in comune, e non domandano d'essere riconosciuti come ente morale.

      —Non ci mancherebbe altro! un ente morale, questo covo di celibi!

      —Covo di celibi! Ben trovato! Come a dire un covo di bricconi;—gridò il duca di Francavilla, dando la sua occhiata in giro, per comprenderci anche la signorina Adele, senza aver aria di far preferenze:

      —Bisogna disfare il covo!—ripicchiò la signora Morselli, facendo di buona voglia la sua parte di mamma.—Signor cavaliere pensiamoci.

      —Eh,


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