L'undecimo comandamento. Anton Giulio Barrili

L'undecimo comandamento - Anton Giulio Barrili


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ad ogni tratto il demonio che assumeva tutte le forme de' suoi desiderii soffocati e delle sue ambizioni represse. Santa Teresa sofferse indicibili tormenti, rimpianse più volte il suo voto, e l'ardente misticismo della sua vita e le cagioni della sua morte provarono qual grande sacrificio avesse fatto, e certamente superiore alle sue forze. Non è da fidarsi della prima vocazione. Perciò, la società moderna fa bene a sopprimere, in quel modo che può, tutti gli ordini monastici, fondati sulla indissolubilità d'un voto pronunziato prima del tempo. La seconda vocazione è vera, perchè essa càpita all'uomo esperto nelle battaglie della vita, ed egli vi si abbandona con piena cognizione di causa. Non mi dicano male di questa vocazione e non muovano guerra a' suoi legittimi affetti; lascino a tutti i cuori feriti, a tutte le anime deluse, il loro rifugio nella solitudine, il loro conforto nella pace di un fraterno ritrovo."—"Come è vero!" gridai. La mia esclamazione gli piacque, poichè egli continuò, infervorandosi:—"Voi dunque lo vedete, o signore, ci siamo raccolti in parecchi, tutti colpiti dai medesimi disinganni. Eravamo tre, da principio, come la prima compagnia di san Bruno, e ci eravamo affratellati nei nostri dolori. Non già i dolori dei vent'anni, che son passeggeri come i nembi di primavera; bensì i dolori dei trenta, che hanno una radice più profonda e si nutrono nell'amara esperienza del mondo."—"Scusate,—interruppi,—voi qui parlate dei dolori che reca all'uomo un affetto infelice; ma l'uomo non vive soltanto per l'amore; c'è l'ambizione, potente diversivo; c'è il desiderio di esser utile al suo simile. La politica, per esempio…"—Non mi lasciò finire. E per quanto io m'immagini di far dispiacere al nostro ottimo signor sottoprefetto….

      —Dica pure, dica pure!—rispose il cavalier Tiraquelli, a cui era dedicata quella sospensione rettorica.

      —Sì,—ripigliò il duca di Francavilla,—a giudizio del mio interlocutore la politica e il desiderio di adoperarsi a pro' del suo simile, sono altrettante afflizioni di spirito.—"È vero,—mi rispose,—ad una certa età l'uomo incomincia a sentire questi filantropici stimoli, d'esser consigliere comunale, deputato, amministratore d'opere pie, membro d'un consiglio agrario, capitano della guardia nazionale…."

      —Signor Prospero,—disse il sottoprefetto, interrompendo, non senza un perchè, il duca di Francavilla,—questa è per noi.

      —Anzi, tutta per me;—replicò il signor Prospero.—Ma io non me ne lagno. Continui, signor duca, continui.—

      Il duca di Francavilla rimase a tutta prima un po' sconcertato; ma intese benissimo che il sottoprefetto voleva offrirgli un appiglio a correggere con le sue note il discorso del priore di San Bruno.

      —Non son io che parlo, è il priore;—disse egli;—relata refero, e ambasciatore non porta pena. Non è vero, signor Gentili?

      —Gliel ho già detto; continui. Capitano della guardia nazionale lo ero così poco, che il giudizio di questo priore dei matti non potrebbe neanche risguardarmi. Del resto, io non sono un ambizioso pentito,—soggiunse con amabile ipocrisia il signor Prospero,—e senza mestieri di farmi frate.

      —Torno dunque con animo tranquillo al priore di San Bruno;—ripigliò il duca di Francavilla.—"Appunto nella politica, diceva egli, toccano all'uomo le delusioni peggiori. Che cos'è la politica, e in genere la passione dell'uomo per la cosa pubblica? Per gli uni è soddisfazione di vanità personale, o giuoco d'interesse; per gli altri uno sfogo d'amor patrio, sentimento nobilissimo tra tutti. Lascio i primi, che non meritano neanche la nostra indignazione, e bado solamente ai secondi. Che conforto è il loro? Che onesta soddisfazione derivano dal tempo e dall'ingegno che sprecano e dalle amarezze che ingoiano? La persuasione di aver fatto opera inutile, oltre che sospetta. E allora vi domando io, con che animo consigliare ad un galantuomo di star saldo nel suo ufficio di palo, che non arresta nulla, e sarà egli stesso travolto? Avete osservata mai,—soggiunse il priore,—la corrente d'un fiume, in un giorno di piena? Rami, tronchi d'alberi, quanto è caduto sotto il gorgo invasore, va via rapidamente a fior d'acqua. Un ramo, un fuscello, quel che volete, lentamente si allontana dalla via diritta. Un vortice ha turbato il suo corso, un fiotto lo ha mandato fuori di strada. E quel ramo, quel fuscello, tentenna un istante, indi a mano a mano si scosta. Sono molti con esso, nella corrente del fiume; parecchi, come attratti da una forza irresistibile, tornano al mezzo, per essere travolti dall'onda; altri se ne allontanano sempre più, e riescono ad afferrare il punto in cui l'acqua, risospinta dalla piena, si ristagna, offrendo a quei rami, a quei fuscellini, un rifugio, un asilo. Io ho sempre pensato che quei fuscellini possiedano un'anima, la coscienza e la volontà di non essere travolti dalla corrente."—"Scusate,—interruppi,—ma l'acqua stagnante è limacciosa, solo la corrente è limpida."—"Volete dire che il mio paragone non corre?—ripigliò il priore, sorridendo.—Sia pure; rivoltatelo, fate che il torbido sia nel mezzo della corrente e il limpido sui lati. Oppure, non vedete nel paragone che il tumulto e la calma."—

      —Caspiterina, che sfarzo di ragionamento, per dirle che hanno seguito il rumores fuge di Catone e che odiano il mondo!—esclamò il ricevitore del registro.

      —No, mio signore;—rispose il duca di Francavilla;—non odiano il mondo, a rigore di termini. Anche su questo capitolo, come su quello delle donne, ci hanno le loro idee capricciose.—"Il mondo non è brutto,—mi diceva per l'appunto il priore;—il crederlo tale è un errore di coloro che hanno già la mania suicida nel sangue. Il mondo è quello che è, un complesso di bene e di male, con sovrabbondanza di male o di bene, secondo gli umori e la condizione di chi giudica. In ogni sua parte, il mondo può offrire qualche allegrezza, o qualche consolazione, come può offrirne la vita, in ogni classe sociale. L'uomo di senno, in qualunque condizione egli sia, a qualunque classe appartenga, misura il pro e il contro della sua partecipazione, non già con gli occhi dell'egoista, che bada a sè, ma con quelli del generoso, che vuol fare tutto ciò che è utile altrui. E lo fa, all'occorrenza, non badando a speranze di premio, nè guastandosi il sangue, se le trova fallaci; lo fa, sopratutto, perchè giova al suo simile, e solamente nel caso in cui egli è persuaso di giovare. Tra tutte le fatiche una sola è grave, l'inutile. E l'uomo, governandosi in quella guisa, senza sdegno, senza debolezze, senza vani rimpianti, cerca di mettere al sicuro la sua parte di felicità. Non vedete Cincinnato, che coltiva i suoi campi, e prima e dopo i ripetuti onori del consolato, della dittatura e dello interregno? Scipione Africano è inescusabile davvero, perchè va troppo tardi a digerire nella quiete di Literno gli amari bocconi che gli hanno fatto inghiottire i suoi concittadini. Se ci fosse andato prima, non lo avrebbero trovato superbo, nè arrogante, e non gli avrebbero dato del ladro, o poco meno, come fecero, con molto accanimento, in pubblica assemblea; ed egli, educando fiori in riva al suo lago, esule volontario e benevolo, non sarebbe morto arrabbiato."—Così parlò, signore mie, il priore di San Bruno, con molta bontà e senza quel tono cattedratico, che io, compendiando le sue parole, ho dovuto dare al discorso.

      —Confessi, signor duca,—osservò la sottoprefetessa,—ch'Ella è innamorato del discorso ed anche dell'oratore.

      —Sì, non lo nego, ho trovato del buono nell'uno e nell'altro. E poi, quella cortese accoglienza del refettorio, mi ha messo di buon umore, mi ha fatto parer grazioso, tollerabile, anche quel branco di matti.

      —Saluteremo dunque un nuovo frate di San Bruno?—domandò la signora

       Morselli.

      —Se parla per me, non credo;—rispose il duca.—Ho ben altre idee per il capo!

      —E ben altri uffici l'aspettano nel mondo;—aggiunse gravemente il sottoprefetto, dando un'occhiata al signor Prospero, commendatore di là da venire.

      —Non ho ambizione,—rispose modestamente il duca;—ma siccome il mondo non mi ha fatto nulla, e non ho ragione di fuggire il bel sesso, che mi è tanto cortese della sua attenzione in questo momento, io non mi farò frate, lo giuro. Dico soltanto che anche lassù, per qualche settimana, ci si potrebbe vivere. È intenzione di quei frati di avere nel loro convento ogni cosa necessaria, ed anche molte delle superflue, che pure aiutano tanto ad abbellire la vita e a coltivare lo spirito. A farla breve, si foggiano un piccolo mondo nel grande, e ci si chiudono dentro.

      —E dal grande,—chiese il sottoprefetto, col suo solito acume,—non filtrerà nulla di gramo nel piccolo?

      —Sostengono


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