L'undecimo comandamento. Anton Giulio Barrili

L'undecimo comandamento - Anton Giulio Barrili


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      —Che non si è mai radunata.

      —Non è colpa sua, signor Prospero, ma dei passati ministeri, che non hanno pensato mai a rialzare il prestigio di questa istituzione in Castelnuovo Bedonia. Per me, ufficiale del governo, Ella è stato capitano per oltre dieci anni; ha dunque diritto alla croce di cavaliere. E non basta.

      —Non basta?—disse il signor Prospero, con accento perplesso, tra il dubbio e la speranza.

      —Non basta,—ribattè il sottoprefetto,—Ella ha parlato nel comizio agrario di Collemezzo.

      —Dio buono—esclamò con aria modesta il signor Prospero.—Per dire che avrei piantato grano, scambio di sorgo, e patate, scambio di barbabietole.

      —Egregiamente! Con ciò Ella ha dimostrata la sodezza del suo raziocinio. Non tutto è da cangiare nel mondo;—si degnò di riconoscere il sottoprefetto;—e ci sono delle vecchie usanze a cui bisogna attenersi, perchè esse hanno con sè il rincalzo dell'esperienza. Se i nostri padri, da tempo immemorabile, hanno creduto di mantenersi fedeli alla coltivazione della patata…. Cioè, no da tempo immemorabile, perchè la patata è relativamente moderna…. Ma insomma, signor Prospero, l'esperienza insegna, e Lei rappresenta l'esperienza, che bisogna star fermi nella conservazione dei vecchi sistemi. Un partito conservatore, saviamente conservatore, è anche necessario come forza d'equilibrio, in uno stato bene congegnato. Tutto è equilibrio, in politica come in meccanica. Ed io non tralascerò di dirlo in Senato.

      —Come?—gridò il signor Prospero.—In Senato? E quando?

      —Quando ci andrò;—rispose il sottoprefetto, abbassando le ali della sua ambizione.—Ma torniamo a noi. Ella è un agronomo, signor Prospero. L'Italia ha bisogno di agronomi. Non lo ha letto, Virgilio? Salve magna parens frugum Saturnia tellus. Eccole un bel verso, da mettere per epigrafe sopra un opuscolo, che io le consiglio di scrivere.—

      L'idea dell'opuscolo agrario, ad onta dell'epigrafe, nuova di zecca, che gli suggeriva il sottoprefetto, sorrise mediocremente al signor Prospero degnissimo.

      —In fede mia,—diss'egli,—non saprei da che parte rifarmi.

      —Buona volontà, amico mio, e il resto viene da sè. Leggete qualche libro d'agronomia; servirà per risvegliarvi le idee. Io ho avuto molto profitto dai Segreti di Don Rebo, dell'Ottavi; un libro aureo, che m'ha aiutato ad improvvisare quattro discorsi. Capirà, signor Prospero, che il mio campo non è l'agronomia. Io sono anzi tutto un uomo politico. Legga l'Ottavi, è una miniera; metta insieme quattro principii di scienza, per far da preambolo ai consigli della sua pratica, e vedrà. Come capitano della guardia nazionale aveva diritto alla croce di cavaliere; come agronomo l'avrà a quella d'ufficiale.

      —Il commendatore è ancora lontano;—osservò il signor Prospero, ridendo.

      —Tutt'altro; facciamo questo matrimonio, che tanto premerebbe al ministro per le ragioni che ho avuto l'onore di esporle, e avrà subito il collare.

      —Capisco, capisco, sarebbe un premio per un fortunato incrociamento di razze.

      —Ella ha molto spirito, commendatore; le faccio i miei complimenti.

      —Oh, con Lei, signor prefetto, chi non ne avrebbe?

      —Dunque, da bravo, abbia anche un poco della mia premura, e mi conduca questa faccenda a buon porto.

      —Farò quel che potrò, ne stia certo. Se l'Italia ha da avere un benefizio da questo matrimonio, non sarò io che darò indietro. Ma badi, signor prefetto, io non sono che un tutore e uno zio. Posso consigliare, aiutare, spalleggiare; ma bisogna che il giovinotto, dal canto suo….

      —Farà il suo dovere, non dubiti. Lo faremo tutti, il nostro dovere, perchè sia contento il ministro e incarnato il suo profondo disegno. Lo metteremo in evidenza, il duca di Francavilla, lo faremo brillare. E frattanto, incominciamo dal ritornare nella sala. Il sigaro è finito e non si deve sospettare che abbiamo a ragionare di troppe cose fra noi.

      —Dice bene; andiamo.—

      E il signor Prospero Gentili, zio materno e tutore della signorina Adele Ruzzani, fanciulla romantica come vi ho detto, e milionaria, come avrete capito, gittò il suo mozzicone dal loggiato nel sottoposto cortile; indi seguì il cavaliere Tiraquelli, sottoprefetto di Castelnuovo Bedonia, nella sala di ricevimento.

      I soliti quattro salti non erano ancora incominciati, sebbene il maestro di musica avesse già tentate le dame e i cavalieri con gli accordi d'un valzer, e i ballerini più feroci della sottoprefettura fossero tutti presenti. Ma prima di dirvi il perchè di quell'indugio coreografico, credo necessario di darvi un'idea della sala. Non sarà un quadro, ma un semplice abbozzo.

      Accanto alla sottoprefettessa, sul canapè di damasco rosso, che era la cattedra pontificale, il sancta sanctorum, e tutto quel che vorrete di più solenne là dentro, sedeva la contessa Gamberini, signora bofficiona e rosea, come contrapposto e compenso all'altra risecchita e giallognola. Tre quattro dame, delle più venerabili di Castelnuovo, sedevano nelle poltrone, vicino al canapè, facendo circolo alle due maggiori divinità. Altrettanti medaglioni mascolini si accompagnavano ai femminili. Erano i notabili di Castelnuovo, il sindaco, l'assessore anziano, il notaio, un magistrato a riposo, e via discorrendo. Pareva di vedere un lettisternio di Numi, sul fare di quelli che gli antichi romani collocavano in un luogo rilevato del triclinio, per avere gli Dei testimoni ed auspici ai loro banchetti. Se l'immagine pagana non vi garba, mettete che il canapè fosse un altare cristiano. Il signor sottoprefetto ne era il sacerdote; ed ora appoggiato ad un bracciuolo, in cornu epistolae, dov'era sua moglie, ora all'altro, in cornu evangelii, dov'era la contessa Gamberini, celebrava i divini uffizi, ministrava il verbo governativo ai fedeli.

      Più in là, accanto ad una mensola enorme, su cui torreggiava uno specchio antico, dalla cornice intagliata e dorata, si raccoglieva un crocchio più allegro, sebbene le teste grigie vi abbondassero. Il ricevitore del registro, ottima persona, amante della burletta, intratteneva i suoi colleghi delle ipoteche, delle dogane e dei pesi e misure, con qualche storiella di gioventù e con qualche accenno discreto alla divina bottiglia. Quelli erano gli uomini che attendevano tutto il santo giorno al loro ministero, ma non amavano portarne il ricordo con sè, dopo la chiusura dell'uffizio.

      Vicino al pianoforte, dall'altra parte della sala, era un altro crocchio, più numeroso, quello dei giovani. Lo dominava con tutta la sua autorità quadragenaria la signora Morselli, donna stimabilissima, che aveva un solo difetto, quello di credersi un soprano sfogato. Lo temperava, per altro, non cantando mai se non pregata e ripregata. E la pregavano, e la ripregavano sempre, non foss'altro, per sentimento di gratitudine; poichè la sua presenza dava a tutti i giovani dei due sessi un ottimo pretesto per rimanere lontani dal gruppo delle persone gravi, che pontificavano intorno al canapè di damasco rosso. In quel crocchio di giovani, amanti della musica, si degnava di stare più a lungo che altrove la contessina Berta Gamberini. Laggiù si vedevano i pochi zerbinotti di Castelnuovo; farfallini più o meno eleganti, che aliavano dal pianoforte ad una tavola rotonda, su cui, intorno ad una lampada Carcel, piantata in un vaso che voleva parere della Cina, erano disposti gli albi, le strenne, i giornali, ed altre curiosità, che ottenevano di tanto in tanto uno sguardo della signorina Adele Ruzzani.

      Berta Gamberini e Adele Ruzzani erano i due poli di quel piccolo mondo.

      I due poli magnetici, intendiamoci, e non i geografici, che non mi servirebbero di paragone, così freddi come sono, e circondati di ghiacci millenarii, mentre qui s'ha a descrivere la gioventù che piace e la bellezza che rimescola il sangue.

      Berta, a dir vero, non era una bellezza da far ammattire la gente. Inoltre, appariva troppo grave, troppo compassata; e questo, se conferiva alla nobiltà dell'aspetto, nuoceva all'espressione. Ci si vedeva l'alterigia di cinque generazioni di Gamberini, ci si sentiva la degnazione, anche quando, pregata dalle amiche, metteva le mani sulla tastiera del pianoforte. Adele Ruzzani era più bella, più attraente, e, secondo i casi e gli umori, anche più amabile. Per altro, bisognava far l'occhio a certe bizzarrie. Adele Ruzzani portava i capelli corti, tagliati poco sotto all'orecchio, come un paggetto medievale. A


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