Il Principe della Marsiliana. Emma Perodi
com'era con le ampie maniche bianche della veste, ella pareva in quel momento la statua della Protezione. Don Pio si lasciò baciare e stringere fra le braccia della duchessa come un bambino. Aveva bisogno di quelle carezze, e sentiva che se vi era al mondo una persona, che potesse guidarlo e sorreggerlo, quella persona era certo sua madre.
La vista di lei lo sollevò alquanto e alzando la testa la fissò con uno sguardo così affettuoso come nessuna donna, all'infuori di lei, aveva mai veduto balenargli negli occhi e attrattala accanto a sè sopra un sofà basso, le disse:
—Se tu sapessi come aveva bisogno di te, ma supponevo tu fossi alla Marsiliana.
—Sono giunta stasera,—rispose la duchessa appoggiando la mano breve e carnosa sulla spalla del figlio.
La duchessa continuò:
—Non potevo star lontana mentre tu qui lottavi. Il mio appoggio non ti è mai mancato, e perchè volevi ti mancasse adesso?
—Non credevo che una donna, e una signora sopratutto, potesse essermi utile in una occasione come questa, e non ti ho scritto di questa mia manifestazione di vanità, perchè, se vuoi che ti dica il vero, non credevo tu l'approvassi.
—Ma tu sai, Pio, che io approvo tutto quello che serve a metterti in evidenza, a porti al disopra dei tuoi simili!
—Credevo che i tuoi sentimenti di devozione al papa t'impedissero....
—Il primo, il più forte dei sentimenti, anzi l'unico, è l'amore per te. Tu sai che ti amo al punto da esser gelosa delle donne che tu preferisci, e di non esser tranquilla altro che ora perchè ti vedo a fianco quella povera Camilla....
—Che, tu sai, io non amo,—disse il principe alzando le spalle e sorridendo cinicamente.
—È proprio così; ma mettimi al corrente di quello che è accaduto; so che stasera c'è stata una cena in Trastevere.
—Sì, una cena molto buffa,—disse il principe offrendo alla madre una tazza di tè.—Io non so come ho fatto a resistere, a star serio tutto quel tempo. Pare che fossi investito a segno della mia parte da far breccia su quei vassalloni.
—Se ti sentissero!—osservò la duchessa.
—Se hanno due dita di cervello, debbono capire che tutta questa tenerezza democratica non può esser sincera; che è una commedia, e che è già una grande degnazione che uso loro se mi sottopongo a rappresentarla.
—Bella degnazione!—ribattè la duchessa ridendo mentre stringeva gli occhi, fatti piccoli dalla molta carne delle guance.—Sono essi che si degnano dare a te il loro voto, piuttosto che ad un altro, e affidarti i loro interessi morali e materiali.
—Ed è appunto toccando la molla dell'interesse che li ho guadagnati alla mia causa. Altrimenti con quella Camilla e la sua smodata devozione, non avrei potuto davvero contare sull'appoggio del Trastevere. Ho promesso nientemeno che di far trasportare la stazione ferroviaria in quel rione!
—E come ti è venuta quella idea?—domandò la duchessa fissando il figlio con aria incredula.
—Non so; è stata una specie di ispirazione; ma non ti pare una idea bella?
—Eccellente per facilitare la tua elezione,—rispose ella,—ma non so se riescirai ad attuarla.
—Questo non m'importa, basta che sia eletto; al poi ho tempo di pensarci.
—Ma perchè vuoi essere deputato ad ogni costo?
—Perchè molti principi romani sono già al Parlamento, e per quel ciondolo di medaglia che portano alla catena, si danno una importanza!... Io non voglio esser da meno di nessuno.
—Se ci tieni tanto, sarai eletto, te lo prometto io,—disse la duchessa prendendogli una mano.—Quello che tu vuoi, io lo voglio; quello che ti fa piacere, io sento il bisogno di procurartelo, fosse pure l'amore di una donna.
—E se ti prendessi in parola?—disse il principe ridendo.
—Mi troveresti sempre pronta a mantenerla.
Dopo poco la madre si alzò per andarsene, ma prima che ella richiudesse l'uscio del salottino del principe, si volse al figlio e gli domandò sorridendo:
—Chi è il tuo grande elettore?
—Il sor Domenico Stoppani.
—E il tuo agente?
—Fabio Rosati.
—Dormi tranquillo, figlio mio, tu sarai deputato di Roma,—disse la duchessa battendo sulla spalla di Pio, e guardandolo con una espressione d'ineffabile tenerezza, che rivelava tutto l'amore che ella aveva per lui nell'animo.
Il principe prima di andare a letto scrisse con una certa esitazione un biglietto al Caruso, pregandolo di recarsi da lui la mattina seguente. Lo scaltro uomo, parlando col principe, gli aveva detto incidentalmente che stava di casa in via delle Convertite, e don Pio rammentava benissimo quell'indirizzo e il numero dell'abitazione. Egli mise quella lettera sopra una tavola nella galleria, al posto dove soleva mettere le lettere, che dovevano essere recapitate presto.
Spogliato che fu, egli si coricò nel letto ampio, sormontato dalla corona ducale, da cui scendevano fino in terra le cortine di damasco azzurro, con lo stemma degli Urbani intessuto di oro, e non tardò a cedere al sonno.
III.
Don Pio destandosi a giorno chiaro vide la testa di Giorgio affacciata alla portiera dell'uscio e credè che egli venisse ad annunziargli Caruso.
—Pregalo di attendermi un minuto,—disse il principe riacquistando a un tratto la memoria degli avvenimenti della sera precedente, e saltando in fretta dal letto con gli occhi ancora assonnati, andò nello spogliatoio e dopo aver tuffato la faccia in una catinella di acqua fresca, ed avere indossato un vestito di flanella bianca, entrò nel salottino e vedendo Fabio Rosati, invece del Caruso, non seppe reprimere una smorfia di dispetto, nè potè trattenersi dal dire:
—Ah, è lei!
Fabio capì che non era nè atteso, nè desiderato e il sorriso gli morì sulle labbra, ma dominando la pena che gli cagionava quella accoglienza, tolse da un fascio di giornali il Fieramosca, e pose sotto gli occhi del principe l'articoletto sulla cena della sera precedente.
Don Pio lo lesse e poi, restituendolo al Rosati, disse tranquillamente:
—Quando si entra nella vita pubblica, dobbiamo attenderci agli attacchi. Questa asserzione che io non sia capace di svolgere l'idea della stazione in Trastevere, è una asserzione stupida, un mezzo per gettare la sfiducia fra i miei elettori; ma glielo farò veder io se sono capace; glielo farò vedere a questo stupido scribacchino del Fieramosca,—continuava don Pio, cercando in altri giornali se si parlava della sua candidatura.
Fabio non aveva parole; a momenti pensava che Caruso si fosse vantato affermando la paternità di quella idea; ma poi, ripensando a tanti particolari della sera prima, il dubbio svanivagli dalla mente e vi penetrava la sconfortante supposizione che il principe mentisse, mentisse anche davanti a lui, e questa supposizione gli agghiacciava il sangue nelle vene.
Quella benevolenza dimostratagli da don Pio in tante occasioni lo aveva legato a lui con vincoli saldissimi, gli aveva fatto nascere nell'animo una specie di culto per quel patrizio così diverso dagli altri nel modo di trattarlo, e ora che lo vedeva precipitare dall'altare su cui avevalo posto, provava un vero dolore. La serenità non svaniva dal volto di Fabio, ma le sue labbra carnose, non ombreggiate dai baffi, si scoloravano a vista d'occhio.
Don Pio continuava a guardare i giornali e a fare brevi e dispettose osservazioni.
—Questo giornale sostiene la mia candidatura perchè sono caratista; questo perchè il direttore mi deve cinquemila lire; quest'altro perchè