Orlando Furioso. Lodovico Ariosto

Orlando Furioso - Lodovico Ariosto


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perché varie fila a varie tele

      uopo mi son, che tutte ordire intendo,

      lascio Rinaldo e l'agitata prua,

      e torno a dir di Bradamante sua.

      31

      Io parlo di quella inclita donzella,

      per cui re Sacripante in terra giacque,

      che di questo signor degna sorella,

      del duca Amone e di Beatrice nacque.

      La gran possanza e il molto ardir di quella

      non meno a Carlo e a tutta Francia piacque

      (che più d'un paragon ne vide saldo),

      che 'l lodato valor del buon Rinaldo.

      32

      La donna amata fu da un cavalliero

      che d'Africa passò col re Agramante,

      che partorì del seme di Ruggiero

      la disperata figlia di Agolante:

      e costei, che né d'orso né di fiero

      leone uscì, non sdegnò tal amante;

      ben che concesso, fuor che vedersi una

      volta e parlarsi, non ha lor Fortuna.

      33

      Quindi cercando Bradamante gìa

      l'amante suo, ch'avea nome dal padre,

      così sicura senza compagnia,

      come avesse in sua guardia mille squadre:

      e fatto ch'ebbe al re di Circassia

      battere il volto dell'antiqua madre,

      traversò un bosco, e dopo il bosco un monte,

      tanto che giunse ad una bella fonte.

      34

      La fonte discorrea per mezzo un prato,

      d'arbori antiqui e di bell'ombre adorno,

      Ch'i viandanti col mormorio grato

      a ber invita e a far seco soggiorno:

      un culto monticel dal manco lato

      le difende il calor del mezzo giorno.

      Quivi, come i begli occhi prima torse,

      d'un cavallier la giovane s'accorse;

      35

      d'un cavallier, ch'all'ombra d'un boschetto,

      nel margin verde e bianco e rosso e giallo

      sedea pensoso, tacito e soletto

      sopra quel chiaro e liquido cristallo.

      Lo scudo non lontan pende e l'elmetto

      dal faggio, ove legato era il cavallo;

      ed avea gli occhi molli e 'l viso basso,

      e si mostrava addolorato e lasso.

      36

      Questo disir, ch'a tutti sta nel core,

      de' fatti altrui sempre cercar novella,

      fece a quel cavallier del suo dolore

      la cagion domandar da la donzella.

      Egli l'aperse e tutta mostrò fuore,

      dal cortese parlar mosso di quella,

      e dal sembiante altier, ch'al primo sguardo

      gli sembrò di guerrier molto gagliardo.

      37

      E cominciò: — Signor, io conducea

      pedoni e cavallieri, e venìa in campo

      là dove Carlo Marsilio attendea,

      perch'al scender del monte avesse inciampo;

      e una giovane bella meco avea,

      del cui fervido amor nel petto avampo:

      e ritrovai presso a Rodonna armato

      un che frenava un gran destriero alato.

      38

      Tosto che 'l ladro, o sia mortale, o sia

      una de l'infernali anime orrende,

      vede la bella e cara donna mia;

      come falcon che per ferir discende,

      cala e poggia in un atimo, e tra via

      getta le mani, e lei smarrita prende.

      Ancor non m'era accorto de l'assalto,

      che de la donna io senti' il grido in alto.

      39

      Così il rapace nibio furar suole

      il misero pulcin presso alla chioccia,

      che di sua inavvertenza poi si duole,

      e invan gli grida, e invan dietro gli croccia.

      Io non posso seguir un uom che vole,

      chiuso tra' monti, a piè d'un'erta roccia:

      stanco ho il destrier, che muta a pena i passi

      ne l'aspre vie de' faticosi sassi.

      40

      Ma, come quel che men curato avrei

      vedermi trar di mezzo il petto il core,

      lasciai lor via seguir quegli altri miei,

      senza mia guida e senza alcun rettore:

      per li scoscesi poggi e manco rei

      presi la via che mi mostrava Amore,

      e dove mi parea che quel rapace

      portassi il mio conforto e la mia pace.

      41

      Sei giorni me n'andai matina e sera

      per balze e per pendici orride e strane,

      dove non via, dove sentier non era,

      dove né segno di vestigie umane;

      poi giunsi in una valle inculta e fiera,

      di ripe cinta e spaventose tane,

      che nel mezzo s'un sasso avea un castello

      forte e ben posto, a maraviglia bello.

      42

      Da lungi par che come fiamma lustri,

      né sia di terra cotta, né di marmi.

      Come più m'avicino ai muri illustri,

      l'opra più bella e più mirabil parmi.

      E seppi poi, come i demoni industri,

      da suffumigi tratti e sacri carmi,

      tutto d'acciaio avean cinto il bel loco,

      temprato all'onda ed allo stigio foco.

      43

      Di sì forbito acciar luce ogni torre,

      che non vi può né ruggine né macchia.

      Tutto il paese giorno e notte scorre,

      e poi là dentro il rio ladron s'immacchia.

      Cosa non ha ripar che voglia torre:

      sol dietro invan se li bestemia e gracchia.

      Quivi la donna, anzi il mio cor mi tiene,

      che di mai ricovrar lascio ogni spene.

      44

      Ah lasso! che poss'io più che mirare

      la


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