Come l'onda... Novelle. Luigi Capuana

Come l'onda... Novelle - Luigi Capuana


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      Le ombre della notte cominciavano a diradarsi. Il vento era quasi cessato; il freddo del mattino però mordeva più vivo. La strada s'animava di carri carichi d'ortaggi, che dovevano trovarsi ai mercati dei paesetti vicini prima dello spuntare del sole. I carrettieri, sdraiati bocconi su la roba accatastata, fumavano le pipe, canticchiando, e scotevano di tanto in tanto le redini di corda fissate a un pomo della tavoletta di fianco.

      Più in là prendemmo una scorciatoia a traverso i campi, per evitare di incontrar gente e per giungere a tempo alla piccola stazione di Bicocca.

      Vi arrivammo che già spuntava il sole. Il treno avrebbe tardato appena un quarto d'ora a passare.

      Spossata dal viaggio e più, forse, dalla commozione, la signora chiese un bicchier d'acqua. Il Capo stazione la invitò gentilmente a salire in camera di sua moglie; lassù avrebbe anche potuto riposarsi meglio che su le panche di legno della saletta di aspetto.

      Le tenni dietro. Smaniavo di vedere in viso la persona che dovevo accompagnare non solamente per altri due lunghi giorni di viaggio, ma finchè il mio amico non avrebbe potuto venire presso di lei senza farsi scorgere.

      Quando la moglie del Capostazione le presentò il bicchier d'acqua, la signora alzò il velo poco più in su delle labbra e bevve lentamente. Aveva un collo stupendo. La carnagione bruna traeva un po' al pallido. Capelli nerissimi, viso ovale piuttosto piccolo, mento gentile, bocca come un anello, ma seria per naturale atteggiamento delle labbra; ecco quel che potei vedere con un'occhiata investigatrice, nell'intervallo di due secondi, tra la alzata e l'abbassata del velo. Avevo proprio indovinato!

      Bella, nello stretto significato della parola, non mi parve; intendo di quella bellezza scintillante, sfolgorante, che non si lascia discutere ma s'impone. Piacente sì; molto piacente, e per me, infine, voleva dire più che bella.

      Non avevo però veduto la vera espressione del viso, la vera anima: gli occhi; e bisognava attendere per pronunciare un giudizio. Frattanto m'abbandonavo a un lavoro di ricostruzione simile a quello dei naturalisti. Dato quel collo, quel mento, quella bocca, quella carnagione, quella statura, quei capelli, quale avrebbe dovuto essere l'espressione del volto e, più specialmente, degli occhi? E una serie di visi ora accennati, ora sbozzati, ora disegnati con accuratezza e coloriti con amore, tremolava, brillava, si sbiadiva, spariva, ricominciava ad apparire innanzi a' miei occhi fissati sulla banchina ghiaiata sottostante alla finestra.

      La signora intanto, seduta presso il capezzale del letto su una seggiola impagliata, col capo appoggiato ai guanciali, e le mani ferme su le ginocchia, riposandosi dalla fatica del cavalcare, pensava Dio sa a che cosa!

       * * *

      Nel vagone rimanemmo soli. Speravo che quel velo importuno sarebbe stato alfine rimosso.... Niente affatto. Ella si adagiò in un canto quasi per cercar di dormire, ed io dovetti rassegnarmi scambiare qualche parola con la cameriera, che non era nè giovane, nè bella, ma aveva una fisonomia intelligente, maliziosa, e prodigava l'eccellenza.

      Cavai di tasca il portasigarette e domandai alla donna se la sua signora soffrisse pel fumo.

      — Fumi pure — rispose la signora senza rimuoversi dalla sua positura. — Non mancherebbe altro ch'ella avesse anche questa noia! Sarebbe troppo: fumi, fumi, la prego....

      Il Jonio scintillava come un immenso specchio al sole. La spiaggia si piega in quel punto con vasta curva dolcissima, e l'onda del mare viene a morirvi lentamente quasi per languore amoroso.

      Giardini ancora bagnati dalla rugiada del mattino e che profumavano l'aria con la loro zàgara, strisce di prati, scogliere, gole di colline, strappi di mare e poi giardini di nuovo; tutto spariva velocemente con la rapida corsa del treno, in visione indistinta, da far credere che il velo della mia fuggitiva si fosse anche steso su quella meravigliosa natura, destatasi fresca e gioconda ai primi raggi del sole. E fantasticavo, secondo le varie impressioni, lieto di seguire i bizzarri capricci della fantasia.

      Nella stazione di Siracusa ci attendeva una carrozza a due cavalli; ripartimmo immediatamente.

      — Ora che non c'è più timore di importuni, — dissi, appena chiuso lo sportello, — ella può liberarsi della seccatura del velo.

      Staccò uno spillo e rimosse via quell'ingombro.

      La guardai stupito.

      L'avevo già vista altrove? Mi pareva di riconoscerla. Non poteva essere; sapevo con certezza che la vedevo allora la prima volta. Pure nei suoi lineamenti doveva esserci qualcosa che mi produceva quell'effetto. Cercai, ma non trovai una spiegazione plausibile.

      Oh, quegli occhi! Neri, vivaci, piccoli, dallo sguardo profondo — che, a un lieve aggrottar delle sopracciglia, assumeva un'espressione d'indefinibile tristezza — quegli occhi, senza dubbio, li avevo veduti prima di allora; quell'indefinibile espressione di tristezza non mi giungeva punto nuova. Ma non mi raccapezzavo.

       Ella mi domandò:

      — Si arriverà tardi alla Marza?

      — Domani, — risposi, ricomponendomi sùbito.

      — E dovremo viaggiare tutta questa giornata e la notte seguente?

      — Ci fermeremo a Rosolini; ripartiremo di buon'ora.

      — È un bel posto la Marza?

      — Stupendo, massime in questa stagione. Vedrà qualcosa di strano, ch'ella non può immaginare.

      — Vigne, oliveti?

      — Campagna rasa.

      Mi fissò tra incredula e dispiaciuta.

      Ma abbozzai, per tranquillarla, una breve descrizione, che produsse l'effetto voluto. Dopo, indovinando facilmente il suo naturale ritegno, mi decisi a parlare di Paolo.

      — Forse — dissi — non potrà esser là prima dell'altra settimana.

      — Come? — ella fece. — Non verrà fra tre giorni?

      — Potendo. Bisogna esser cauti.... capisce?

      — Non correrà pericolo, è vero? — chiese, voltandosi più direttamente verso di me.

      — Oh, per questo, viva tranquilla!

      Il ghiaccio del primo incontro era bell'e rotto.

      Conversammo lungamente.

      Verso il tramonto, assai prima di arrivare a Rosolini, si avvolse nello scialle, si rannicchiò nel suo angolo di carrozza e stette così, pensosa e con gli occhi socchiusi, fino al momento che, a sera inoltrata, la carrozza si fermò davanti al portone dell'Albergo.

       * * *

      Ci rimettemmo in viaggio prima dell'alba.

      Ella scese le scale in fretta, con mosse da freddolosa, e appena entrata in vettura:

      — Vorrei essere già arrivata! — esclamò con accento di grande stanchezza.

      La carrozza partì di galoppo, accompagnata da una musica di sonagli, di schiocchi di frusta e di chè! chè! del cocchiere.

      Avevo dormito poco, interrottamente, e mi ero svegliato di malumore. Mi sentivo oppresso da uno di quegli inesplicabili sentimenti che non lasciano distinguere se un malessere fisico ne produca in quel punto uno morale, o se un patema d'animo agisca sui centri nervosi, li contragga e li faccia soffrire.

      Mentre il piede destro batteva con colpettini irrequieti il fondo zincato della vettura, gli occhi fissavano, macchinalmente, a traverso i vetri, la tinta quasi uniforme delle cose in quell'ora mattutina, e l'immaginazione vi gettava, a intervalli, visioni ridenti come sprazzi di luce: un angolo di paesaggio illuminato dal sole; una stanzetta ben nota; una testina di donna che non giungevo a ravvisare; un tramonto, veduto non ricordavo più quando, una pianticina fiorita, un muro coperto di screpolature bizzarre; e cento altre immagini che si delineavano rapidamente su quel fondo grigio, come per istantaneo aprirsi e chiudersi di una lanterna magica; ed io continuavo, tra sonno e veglia,


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