Come l'onda... Novelle. Luigi Capuana

Come l'onda... Novelle - Luigi Capuana


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cuore una segreta paura d'intenderle.

       Quando l'alba colorò dei suoi miti splendori lo spazio di cielo inquadrato dallo sportello della carrozza, ritrassi le gambe, e mi rizzai su la vita:

      — Eccoci a un terzo di strada — esclamai, dopo aver dato un'occhiata al posto che traversavamo in quel momento.

      — Lo credevo addormentato — ella disse; — temevo di svegliarlo.

      — Non ho dormito, — risposi; — ho sognato.

      — Desto?

      — È il miglior modo di sognare.

      La signora fece un movimento con gli occhi e con le labbra quasi dicesse:

      — Sarà; ma stento a crederlo.

      Durante il silenzio che seguì, io riflettei che trovarsi accanto a una graziosa signora, nel ristretto spazio di una carrozza, coi vetri tirati su, dentro quell'atmosfera riscaldata dal calore dei fiati, è sensazione gradevole, quasi voluttuosa, che merita di esser provata almeno una volta, specie quando la signora che viaggia con noi non ci appartiene. Appena però mi accorsi di non essere osservato, tornai, come il giorno innanzi, a guardare attentamente la fuggitiva. L'idea della sua rassomiglianza mi tormentava tuttavia. Il non averla ancora trovata m'impensieriva però assai meno di quel che si agitava dentro di me per cagione di lei; senso indefinito di sentimenti dolcissimi provati tempo addietro, venuti ora lentamente a galla dal più profondo del cuore.

      — Ma che doveva importarmi di quella benedetta rassomiglianza?

       * * *

      Me lo domandavo la mattina dopo sulla terrazza del villino di Conca di Pietra, aspettando che la signora Emilia uscisse di camera per far colazione lì, in faccia al mare.

      E quando comparve, non seppi frenare un gesto di sorpresa. Ella era trasfigurata!

      Indossava un abito d'indiana azzurra e bianca guarnita di trine nere, che davano risalto alla foggia. Il busto le abbracciava stretta la vita e la faceva parere più snella. I capelli, semplicemente tirati su e trattenuti da un nastro di velluto celeste, luccicavano di ondeggianti riflessi violacei attorno alla fronte.

      Mi porse la mano domandandomi scusa di essersi fatta aspettare; poi diede una rapida occhiata al mare brulicante di scintillii sotto la vampa del sole già alto, un'altra occhiata alla campagna che scendeva a sinistra, verde di messi quasi fino alla spiaggia, e alzando le sopracciglia e aprendo gli occhi con viva espressione di piacere, esclamò:

      — Che magnificenza!

      In quel momento mi sentivo interdetto; respiravo appena. La rassomiglianza, così ostinatamente cercata e non potuta trovare, mi era all'improvviso saltata agli occhi, dandomi una fortissima scossa.

      Stupido! Come non me n'ero accorto sùbito?

      Come avevo potuto aspettare fino a quel momento per riconoscere ciò che avevo confusamente avvertito appena vedutala?

      — Perchè mi guarda così?... — domandò quasi mortificata.

      — Scusi — mi affrettai a dire. — È proprio un caso incredibile!

       — Che caso?

      — Lei somiglia tanto a una persona di mia conoscenza....

      — Davvero? — m'interruppe ridendo. — È fortuna per me.

      — Ma tanto — continuai senza badare al complimento — che io medesimo non credo ancora ai miei occhi!

      — A persona, senza dubbio, molto cara.... — ella soggiunse, pronunziando le parole con tono di graziosa malizia.

      — Molto! — risposi vivamente.

      — Meglio. Così soffrirà meno la noia di questo esilio alla Marza. Cotesta sua amica però, non sarebbe molto contenta, se sapesse che lei ha stentato due giorni prima di riconoscerla nei miei lineamenti.

      — Vi era qualcosa che me lo impediva, — risposi; — il vestito, l'acconciatura della testa, la....

      — E poi, forse, — m'interruppe con un sorrisetto di celia — la rassomiglianza non sarà proprio tanto grande....

      — Sì, è vero — risposi. — Infatti la sua voce ha un'intonazione diversa, e colei aveva anche aria più dimessa, più seria.

      — Così?

      E si atteggiò a serietà senz'affettazione, nè caricatura.

      — Precisamente, Dio mio!

      — Starò seria tutto il giorno, per farle piacere.

      — Oh, ma non creda.... — dissi con simulata indifferenza. E per divergere la conversazione, esclamai: — Se ci fosse una tenda, si potrebbe anche desinare qui. Vi ceneremo la sera, al chiaro di luna, come nei romanzi.

       * * *

      Rimasi tutta la giornata mezzo stordito. Non sapevo capacitarmi come mai i lineamenti della mia Jela si fossero quasi ripetuti in un'altra persona.

      Jela! Il dolce sogno della mia giovinezza! L'unica donna che io abbia sempre amata anche amandone altre.

      Jela! Jela!... Oh! Dopo tant'anni, non posso tuttavia pronunziar questo nome senza tremare dalla commozione. La immagine di lei non solamente ha resistito nel mio cuore a tutte le offese del tempo e dei mille casi della vita, ma ogni mese, quasi a giorno fisso, torna a stringermi affettuosamente tra le sue braccia ideali, con raccoglimento più che religioso, con dolcissima estasi, per parecchie ore, durante le quali l'idillio della mia giovinezza ricanta lietamente le sue gentili canzoni.

      — Fanciullaggini! Ridicolezze! — mi sono spesso ripetuto. Può darsi; ma fanciullaggini divine! Da chi ho mai ricevuto consolazioni più profonde? Da chi conforti più ineffabili?

      Purificata, idealizzata da lungo e segreto lavorio, pel quale il mio carattere, le circostanze della vita e l'indole dei miei studi si porsero a vicenda la mano, la malinconica figura di Jela assunse presto pel mio cuore e pel mio spirito valore di simbolo. Pavento anch'oggi come una sciagura il momento in cui potrò forse dimenticarla, o rimanere indifferente. Ed ecco perchè il vederla riprodotta vivente nella persona della signora Emilia mi turbava.

      Il gentile e sacro ideale della mia vita avrebbe patito per quest'incontro qualche mutilazione? Mi metteva i brividi il solo pensarvi.

       E tentavo distrarmi da queste idee, ma non riuscivo.

      Eravamo andati a visitare l'antico casamento della Marza, poco distante. L'atrio merlato; il cortile ingombro di erbe; la chiesa in rovina e già ridotta a fienile; le stanze vaste ma inabitabili; le rovine di un altro casamento lì accanto, una volta dei frati Carmelitani, deviavano, a intervalli, la mia mente da quella fissazione ostinata. Dovevo far da cicerone, dare schiarimenti, appagare la curiosità femminile destata da un sasso, da una grondaia, da un cespo di rigogliose viole a ciocche cresciuto sull'architrave della porta della chiesa, e rispondere alle cento domande che il posto naturalmente suggeriva.

      — Quella bianca cupola in fondo, che stacca sul grigio della pianura?

      — È della chiesa di Pachino.

      — E quel colle con quel vasto e severo edificio in cima?

      — Il colle di San Basilio e la villeggiatura dei proprietari.

      — E quello scoglio nero in mezzo al mare, poco lontano dalla spiaggia?

      — L'isoletta dei Porri.

      La giornata era splendidissima. Sole di primavera; aria profumata dagli odori particolari delle mèssi e delle erbe selvatiche in fiore.

      Ma quel sole, quelle mèssi, quelle erbe selvatiche in fiore mi richiamavano alla mente un'altra giornata di maggio e una campagna più bella.

      Jela, appoggiata al muro rustico di un pozzo su la spianata accanto all'aia, sorrideva ai piccioni domestici che beccavano i chicchi di orzo e di frumento lasciati


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