Come l'onda... Novelle. Luigi Capuana

Come l'onda... Novelle - Luigi Capuana


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di scorgersi così avidamente guardata.

      E con movimento di gazzella impaurita chiuse le imposte, salutandomi con un grazioso sorriso e un inchino del capo.

      Era sparita. Io però, rimasto immobile, la vedevo tuttavia nettamente dietro i vetri, quasi le vibrazioni luminose prodotte dal suo corpo fossero rimaste impresse lì e ve ne mantenessero l'apparenza.

       * * *

      Ero già pentito di essere tornato addietro. Mi vedevo sull'orlo dell'abisso e sentivo il terribile fascino delle profondità: una lieve spinta, e cascavo nel vuoto. Brividi mi correvano per la persona. Oh, quel Paolo benedetto!

      E Jela, il mio gentile ideale?

      M'ingegnavo di persuadermi ingenuamente che ella avesse bisogno di questa specie di nuova incarnazione per diventare completa; creatura affatto spirituale, prendendo da Emilia le agili dovizie della forma, sarebbe però rimasta sempre la mia Jela.

      Futili sottigliezze del cuore che non voleva confessare la propria debolezza; artifizi della coscienza che non aveva il coraggio di accettare la sua colpa apertamente e dire per scusarsi: è irresistibile!

      La giornata era calda; l'estate batteva all'uscio. I raggi del sole insinuavano nel corpo lassezze piacevolissime, quasi di sonno. Le farfalle erravano turbinose di qua e di là; le mosche volavano insistenti attorno con ronzio prolungato, vero adagio musicale di ninna-nanna, che cullava i sensi e li legava col suo torpore. A ogni mover di passo fra le erbe e i fiori, migliaia di insetti si levavano a volo e tornavano quasi sùbito a rannicchiarsi all'ombra delle foglie e dei calici per ripararsi dal sole.

      Appoggiata al mio braccio, Emilia ora percoteva colla punta del piedino i cespugli fioriti, ora allungava la sua canna da pesca per disturbare gli amori degli insetti nel letto dorato delle pratoline; e intanto canticchiava parole inintelligibili, dondolando lievemente la testa.

      La spiaggia formava un seno scavato nella costa dal continuo rodere dell'onda. Il letto di sassi lisci, arrotondati, e di varii colori, era circondato dalla curva costa all'altezza di due metri; vi si scendeva per una rozza scalinata, che non accusava certamente la mano dell'uomo.

      — Vedrà che magnifica pesca, — ella disse, adagiandosi su un sasso da me preparatole per sedile.

      — I pesci, — risposi ridendo, — saranno lietissimi d'esser pescati da mano così gentile!

      E, inescato il suo amo, lanciai il filo in mare.

      L'onda ci lambiva i piedi; la dighetta dei sassi ne limitava la stesa. Nelle fonticine formate fra sasso e sasso dagli spruzzi dell'acqua e dai meati della diga, si vedevano correre i gamberetti marini sul fondo arenoso; le patelle solitarie se ne stavano aggrappate ai sassi col guscio grigio che si scorgeva appena; l'olio di mare agitava le sue filamenta a seconda delle ondate, inarcandosi per assorbire dai muschi impercettibili prede.

      Dopo aver dato un po' la caccia ai gamberelli marini e alle patelle, inescai alla mia volta l'amo e mi sedei sui ciottoli, accanto alla donna.

      Atmosfera pesante ed immobile. Silenzio greve intorno. L'acqua che veniva a scherzarci ai piedi, aveva mormorii voluttuosi di sirena, mormorii seduttori. Nessuno dei due diceva una parola. Quella solitudine si faceva complice dei nostri segreti pensieri; pareva che una corrente magnetica ci tenesse in comunicazione e rivelasse all'una i più riposti movimenti del cuore dell'altro.

      Ella aveva lasciato abbandonatamente cadere la mano destra poco discosto dalla mia testa. Sedevo più basso di lei e rimasi alcuni minuti a guardarla come un goloso, con l'acquolina in bocca. Piccola, dalla pelle fine e lucente, dalle ugne color di rosa, sfiorarla con la guancia e le labbra divenne tentazione insistente. Mi spingevo in là senza parere, quando l'improvviso scostarsi di alcuni ciottoli sui quali poggiavo il gomito accelerò il movimento, e la mia guancia si posò su la mano di lei... che non si mosse!

      Allora non mi mossi nemmeno io. Cominciai ad accarezzargliela con tenere pressioni, che mi facevano gustare tutta la delicatezza della pelle. Avevo già perduto ogni conoscenza di me stesso.

      Alzai gli occhi. Ella, avvertito forse quel movimento, chinava in quel punto il viso dalla mia parte, con le labbra semiaperte al sorriso quasi ebete che rivela il venir meno della persona per eccessiva commozione, con le pupille lampeggianti di sensualità.

      — Claudio!... Claudio!... disse dolcemente, languidamente.

      Ero già levato sui ginocchi e la stringevo tra le braccia, soffocandola dai baci.

      Fu un minuto.

      — Fortuna che nessuno ci abbia visti! — esclamò Emilia quando, rientrato quasi repentinamente in me, le sciolsi le braccia dal collo.

      E rise, con un riso allegro, sonoro, che in quel punto mi parve tristamente triviale. Non c'era in esso nessun'eco della profonda commozione, che doveva agitarle tutto il corpo, ma contentezza, appagamento, scoppio di sodisfazione volgare....

      Avrei preferito che quella pigra ondata del mare, morente sui sassi, si fosse a un tratto levata su sdegnosa e mi avesse travolto e annegato; avrei preferito che, mentre ricercavo avidamente la sua bocca e la stringevo al mio petto, Paolo fosse comparso all'improvviso sul ciglio della spiaggia e mi avesse fulminato con una parola, o mi si fosse slanciato addosso con furore di amico e di amante tradito. Niente! L'onda continuava il monotono mormorio; il silenzio meridiano incombeva attorno non turbato nemmeno dal ronzio d'un insetto.

      Ella non capì quel che avveniva dentro di me.

      — Fa troppo caldo, — disse.

      — Fa troppo caldo, — ripetei.

      E raccolte le canne da pesca, le porsi la mano per aiutarla a montare la rozza scalinata.

      Giungemmo a casa senza scambiare una parola.

      Avevo il cuore grosso.

       * * *

      Che nottataccia!

      Al cader della sera mi si erano ridestate più violente nel cuore le bufere della giornata. Smaniavo, mi strappavo i capelli.

      — Perchè non spingevo quell'uscio? Perchè non entravo all'improvviso?

      Verso le due dopo la mezzanotte il mio delirio giunse al colmo. Mi tolsi le pantofole e, a piedi scalzi, trattenendo il respiro, traversai il salottino e la stanza, che dividevano la mia dalla sua camera.

      Origliai un pezzo all'uscio per persuadermi se Emilia era sveglia. Grattai leggermente l'uscio; nessun movimento. Dal buco della serratura vedevo la lampada agonizzante sul tavolino accanto al letto; da piedi scorgevo le sottane e il corpetto buttati disordinatamente sopra una seggiola e un po' strascicanti per terra. Che malia in quelle ombre!

      Ritornai vergognoso e disilluso in camera mia, e molto tardi cedetti al sonno.

      Chi mi svegliò la mattina dopo? La voce di Paolo. Era arrivato senza avvisarci.

      — Poltrone, — urlava dietro all'uscio. — Dormire fino alle dieci, in campagna!...

       * * *

      Sei giunto a proposito — gli dissi dopo la colazione. — Ero sul punto di andar via senza più aspettarti.

      — Otto giorni di maledetta febbre, altri quattro di prigionia, di riposo in casa per ordine del medico. Un'eternità! Che smanie! Ora mi rifarò del tempo perduto....

      Egli rideva, mentre io dovevo apparirgli pallido come un morto. Ripetei:

      — Ero sul punto di andar via.

      — No. Rimarrai un paio di giorni, ora che ci sono io.... — rispose Paolo.

      — Impossibile!

      Non sapeva darsene pace. La signora Emilia aggiungeva anche lei qualche parola, ma non insistente e calorosa.

      Avevo appena la forza di guardar Paolo in faccia; la sua schietta cordialità mi feriva il cuore. Fui fermo.


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