Novelle e paesi valdostani. Giacosa Giuseppe
baratro e vi fa fumare le pozzanghere dei letamai, ma dura poco; i raggi non vi giungono che a perpendicolo, appena inclinati il monte li intercetta. Quei paesani non vedono mai l'ombra delle loro case, non conoscono i bei lembi oscuri di terreno contorniati da terreni luminosi, nè l'affievolirsi graduale dei raggi nelle ore del tramonto. Là il sole dardeggia o tace, vi piomba come un fulmine, arde un momento e scompare. L'inverno dura sei mesi, nei quali la vicenda delle ore non produce che un alternarsi di diverse oscurità; la mezza luce che regna costante impedisce i crepuscoli o almeno non li lascia avvertire, la notte ed il giorno si seguono rapidamente come per l'abbassarsi o il levarsi repentino di una cortina. I villani leggono per così dire il nome di ogni mese sulle alture delle montagne; in novembre il sole non giunge che a quel punto, in dicembre a quell'altro, gennaio lo attira più in basso, febbraio più basso ancora, finchè giugno lo reca in paese e settembre ne lo riporta via. Le nebbie vi sono frequenti e fitte, [pg!59] i muri delle case che se ne imbevvero mostrano qua e là sgretolati delle pietre lucide sudanti per l'umido. Quando l'aria è tranquilla il paese manda un odore eguale di stalla, di latte, di fieno, con qualche nota caprina acuta come un sibilo. Colla nebbia gli odori si condensano e penetrano nel vestimento. La via fu già e forse dura selciata tuttora, protetta com'è da uno spesso strato di melma, di letame e di pagliume che la fa meno sdrucciolevole ed assorda il rumore dei passi sicchè pare che la gente vi cammini in punta di piedi. D'altronde gli abitanti portano certe scarpe di panno colla suola di corda intrecciata che non fanno rumore; dalla via si vedono le donne salire su per le scale di legno e passare lungo i ballatoi senza rendere il menomo suono.
Un forestiere che vi giungesse a sera, lo crederebbe un paese maledetto e disabitato. Siccome le stalle non guardano verso la via, non c'è lume a nessuna finestra; solo pei chiassuoli fra una casa e l'altra si vede talora un piccolo cerchio di luce pallida, incerta, una bianchezza nebbiosa diffusa per l'aria che mette in pensiero di nefandi sortilegi. Quella luce esce traverso i vetri unti, sudanti, rabescati di ragnatele, di una finestrucola bassa e stretta aperta a fior di terra. Di là, col poco raggio giungono suoni che non [pg!60] hanno nome, voci sommesse che sembrano provenire dalle viscere della terra, senza intervalli, simili a preghiere bisbigliate in una cripta intorno ad un sepolcro.
Gli abitanti vestono di nero, le donne portano in capo una cuffia nera e gli uomini un berrettone dello stesso colore. Parlano poco, ridono poco, hanno l'aria sospettosa e dolente propria degli esseri che vivono isolati. Infatti, quel paese non vede forse dieci forestieri l'anno, e di quelli, cinque almeno sono fuggiaschi in cerca di valichi difficili ed ignorati; gente che giunge a notte, si rimpiatta sui fienili e parte prima che aggiorni.
La chiesa è servita da un cappellano che quando non è un santo, è un prete iroso caduto in disgrazia del vescovo e messo lì per punizione. C'è anche un'osteria, ed è la casa più alta del paese, una casa grossa che pare e fu già un convento, bianca, fredda, piena di finestre chiuse e di camere vuote. Invece di serrarsi in due o tre stanze a terreno, la vecchia padrona disseminò i pochi mobili nei più vasti ambienti della casa, cosicchè dalla sala da pranzo, per chiamar gente non basta levare la voce, bisogna percorrere a tastoni un lungo andito, dove le assi fradicie cedono sotto i passi, affacciarsi alla scala e picchiare col bastone sugli scalini di legno che suonano a vuoto.
[pg!61] Nella camera a dormire, sopra un cassettone zoppo da un piede, una campana di vetro racchiude il busto in cera di una vecchia vestita da signora, certo qualche parente morta della padrona. La faccia ha l'orribile perfezione dei ritratti calcati nella maschera tolta sul cadavere; la cera trasudata traverso la tinta di carminio ritorna al viso morto il colore invano falsificato ed una polvere finissima filtrata malgrado il panno che orla la bocca della campana, mette su quelle guancie dei rilievi terrosi e delle ombre che ricordano la spaventevole magrezza dei morti. Quel viso di pergamena è ornato da due lunghi ricci inanellati. Al peso dei passi il tavolato traballando fa zoppicare il cassettone ed i ricci dondolano gravemente, col piccolo fruscio asciutto delle foglie secche.
Io giunsi al villaggio sul fare della notte; per strada, discorrendo col mulattiere, avevo appreso che la padrona della locanda era una vecchia zitellona sospetta di stregoneria tanto che nessuna ragazza per bisognosa che fosse, aveva potuto durare domestica nella sua casa. Non che fosse bisbetica o manesca, al contrario: amava di soccorrere le miserie dei compaesani e tutto il villaggio era indebitato con lei; ma il suo aspetto era così rigido e severo, e così asciutta la sua voce e così brusco l'accento e l'occhio [pg!62] così immobile a fissare lontano le cose che non si vedono! Di più nell'osteria c'era una camera dove non era mai entrata anima viva e dove tutte le sante notti dell'anno il lume durava acceso fino alla mattina. Gli anziani del paese raccontavano che anche quand'era giovane e bella da dipingere, Mademoiselle aveva l'occhio vitreo e l'orecchio sempre teso ad ascoltare le voci.
Della sua antica bellezza si dicevano prodigi ma non glie l'aveva certo sciupata l'amore, che anzi, quarant'anni addietro accusata di infanticidio e tradotta dinnanzi il tribunale, questo l'aveva assolta, essendo accorso tutto il paese a giurare che non le si conoscevano amanti e che nessuno mai l'aveva nè veduta nè tampoco sospettata incinta.
L'accusa era fondata sulla testimonianza di un sergente doganiere il quale pretendeva di averla ravvisata una notte nell'atto che sotterrava un involto, aiutata da un omaccione alto e robusto del quale egli non sapeva dare altra notizia. Ma oltre che, come ebbe a dire in francese l'avvocato difensore, oltre che la nuit tous les chats sont gris, il sergente non aveva già denunziato il fatto appena seguito, bensì tre mesi dopo, quando cioè un caso fortuito ebbe rivelato il cadavere del neonato e durante quei tre mesi tutti lo sapevano, il sergente aveva cercato invano [pg!63] di sedurre la fanciulla, cosicchè nella sua deposizione appariva evidente un atto di vendetta. E bisogna dire che ella fosse veramente pulita come uno specchio se malgrado l'odore di fattucchiera che spandeva intorno, i paesani avevano deposto così unanimi in suo favore ed il cappellano istesso, un vecchio andato di poi diritto in paradiso, giurando sui sacri evangeli, l'aveva proclamata la più casta e pia e benefica vergine di questo mondo.
Quando scesi all'osteria e la padrona mi corse incontro a festeggiarmi, poco mancò non tornassi indietro sul momento. Nessuna delle sue fattezze poteva dirsi particolarmente spiacente ma insieme componevano una figura indimenticabile a cagione del ribrezzo che ne derivava. Io domandai più tardi a me stesso se la sua somiglianza col busto di cera avesse contribuito a tale effetto. Lo somigliava infatti, se non che i suoi capelli erano neri e quelli del busto di una tinta dorata pallida come li hanno certe ragazze giovanissime che poi gli oscurano invecchiando. Ma dovetti riconoscere che ciò non era, perchè vidi la padrona assai prima che il busto e questo non accrebbe la sensazione disgustosa ricevuta dalla vista di quella, tanto essa aveva subito raggiunto la maggiore possibile intensità. Era una donna alta, asciutta, la fronte spaziosa [pg!64] nettamente incorniciata da due righe di capelli neri appiastrati e grassi per l'unto e scendente al resto del viso senza interruzione, poichè non recava altro segno delle sopracciglia che un leggiero arrossamento della pelle, evidente indizio di pelo biondo o rossastro ed in lei quindi, sicura denunzia di parrucca. Era pallida di un pallore muto e dissanguato che non si coloriva nemmeno sulle labbra e sul quale le rughe apparivano così violente da parere incise per entro tutto lo spessore della carne. Si reggeva imperiosa sul busto sottile di giovinetta e serbava nell'andatura quel vezzo contadinesco che consiste nell'irrigidire leggermente la gamba appena fatto il passo, locchè dà una scioltezza saltellante a tutta la persona. I suoi modi, l'atteggiarsi, le parole e sopratutto gli sguardi tradivano un proposito sempre presente di parere disinvolta, ed insieme una dolorosa e puerile timidità. Appena fissata chinava gli occhi con una espressione rapidissima di sbigottimento e li risollevava di scatto per piantarveli in viso, tesi e corrucciati dallo sforzo. In casa attendeva a tutte le faccende, non avendo domestica. Mentre cenava era un continuo salire e scendere dalla cucina alla camera da pranzo; le sue scarpe di panno non facevano scricchiolare pure un gradino della scala nè una tavola del corridoio, di [pg!65] modo che appariva improvvisa come un fantasma. In fin di cena avendo io avanzato mezzo il vino della bottiglia, essa, venuta a sedermisi accanto, ne versò due dita in un bicchiere e volle toccare con me augurandomi (Dio che orribile sorriso!) l'amore fedele della mia donna.
Come fui in letto ed ebbi spento il lume, dopo lo sbattere di qualche uscio e lo stridere di qualche chiavistello, tacque nella casa ogni rumore di esseri viventi; solo saliva dal basso un mormorìo sordo e continuo, che sulle prime attribuii