La favorita del Mahdi. Emilio Salgari

La favorita del Mahdi - Emilio Salgari


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      —Che ci sia qualche spia?

      —Potrebbe darsi. Il Mahdi ha della gente coraggiosa, che non ha paura di avvicinarsi agli accampamenti egiziani.

      L'arabo fece cenno al capitano di tirar innanzi, continuando a guardarsi d'attorno e aprendo con precauzione i cespugli. Dopo dieci minuti essi giunsero ad una specie di zeribak, nell'interno della quale stava accampata una compagnia di basci-bozuk a piedi.

      Il sergente che la comandava si fece loro incontro.

      —Che nuove? chiese Hassarn.

      —Nessuna, rispose il sergente. I ribelli fino ad ora non si sono spinti fin qui ma…. non avete incontrato nessuno? Ho veduto….

      —Chi? domandò Abd-el-Kerim.

      —Una apparizione.

      —Spiegati per Allàh! esclamò Hassarn, mosso in curiosità.

      —Che so io? Ho veduto passare un fantasma, vestito stranamente, e che potrebbe darsi che fosse un ribelle. È passato or ora a cento passi da qui.

      —Oh! oh! fe' Hassarn. Chi può essere mai? Abd-el-Kerim, sei in vena di accompagnarmi, intanto che i basci-bozuk fanno i bagagli?

      —Ho la mia carabina e ciò basta. Ti seguirò fino al deserto di

       Korosko, se tu lo vuoi.

      —Basta così. Tu sergente fa levare il campo e se non ci vedi tornare, incamminati per Hossanieh. Potrebbe darsi che noi tardassimo assai e che prendessimo un'altra via.

      Arabo e turco volsero le spalle alla zeribak, internandosi nella foresta, seguendo un sentieruzzo appena visibile pel quale era passato il fantasma. Avevano tutte e due le ali ai piedi come se si trattasse di inseguire qualche persona più che importante.

      —Chi può essere mai questo fantasma, si chiedeva Hassarn. Che sia qualche capo di ribelli?

      In quell'istante Abd-el-Kerim, che camminava innanzi, tornò ad arrestarsi, urtando bruscamente il turco che gli veniva dietro.

      —Fermati, per mille demoni! esclamò egli con voce alterata.

      —Che hai veduto? chiese Hassarn sorpreso.

      —Zitto!…

      In lontananza si udiva il suono del tamburello che l'eco delle foreste ripeteva distintamente. Abd-el-Kerim impallidì come un cadavere.

      —Odi Hassarn? domandò egli con un filo di voce.

      —Sì, che odo. Deve essere qualche arabo che suona il tamburello.

      —No, non è un arabo! esclamò vivamente Abd-el-Kerim.

      —Come lo sai tu?

      —È una donna, io l'ho udito ancora questo tamburello, disse l'arabo con maggior animazione.

      —Per Allàh! Andiamo a vedere, Abd-el-Kerim.

      L'arabo lo afferrò vigorosamente per le braccia e lo tenne fermo.

      —Tu non sai di quale donna io intenda parlare, gli disse.

      —Parla di quella che vuoi, io vado innanzi.

      —Quella che suona è Fathma!….

      Il turco lasciò sfuggire una esclamazione di sorpresa.

      —Hassarn, continuò Abd-el-Kerim, lasciami solo. Tu non puoi essere testimone a quello che io dirò all'almea.

      —Tu sei pazzo. Io voglio vedere Fathma.

      —Hassarn, tu non lo farai, disse recisamente l'arabo.

      —Ma disgraziato, e non pensi che sei promesso a Elenka.

      —Io spezzo il nodo e mi getto corpo e anima fra le braccia di Fathma.

       Ho il sangue che mi brucia le vene e il cuore che batte per l'almea. Lasciami solo.

      Il turco lo guardò con compassione.

      —Tu ti perdi, Abd-el-Kerim, gli disse con dolce rimprovero. Fa come vuoi; io ti aspetterò ai piedi delle colline sabbiose.

      L'arabo chinò il capo sul petto; poi rialzandolo con gesto risoluto:

      —Vo' gettar la mia vita ai piedi di Fathma, disse e si allontanò a rapidi passi, dirigendosi verso il luogo ove risuonava il tamburello.

      Aveva la testa in fiamme e il cuore battevagli precipitosamente; parevagli di essere ubbriaco e camminava quasi senza volerlo, meccanicamente, attirato da quel suono come il serpente viene attirato dal flauto dell'incantatore.

      In breve tempo giunse in una vasta radura contornata da maestosi tamarindi sulle cui cime strillavano numerosi scimmiotti. Egli si fermò frenando a grande stento un grido di gioia.

      Là, sulle rive di un ampio stagno cosparso di grandi foglie di loto sacro, se ne stava ritta l'almea col tamburello in mano, i capelli neri sciolti sulle spalle e una bianca farda gettata pittorescamente su di un braccio. Vista così, sotto una pioggia di raggi solari che si riflettevano sui monili e sui braccialetti d'oro che le cingevano il collo e le nude braccia, la si sarebbe presa per una apparizione celeste, per una urì del paradiso di Mohammed il profeta.

      Abd-el-Kerim sentì mancarsi le forze. Esitò, volle fuggire, ma gli fu impossibile e si spinse macchinalmente innanzi, senza fare il menomo rumore. S'arrestò a pochi passi dall'almea che continuava a sbattere il tamburello con un ritmo cadenzato e malinconico. Egli tese le braccia avanti.

      —Fathma!… Fathma! mormorò con voce tremante.

      L'almea si volse verso di lui.

      CAPITOLO V.—Il Rapitore.

      Nel vedersi dinanzi Abd-el-Kerim, immobile come una statua, coi lineamenti sconvolti e le mani tese con gesto supplichevole, Fathma non potè trattenere un movimento di sorpresa. Ella lo guardò fisso coi suoi grandi e neri occhioni, che magnetizzavano e che penetravano fino al fondo dei cuori, senza dir sillaba.

      —Fathma, ripetè l'arabo, scuotendosi e dando alla sua voce un tono commosso.

      L'almea gli si avvicinò, guardandolo come con curiosità.

      —Che fai tu qui? diss'ella di poi,

      —Mi riconosci bella fanciulla?

      —Non dimentico mai chi mi salvò con pericolo della propria vita. Non sei tu quell'arabo che mi raccolse nella pianura dopo aver ucciso il leone che mi assaliva?

      —Quello stesso, Fathma.

      Fra loro due successe un breve silenzio, durante il quale si guardarono ancor più fissamente.

      —Che vuoi da me? chiese alfin l'almea, rompendo quel silenzio che diventava imbarazzante.

      —Sai dove ti trovi?

      —Nelle foreste del Bahr-el-Abiad. E che vuol dir ciò?

      —Sai che vi sono dei ribelli nascosti in questi dintorni?

      Fathma sorrise sdegnosamente e mostrandogli un pugnaletto che teneva infisso nella sua râhad (cintura) dorata:

      —Non ho paura, gli disse con fierezza.

      —Ti potrebbero rapire.

      —E che male ci sarebbe? Rapirebbero una povera almea.

      —Ma io piangerei la tua perdita, disse l'arabo con iscoppio appassionato.

      —I grandi occhi di Fathma si dilatarono e le sue labbra s'apersero ad un sorriso indefinibile. Ella si avvicinò vieppiù all'arabo, tanto che l'ardente suo alito gli sfiorò il volto. Abd-el-Kerim tese le braccia innanzi come per afferrarla, ma si frenò e senza volerlo fece un passo indietro.

      —Ah! diss'ella, quasi ironicamente, ti dorrebbe il non vedermi più?

      —Sì,


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