La favorita del Mahdi. Emilio Salgari
girava la testa attorno come un uomo che teme di essere scoperto, era alto dal portamento svelto, vestito da ufficiale, ma con una bianca farda avvolta attorno il petto. Una carabina pendevagli da una spalla e portava in una mano un oggetto allungato, che Notis non giunse bene a distinguere.
Egli si fermò dinanzi la rekùba e stette lì immobile, guardando le finestre della casupola, poi girò e rigirò parecchie volte attorno, tornò a fermarsi, prese l'oggetto allungato che era una rabâda, sorta di chitarra e trasse alcuni suoni melanconici, flessibili.
—Ah! esclamò Notis, sardonicamente. Si vede che il mio rivale non manca di buon gusto. Per Allàh! Egli vuol fare una serenata sotto le finestre della bella con la chitarra. Guardati! Potrebbe darsi che io irrigidissi le tue dita con una palla del mio remington.
In quell'istante quell'uomo si pose a cantare. Alla prima sillaba
Notis fe' un balzo guardando trucemente il cantore.
—Sogno io forse? si chiese egli.
La canzone continuò, cadenzata, dolce. Notis tremò tutto e sentì i capelli rizzarglisi sulla fronte.
—Abd-el-Kerim! Abd-el-Kerim!…
La voce gli si soffocò. Una grossa nube gli passò dinanzi agli occhi.
—Ah! traditore!…
Alzò il remington, l'armò e mirò Abd-el-Kerim che continuava a cantare frammischiando alla sua canzone il nome di Fathma. Dopo qualche secondo l'abbassò.
—E mia sorella? E la povera Elenka? E la sua fidanzata?… Ah!
miserabile!… Eri tu quel rivale di cui mi parlavi! Ma da quando?…
Come?… Come è possibile che egli abbia obbliata mia sorella?…
Tuoni di Dio!…
Per la seconda volta alzò il remington e per la seconda volta l'abbassò.
Un freddo sudore scorrevagli abbondantemente per la fronte e un tremore fortissimo agitava le sue membra. Impeti di ira lo assalivano e sentivasi spinto da una pazza voglia di fare, con una palla di fucile, scoppiare la testa all'arabo. Tuttavia non si sentì capace di puntare per la terza volta il remington e d'assassinare il traditore.
Alzò la testa come se avesse preso una pronta risoluzione, e si mise a strisciare, a carpone, fino a che ebbe raggiunta una piantagione di durah. Di là camminò sempre senza produrre il menomo rumore, fino sulla via che menava agli avamposti del campo, imboscandosi dietro a una macchia d'alte erbe spinose.
—Passerai di qui, Abd-el-Kerim, disse con accento minaccioso. Ti affronterò.
L'arabo cantava sempre, con maggior dolcezza, con tono più malinconico, e ogni volta che pronunciava il nome dell'almea, il greco sentivasi il sangue accendere e il cuore battere più precipitosamente. Tutti i colori dell'arcobaleno passavano uno per uno sulla sua faccia tetra.
Cominciava all'oriente a biancheggiare, quando Abd-el-Kerim si tacque. Notis lo vide aggirarsi per qualche tratto attorno alla casupola, colla testa sempre alzata verso le finestre che si tenevano ostinatamente chiuse, poi raccogliere la carabina e prendere la via del campo. Un beffardo sogghigno sfiorò le sue labbra collericamente strette.
L'arabo s'avvicinava a rapidi passi e pareva pensieroso e scoraggiato. Quando fu a pochi metri di distanza, Notis balzò fuori e gli si presentò dinanzi come una spaventevole apparizione.
—Alto là, Abd-el-Kerim!… gl'intimò brutalmente.
L'arabo nel vederselo lì, colla testa alta, in una posa minacciosa, fece un salto indietro portando involontariamente la mano sull'impugnatura dell'jatagan. Impallidì orribilmente e fece un gesto di sorpresa e di spavento.
—Notis! esclamò egli, con un fil di voce.
—Sì, proprio Notis, il fratello di Elenka, della tua fidanzata, rispose il greco con ira mal repressa.
Essi stettero a guardarsi in silenzio, ma cogli sguardi provocanti.
—Che facevi, Abd-el-Kerim, sotto le finestre di quella casupola? chiese Notis, ironicamente.
—Avevo la febbre indosso e sono andato a passeggiare per le vie d'Hossanieh.
—Tu menti, Abd-el-Kerim!
L'arabo si turbò e tornò ad impallidire, ma più per la collera che per la paura.
—Te lo dirò io, giacchè tu nol sai, che facevi, disse Notis, alzando la voce. Tu suonavi la rabâda e cantavi una canzone d'amore.
—E che ci trovi di strano?
—Ma disgraziato, non sapevi adunque che tu cantavi sotto le finestre di Fathma?
—Ebbene?… chiese Abd-el-Kerim con calma.
—Ciò vuol dire che quel rivale di cui mi parlavi sei tu, tu,
Abd-el-Kerim!
—Follie.
—Tuoni di Dio, non mentire! Tu cantando pronunciavi il nome dell'almea!
—Ah! tu sai questo?…
—Abd-el-Kerim, rammentati di mia sorella Elenka. Ella è greca.
—Ma il Corano…
—Non parlare di Corano, nè di poligamia. Elenka non avrà che un marito o tu non avrai che una moglie. Il Profeta udì i tuoi giuramenti.
—Elenka!… Elenka!… balbettò l'arabo.
—Saresti capace tu di dimenticarla per Fathma?
—Non parlare d'Elenka, Notis, disse l'arabo sordamente.
Il greco fece tre passi indietro e alzò la mano verso di lui.
—Abd-el-Kerim! disse egli gravemente. Sta in guardia!…
—Notis!…
—Sta in guardia! È l'ultima mia parola!
Il fratello d'Elenka lo mirò per un minuto cogli occhi scintillanti, poi gli volse le spalle e s'internò in mezzo al campo di durah.
CAPITOLO IV.—Nel mezzo di un bosco.
Quando Abd-el-Kerim giunse agli avamposti il sole cominciava a far capolino fra le gigantesche foreste del Nilo e il campo a svegliarsi. Qua e là, dalle tende, uscivano soldati sbadigliando e stiracchiandosi le membra intorpidite; alcuni si affacendavano a pulire o a insellare i loro briosi cavalli che caracollavano nitrendo; altri alzavano i mahari o i cammelli conducendoli ai pozzi per abbeverarli, e altri ancora accendevano i fuochi pel rancio del mattino, o portavano legne, o portavano paglia, o facevano un po' di pulizia, o lucidavano i fucili, gli jatagan o le daghe, o i cannoni. Dappertutto vedevansi ufficiali andare e venire, scintillanti per gli ori, affannarsi a portare o a dare ordini, a cambiare le sentinelle, a radunare le compagnie per farle manovrare; dappertutto udivasi un cicaleggio allegro, canzoni monotone e cadenzate, voci che salmodiavano i versetti del Corano accompagnate dalla voce nasale dei muezzin d'Hossanieh che percorrevano il campo, e ragli d'asini, e nitriti di cavalli e muggiti di buoi.
Abd-el-Kerim, colla faccia aggrondata, pensieroso, taciturno, attraversò la triplice fila di tende e andò a sedersi vicino alla sua, su di un tronco di palmizio atterrato, prendendosi la testa fra le mani.
Il povero arabo sentivasi tutto scombussolato dagli avvenimenti della notte e come ammalato. Una terribile lotta fervevagli nel cuore, lotta gigantesca nella quale si cozzavano furiosamente due passioni egualmente grandi: l'amore per la bella Elenka alla quale gli aveva giurato fedeltà e l'amore per Fathma, l'incomparabile creatura dagli occhi di fuoco che l'aveva suo malgrado affascinato.
Egli trovavasi per così dire equilibrato fra due abissi in uno dei quali tendeva le braccia la greca e nell'altro l'araba, due abissi che sì l'uno che l'altro l'attiravano, due abissi che gli mettevano le vertigini entrambi.
Aveva