La favorita del Mahdi. Emilio Salgari
—Perfettamente, padrone, rispose il nubiano, ed io vi aiuterò, poichè…
—Zitto Takir. Afferrami fra le tue braccia e portami.
—Dove? Al campo forse?
—I morti non ritornano più fra i vivi, è giusto adunque che io non ricomparisca al campo. Non conosci tu qualche luogo deserto dove possiamo ricoverarci senz'essere veduti?
—Sulla cima delle colline che si estendono al settentrione d'Ossanieh, mi ricordo di aver veduto una bella caverna che potrebbe servirci di abitazione, e che è abbastanza vicina al campo, disse il nubiano.
—Andremo ad abitarla, Takir, e poi penseremo alla vendetta. Orsù, prendimi fra le tue braccia e portami. Io sono debole per ora.
Il nubiano lo prese, se lo gettò in ispalla e partì correndo colla stessa facilità come se portasse un fanciullo. Attraversò come un'antilope la foresta e sbucò nella pianura senza rallentare un solo istante la corsa. Notis gli guizzò fra le braccia mandando una orribile bestemmia.
—Guarda laggiù, diss'egli, mugolando come una belva. Guarda, Takir, guarda.
Il nubiano vide due persone che salivano le colline sabbiose a meno di quattrocento passi di distanza. Riconobbe subito chi erano.
—Quello là col cofatan bianco è Hassarn, disse. L'altro col fez è l'arabo Abd-el-Kerim: io li conosco tutti e due.
—Sì, sono i due maledetti. Essi si dirigono al campo dove li aspetta
Fathma.
—Calma, padrone, che verrà il dì che l'almea aspetterà voi.
—Puoi star sicuro che verrà quel giorno e mi aspetterà allora in ginocchio. Se tu potessi ammazzarne almeno uno con un colpo di carabina!
—È pericoloso, padrone. Ho il braccio dritto ferito e mi trema, e di più la notte è troppo oscura per mandare una palla a buon segno. Pazientate, li piglieremo entrambi e fra non molto, ve lo giuro.
—Cammina, adunque, e più presto che puoi. Bisogna che tu ti rechi al campo e che mi porti tutto il denaro che trovasi nella mia tenda. Potrebbe darsi che mi occorresse per prezzolare qualche arabo poco scrupoloso.
Il nubiano riprese la corsa, tenendosi dietro le colline sabbiose per non essere scorto dall'arabo e dal turco. Era mezzanotte passata, quando giunse in vista dei primi tugul d'Hossanieh dinanzi ai quali bivaccavano, al chiaro di numerosi fuochi, alcune compagnie di basci-bozuk e di negri d'Etiopia.
Si riposò alcuni istanti, poi s'internò tra i campi di durah e giunse ai piedi di alcune colline aridissime: esitò un momento, poi s'arrampicò su pei dirupati fianchi di una delle più alte, aggrappandosi agli sterpi e ai crepacci e raggiunse quasi la vetta, dove s'arrestò dinanzi a una gran caverna.
—Ci siamo, diss'egli, deponendo il greco a terra.
—È qui che noi pianteremo il nostro nido?
—Sì, padrone, e da questa cima si domina Hossanieh e il campo. Ci sarà facile vedere chi entra e chi esce.
—Sta bene, accendi qualche pezzo di legno per vedere dove si va. Ho paura che abbiamo a incontrare parecchi serpenti.
Il nubiano accese un pezzo di torcia resinosa e tutti e due entrarono con precauzione. Ben presto si trovarono in un ampio stanzone, la cui vòlta era sostenuta da parecchie colonne trasparenti che riflettevano magnificamente la luce. Le pareti, scavate bizzarramente, erano umidiccie ma il terreno, eccettuato un angolo dove raccoglievansi gli scoli che formavano un fossatello, era asciutto e cosparso di una sabbia bianchiccia in mezzo alla quale brillavano pezzi di salgemma. Il nubiano, ammazzati tutti gli scorpioni grigi che l'abitavano, i cui morsi sono pericolosissimi, s'accinse a correre al campo, prima che la notizia della morte di Notis si spargesse e che il pascià Dhafar s'impadronisse di tuttociò che conteneva la tenda.
—Alto là, disse Notis, che seduto su di un macigno si fasciava la ferita. Se tu vai laggiù, non dimenticare d'informarti dove sia Fathma e come vadano le faccende.
Il nubiano sorrise mostrando i candidi denti e scese in fretta la collina correndo verso il campo. Notis, che aveva finito di fasciare la ferita, uscì e andò a sedersi sul limitare della caverna, guardando attentamente il villaggio d'Hossanieh e le tende del piccolo esercito egiziano.
—Essi sono là, dìss'egli con gioia feroce, tutti e due là, a portata della mia mano, a portata della mia vendetta. Parlatevi di felicità, di amori, di immense gioie, ma io schianterò il cuore di entrambi, e in modo che non abbiate a guarire più mai. Non si conosce fino a qual punto sappia odiare il greco Notis.
«Non ho forze ora, m'è impossibile assalirvi di fronte poichè io sono morto, ma troverò io i mezzi per colpirvi e farvi cadere l'uno nelle mani di Elenka e l'altra nelle mie. Io sarò il leone e mia sorella la iena! Oh! allora…
Egli interruppe bruscamente il monologo e si drizzò come spinto da una molla. Al chiaror di un raggio lunare che cadeva sul campo, aveva scorto un mahari dal mantello nero lasciare la tenda dell'arabo Abd-el-Kerim e dirigersi a rapidi passi verso gli avamposti.
Guardando con maggiore attenzione, vide sul dorso dell'animale un uomo avvolto in un gran taub bianco. Impallidì e le sue mani cercarono un'arma.
—Dio mi punisca, se quell'uomo là non è lo Amr, lo schiavo d'Hassarn.
Dove può mai recarsi, che lascia il campo a quest'ora?
Notis rimase un istante indeciso, poi si levò e ritornò in furia alla grotta, dalla quale uscì armato della carabina di Takir. Una cupa fiamma brillava nei suoi occhi e il suo volto tradiva un feroce proponimento.
Quantunque le ferite lo tormentassero crudelmente dopo mille sforzi che gli costarono cento bestemmie e cento lamenti dolorosi, scese la erta collina e guadagnò la pianura cosparsa qua e là di intristiti alfèh e di pochi tamarischi. Egli strisciò silenziosamente fino a raggiungere un misero tugul diroccato, una capannuccia di paglia di forma conica. Si nascose lì dietro colla carabina armata e gli occhi fissi sullo schiavo d'Hassarn che si avvicinava rapidamente, aizzando con un fischio, il mahari.
—Bisogna che sappia ciò che quell'uomo porta, mormorò Notis. Con un colpo di carabina gli farò scoppiare la testa come fosse una zucca.
Alcuni minuti dopo il mahari giungeva a centocinquanta passi dal tugul. Amr continuava a fischiare tranquillamente, senza darsi la pena di guardarsi d'attorno, più che sicuro che il luogo era deserto.
Notis credette giunto il momento opportuno per mandarlo nel paradiso di Maometto. Puntò la carabina, mirò per qualche tempo con mano ferma, poi premette il grilletto.
La detonazione non era ancor finita che Amr precipitava di sella, contorcendosi disperatamente fra le erbe.
—All'armi! s'udirono gridare le sentinelle dell'accampamento.
Notis non si sgomentò. Raggiunse l'agonizzante che emetteva rantoli strazianti, cercando di sollevarsi, e l'atterrò spezzandogli la testa col calcio della carabina.
—Sta cheto, disse l'assassino, sogghignando.
Si curvò sul poveretto che non dava più segno di vita, e lo frugò ben bene rovesciandogli tutte le saccoccie. Trovò una lettera accuratamente suggellata che s'affrettò a leggere, valendosi del chiaro di luna, Ecco il contenuto:
«Elenka,
«Non pensate più a me. Il nodo che univa i nostri cuori si è spezzato per sempre sotto il destino e i voleri del Profeta. Non indagate le cause che mi spinsero a lasciarvi, nè cercate di raggiungermi che ormai ogni altro nodo è impossibile. Che Allàh vi conservi e il Profeta vi protegga.
ABD-EL-KERIM
Il greco, nel leggerla, vacillò come fosse stato côlto da improvviso malore. Una bestemmia gli uscì dalle labbra