Il nome e la lingua. Ariele Morinini

Il nome e la lingua - Ariele Morinini


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stesso brano è successivamente ripreso dall’autore nell’incompiuta Guida del viaggiatore nella Svizzera italiana del 1857, che a distanza di quasi un secolo dalla descrizione trasmessa nei Beyträge di SchinzSchinzHans Rudolf riporta una considerazione sui comportamenti linguistici dei ticinesi in parte ridimensionata. A questo proposito mi sembra più economico supporre una riconsiderazione critica delle informazioni trasmesse dalla fonte, prima entusiasticamente accolte, rispetto allo svolgimento da parte di FransciniFransciniStefano di un’indagine personale sulla situazione e al conseguente rilevamento di un’involuzione delle competenze linguistiche della popolazione:

      Che rivolgendo la parola in italiano (o come si suol dire in toscano) chichessia, se non sia ben zottico e quasi idiota, intende mediocremente bene; ma nel rispondere usa per solito del vernacolo o dialetto locale, riesce quindi assai difficile pel forastiero l’intendere ecc. Instare perché la risposta sia data per quanto sia possibile in italico comune più o meno corretto.18

      Pur senza un esplicito riferimento, il primo passo citato si serve dell’ipotesto settecentesco come fonte attendibile, accolta acriticamente nell’argomentazione. Nel paragrafo dedicato al Linguaggio FransciniFransciniStefano si rifà infatti a una misteriosa notazione anteriore: il fenomeno linguistico descritto – scrive l’autore – «è stato osservato» in precedenza. È stato osservato molto probabilmente da SchinzSchinzHans Rudolf, che ribadisce il concetto anche alla fine del secondo quaderno dei Beyträge. Infatti, nel paragrafo intestato Der Stadt Bellenz, concernente la città di Bellinzona, un analogo commento è esteso alla popolazione dei borghi: «La lingua degli abitanti è italiana quanto o anche meglio che a Milano, perché ci vengono parecchi tedeschi a impararla e molti forestieri passano di qui, e quindi le persone distinte e gli osti si sforzano di parlare correttamente».19

      Non diversamente dall’esempio appena menzionato, nella Svizzera italiana di FransciniFransciniStefano è accolta anche la valutazione relativa alla sensibile influenza dell’emigrazione sulla situazione linguistica dei baliaggi italiani proposta da SchinzSchinzHans Rudolf nel ventesimo capitolo dei Beyträge. Secondo il ticinese, sulla scorta della descrizione settecentesca, i flussi dell’emigrazione stagionale o permanente hanno determinato nelle parlate delle valli alpine e prealpine della Svizzera italiana l’assimilazione di cadenze e di lessico provenienti dalle città dove gli abitanti della regione erano soliti trasferirsi per trovare impiego come cioccolatai, lapicidi, artigiani, architetti, stuccatori e altro:

      L’emigrazione influisce nelle varietà dei nostri dialetti; e secondo che essa preferisce la Lombardia, il Piemonte, il Veneziano, Roma, la Toscana, se ne risente il parlare e nelle voci e nelle cadenze […] In alcune terre del locarnese, che mandano in copia operai e giornalieri a Livorno e in qualche altro luogo della Toscana, è frequente l’udir sulla bocca del contadino e dell’operaio il grato accento toscano.20

      Le osservazioni relative alla mescolanza linguistica originata dalle dinamiche migratorie e dalla necessità pratica di apprendere una lingua sovraregionale per gli emigranti sono ineccepibili e comprovate dagli studi storico-linguistici più recenti.21

      Le miserie e la povertà della vita nella Lombardia svizzera favorirono la mobilità di queste comunità. Sin dal Medioevo, con i picchi di maggiore intensità tra il Cinquecento e Seicento, l’emigrazione di lavoratori qualificati si estese ai centri cittadini di tutta Europa. Questa dinamica originò degli intensi scambi epistolari con le famiglie lontane e rese necessaria la redazione di documenti personali di vario tipo (almeno economico, lavorativo e diaristico), che presupponevano un’alfabetizzazione di base. Inoltre, ai migranti nei centri cittadini italiani si presentava il problema pratico del capire e del farsi capire, per il quale era necessaria una soluzione linguistica condivisa. Al maggiore studioso della storia linguistica ticinese, il già citato Sandro BianconiBianconiSandro, si deve la ricostruzione del peculiare assetto linguistico dei migranti della Lombardia svizzera nell’Italia sei-settecentesca. Dallo studio delle lettere di questi individui, conservate in grande quantità negli archivi ticinesi, emergono i tratti di un italiano che lo stesso BianconiBianconiSandro chiama popolare o semiletterato. La lingua, cioè, di chi possedeva nonostante tutto un livello d’istruzione elementare ma non aveva competenza attiva del latino e affinava la propria capacità di esprimersi per iscritto accedendo a una lingua «di base “grammaticale” italiana con forti coloriture fonetiche e lessicali regionali».22 Ossia un italiano precocemente, seppur imperfettamente, allineato alla lingua comune di matrice letteraria. La necessità della popolazione migrante di potersi servire della lingua scritta, dunque di acquisire un’alfabetizzazione di base, è soddisfatta a partire dalla metà del secolo XVI dalle chiese cattolica e riformata. La diffusione delle scuole nel territorio della Lombardia elvetica è dovuta da un lato alla richiesta civile e laica d’istruzione, necessaria per far fronte ai bisogni pratici legati all’emigrazione e all’autogoverno delle comunità; dall’altro è funzionale ai progetti di cristianizzazione della chiesa romana nei baliaggi italiani e del protestantesimo riformato nei territori grigioni.23

      Le osservazioni su questo aspetto della situazione linguistica nella Lombardia svizzera proposte da SchinzSchinzHans Rudolf e avallate in pieno Ottocento da FransciniFransciniStefano sono confermate da alcuni documenti redatti nei secoli precedenti. Ad esempio, l’arciprete di Locarno Francesco BallariniBallariniFrancesco, descrivendo gli insediamenti sulle sponde occidentali del Lago Maggiore, nel suo Compendio delle croniche della città di Como, pubblicato nel 1619, anticipa le considerazioni relative all’entrata nella lingua locale del lessico e della pronuncia caratteristica dei luoghi nei quali erano tradizionalmente impiegati gli emigranti della regione:

      Il Lago Verbano […] dal vocabolo latino Verbum, che significa la Parola, over’ il Parlare: né senza ragione, per ch’essendo alla sua rippa (alla forma de gl’altri) edificati molti Borghi, Terre, & Villaggi, oltre l’evidente diversità del vivere, vestire & altri costumi, hanno similmente un’evidentissima varietà di parole, & pronuntie, che par’ a ponto, che formi ciascuna di quelle un nuovo, & particolare modo di parlare: né sia meraviglia, quandochè buona parte de gl’habitatori si conferiscono per negotij a diverse parti dell’Italia, & ritornando dopo qualche tempo alle case loro, ne riportano tante varietà di parlari, il che chiaramente si scorge nella terra di Ronco d’Ascona, dove per la gran prattica da quel Popolo tenuta nella Città di Fiorenza, parlano Toscanamente non solo quelli, ch’hanno colà conversato, ma etiando molte donne, & fanciulli, quali non uscirno mai da detta sua Patria.24

      Un’ulteriore testimonianza indiretta della padronanza della lingua toscana nelle valli prealpine della Lombardia svizzera, che suggerisce inoltre una consapevolezza della variazione e delle competenze linguistiche diverse in funzione dell’età, ci è trasmessa da una lettera di Giovanni BassoBassoGiovanni, prevosto di Biasca, scritta il 30 dicembre del 1614 a Cesare PezzanoPezzanoCesare, canonico di S. Ambrogio in Milano:

      È gionto prete Antonio BulloBulloAntonio a Claro la sera avanti la vigilia di Natale, quale è tanto consumato nella lingua tosca, che non è inteso, se non da’ grandi.25

      Parallelamente all’influenza esercitata sulla lingua locale dalle dinamiche migratorie, nella disamina sul Linguaggio della Svizzera italiana è rilevata da FransciniFransciniStefano la presenza di elementi alloglotti nel lessico regionale, eredità dell’epoca balivale e degli intensi contatti propiziati dal valico del Gottardo. La permeabilità del tedesco sul dialetto e sul lessico giuridico dei baliaggi e del Cantone, auspice la prossimità geografica, risulta particolarmente rilevante nell’alto Ticino:

      In Leventina è sensibile in più parole il quotidiano traffico cogli uomini della Svizzera Tedesca. La dipendenza di tre secoli dai signori Svizzeri ci lasciò qualche reliquia in alcune denominazioni politiche.26

      Anche questa caratteristica è constatata con largo anticipo da SchinzSchinzHans Rudolf. Nel secondo fascicolo dei Beyträge, nel paragrafo dedicato agli abitanti della Leventina (Charakter der Livener), lo zurighese sostiene infatti che «la loro lingua è un pessimo italiano corrotto, misto di diverse parole tedesche storpiate, e che risulta del tutto incomprensibile al tedesco che abbia imparato l’italiano sulla grammatica»; sul topos del “cattivo italiano” parlato nella regione si tornerà nel secondo capitolo


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