Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II. Amari Michele

Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - Amari Michele


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sua propria;334 ma in fatti par non abbia cessato quel gioco d'equilibrio incominciato ottant'anni prima. La fortuna delle armi fu varia. I Musulmani condotti da Alliku, come leggesi il nome nella cronica, avean fatto una punta fino alla costiera dell'Adriatico, quando Landolfo li raggiunse e ruppe in due scontri a Siponto335 e Canosa.336 Tornaron fuori con novelle forze; dettero il guasto a Venosa, Frigento, Taurasi, Avellino, e al contado proprio di Benevento.337 In ultimo saccheggiarono e arsero il monastero d'Alife.338

      Maggior danno recarono dalla parte di Roma. Il monastero di Farfa, celebre nel medio evo per grandi possessioni e baldanza contro i papi, fu distrutto in questo tempo, l'anno non si sa, abbandonato dai frati quando si sentirono addosso i Musulmani.339 Giace Farfa nella Sabina; la qual provincia era tutta corsa al par che la Campagna di Roma e il territorio di Ciculi, con uccisioni, incendii, saccheggi. Si spinsero i nemici oltre il Tevere a Nepi; salirono fino ad Orta e a Narni, nelle quali città stanziarono.340 Impadroniti così dei passi, misero grave taglia sopra i Cristiani che andassero in pellegrinaggio alla tomba degli Apostoli. Il contado della metropoli fu sì fattamente infestato, che uno storico mordace scrivea quindici anni appresso, aver tenuto mezza città di Roma i Romani e mezza gli Affricani.341

      Tra tanta calamità, appresentossi a Giovanni decimo un Musulmano, disertore per ingiurie avute da' suoi; il quale si vantò di rintuzzarli, sol che il papa gli desse una man di forti giovani, armati di targa, brando, giavellotto, cinti di legger saio, provveduti d'un po' di cibo: alla quale descrizione si ravvisa la milizia degli almugaveri Catalani, sì famosi nelle guerre del vespro siciliano.342 Giovanni decimo gli diè una sessantina d'uomini; coi quali il disertore, appostati gli antichi compagni, li svaligiò in uno stretto passo. Indi i Romani a rincorarsi; ad uscire alla campagna; a combattere con avvantaggio la guerra spicciolata.343 Un Akiprando di Rieti fece oste, con altri longobardi e gente della Sabina, contro i Saraceni afforzati nelle ruine di Trevi:344 e li vinse e passò a fil di spade. Da un'altra banda i terrazzani di Nepi e di Sutri felicemente combatteano gli Infedeli a campo Baccani. Dopo le quali sconfitte, le schiere musulmane di Narni e di Ciculi si ritrassero al Garigliano.345

      Perchè il papa e Landolfo, accorgendosi ch'era niente superare il nemico qua e là, se non lo si estirpava da' suoi ridotti, in men di due anni aveano mandato ad effetto un abbozzo di crociata. Ristorarono e allargarono la lega del novecento dieci: il papa vi trasse la imperatrice Zoe, Alberico duca di Camerino, Berengario duca dei Friuli che avea da tanti anni il titolo ed or quasi la potenza di re d'Italia. Berengario, aiutato di danari dal papa, veniva a Roma in su la fine del novecentoquindici: tra, plausi che non fu uopo di comperare si cingea la corona imperiale. Alla nuova stagione, congiunti per la prima ed ultima volta a ben dell'Italia, il papa e l'imperatore marciarono al Garigliano. Li seguian le milizie dei ducati di Camerino e Spoleto. Landolfo andò al ritrovo con le genti del principato di Capua e Benevento. L'impero bizantino diè valido aiuto: l'armata, grosse schiere di Pugliesi e Calabresi, e la greca astuzia dello stratego Niccolò Picingli; il quale trasse alla lega il principe di Salerno, e quel che più era, Napoli e Gaeta, lusingando i due duchi col titolo di patrizii, e minacciando di opprimerli se favorissero tuttavia gli Infedeli.

      Del mese di giugno il navilio greco saliva su pel Garigliano; il papa in persona e i collegati italiani stringeano dagli altri lati; davansi fieri assalti, nei quali Alberico e Landolfo meritarono lode di valorosi. Sforzati nei ripari, i Musulmani si rifuggirono alle alture del monte; dove il cerchio delle armi cristiane più stretto li rinserrò. I Bizantini innalzarono un castello a piè della costa ripida donde gli assediati soleano far le sortite per procacciar vettovaglia. Dopo tre mesi, perduta assai gente negli scontri; pressati dalla fame; per segreto consiglio, come si sparse, dei duchi di Napoli e di Gaeta, i Musulmani poser fuoco agli alloggiamenti, e nel trambusto chi potè cercò scampo nei boschi d'intorno, ove i Cristiani dando loro la caccia, tutti li uccisero o fecer prigioni. Così ebbe fine la colonia del Garigliano, d'agosto novecento sedici. Nè mancarono i frati di spacciare ch'avean visto con gli occhi proprii San Pietro e San Paolo mescolarsi tra i combattenti.346

      La qual vittoria non liberò tutta Italia. A settentrione i Musulmani di Frassineto, venuti di Spagna, gittatisi nelle Alpi, corsero per un secolo o poco meno (889-975) l'odierno territorio del Piemonte, non che la Svizzera e la Francia meridionale; dei quali non dirò, sendo fuor dell'argomento propostomi.347 All'altro capo della penisola non durò a lungo la pace. Forse il principato fatemita non volle osservare i patti stipolati dal ribelle Ibn-Korhob. Più certamente, l'impero bizantino non seppe guardar quelle province con la spada, nè farvi osservare la pace, nella condizione precaria con che le tenea.

      A trattare i popoli col bastone vuolsi avere in pugno un baston sodo e dare ad occhi aperti; ma l'impero, con sue triste soldatesche ed amministrazione scomposta, troppo si affrettava a spossessare ad un tempo i principi longobardi, estirpare la nobiltà feudale, assoggettare i comuni, e spolpare e calpestare il popolo. Dopo aver dunque racquistato, verso la fine del nono secolo, le Calabrie e gran tratto della Puglia,348 i Bizantini presero e riperdettero entro quattr'anni (891-895) lo stato di Benevento; si provarono indarno contro Capua e Salerno; furon costretti a collegarsi coi principati longobardi (908-916) contro i Musulmani del Garigliano;349 non seppero nè prevenire nè reprimere la ribellione di tante città di Puglia e di Calabria che si davano (921) a Benevento; nè l'impero le riebbe altrimenti che per pratiche col principe Landolfo.350 In questo mentre non si pagò il tributo ai Musulmani di Sicilia.

      E per dieci anni i miseri popoli dell'Italia meridionale vider venire di Sicilia, sotto le insegne fatemite, nuove facce di predoni stranieri: in cambio d'Arabi, di Berberi, di Negri, più fiera genía settentrionale. Perchè il Mehdi par non si fidasse di rendere le armi all'universale de' Musulmani in Sicilia, non degli Arabi in Affrica; i Kotamii suoi gli servivano a spegnere gli incendii in casa ed a tentare il conquisto d'Egitto, massima ambizione di sua dinastia. Adocchiò allora i giannizzeri prediletti d'Ibrahim-ibn-Ahmed: gli Slavi, derrata di prima qualità nel commercio di schiavi che conduceasi nel Mediterraneo dal settimo al decimo secolo, talchè par abbian dato il nome alla cosa.351 Gente sobria del resto; prode nelle armi, amante di libertà più che niun altro popolo di que' tempi, nelle province europee dov'era costituita a governo suo proprio; gente anco umana verso gli schiavi che riteneva in casa:352 ma non le parea male di vendere gli uomini del suo stesso sangue e del germanico, presi nelle guerre e nei ladronecci di confini.353 Allora, sì com'oggi, il grosso della schiatta slava occupava l'Europa orientale; s'addentellava coi popoli finnici, con l'impero germanico, coi Magiari, con l'impero bizantino: Schiavoni, Croati, Serbi ed altri rami slavi ingombravano le regioni a levante dell'Adriatico; mettean tralci infino al Peloponneso; frammezzati ad avanzi più o meno frequenti delle antiche popolazioni; fatti cristiani di fresco; e dove vicini temuti, dove tributarii, dove sudditi di Costantinopoli.354 Lo sbocco principale di loro schiavi era l'Adriatico; gli emporii eran tenuti da essi e dalle città latine e greche della costiera orientale; i navigatori della costiera italiana aiutavano al trasporto; i Musulmani del Mediterraneo, dalla Spagna alla Siria, più che altri popoli, consumavan cotesta merce, in soldati, paggi ed eunuchi. E il Mehdi ne congegnò una macchina produttrice di novelle derrate: il bottino, dico, e i prigioni che gli Slavi gli andassero a buscare in terraferma d'Italia.355

      La prima frotta, passata d'Affrica in Sicilia su barcacce,


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<p>334</p>

Il diploma di Gregorio duca di Napoli tratta anco di altri patti internazionali con Benevento, come per esempio le leggi secondo le quali giudicarsi le liti tra sudditi dei due Stati. È dato la 14ª indizione, e trascritto in un diploma del duca di Napoli Giovanni, presso Pratilli, Historia Principum Langobardorum, tomo III, p. 228.

<p>335</p>

Oggi Manfredonia.

<p>336</p>

Chronicon comitum Capuæ, l. c. Questo Alliku è quel che la cronica dice califo degli Agareni di Traietto e Garigliano.

<p>337</p>

Ibidem.

<p>338</p>

Chronicon Vulturnense, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte II, p. 418. La cronica dice avvenuto questo fatto verso il 916.

<p>339</p>

Chronicon Farfense, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo II, parte II, p. 454.

<p>340</p>

Benedicti Sancti Andreæ monachi Chronicon, cap. XXVII, presso Pertz, Scriptores, ec., tomo III, p. 713.

<p>341</p>

Liutprando, op. cit., lib. II, cap. XLIV, XLV.

<p>342</p>

El-mugawer in arabico significa scorridore, o, come or dicesi, guerrigliero.

<p>343</p>

Liutprando, ibid., cap. XLIX, L.

<p>344</p>

Civitatis vetustate consumpta, (il monaco Benedetto non è scrupoloso in fatto di concordanze) nomine Tribulana.

<p>345</p>

Benedicti Sancti Andreæ monachi, op. cit., cap. XXIX.

<p>346</p>

Si confrontino: Liutprando, Antapodesis, lib. II, cap. XLIX e LIV, presso Pertz, Scriptores, ec., tomo III, p. 297, 298; Chronicon comitum Capuæ presso Pertz, stesso vol., p. 208; Annales Cassinatenses, ibid., p. 171; Annales Beneventani, ibid., p. 174; Chronicon Benedicti Sancti Andreæ etc., ibid., p. 713, 714; Chronicon Farfense, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo II, parte II, p. 455; Chronicon Pisanum, presso Muratori, ibid., tomo VI, p. 107, seg., an. 917; Lapo Protospatario, presso Pertz, Scriptores, ec., tomo V, p. 53; Marangone, nell'Archivio Storico Italiano, tomo VI, parte II, pag. 4, an. 907; Leonis Ostiensis, lib. I, cap. LII. Le autorità principali sono Liutprando e Benedetto di Sant'Andrea, contemporanei; e Leone d'Ostia, ch'ebbe alle mani ricordi contemporanei. La data varia; ma si determina con l'incoronamento di Berengario.

<p>347</p>

I fatti de' Musulmani di Frassineto sono stati con molta critica ricercati e lucidamente esposti da M. Reinaud nell'opera: Invasions des Sarrazins en France etc., parte III.

<p>348</p>

Si vegga il lib. II, cap. XI.

<p>349</p>

Si vegga il capitolo precedente.

<p>350</p>

Cedreno, ediz. Niebuhr, tomo II, p. 355, 356.

<p>351</p>

Su gli stanziali ed eunuchi slavi comperati dai principi musulmani in cotesti tempi, si vegga Reinaud, Invasions des Sarrazins en France etc., parte IV, pag. 233, seg. – I nostri antichi non son mica esenti di biasimo nel commercio degli schiavi. Nell'ottavo secolo i Veneziani ne cavavano gran guadagno e ne teneano mercato anche a Roma. Il papa Zaccaria lo vietò nel 748. Veggasi Anastasio Bibliotecario presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo III, p. 164. Carlomagno riprese Adriano I nel 785 di tollerare questo scandalo; e il papa si scusò dicendo che lo faceano i Greci e i Longobardi. Veggasi Codex Carolinus, ediz. Gretser, epist. 75. Altri divieti simili ai Veneziani nell'887 e 960 sono notati dal Muratori, Annali d'Italia, 960.

<p>352</p>

Leonis imperatoris, Tactica, cap. XVIII, presso Meursius, Opera, tomo IV, e versione francese di Maizeroi.

<p>353</p>

Su questa promiscuità di schiatte che si menavano al mercato, veggansi le autorità allegate da M. Reinaud, op. cit., p. 235, 236.

<p>354</p>

Constantini Porphyrogeniti, De administrando imperio, cap. 29, 31, 49, 50. Si confronti con l'importante studio di Lelewel, Géographie du moyen age, Bruxelles 1852, tomo III, capitolo Slavia.

<p>355</p>

Con queste bande di schiavi, la più parte forse non Musulmani, si poteva eluder la legge che accorda quattro quinti della preda ai combattenti. Si vegga più innanzi l'aneddoto del bottino d'Oria.